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Ricette d’Autore – Pane serbo soffice

La mia idea di creatività è quella di un’arte da esercitare davvero a 360° rispolverando antiche virtù e impegnando in contemporanea i cinque sensi in aggiunta a un esercizio di buona manualità.
Cucinare per me e per le persone a me care è un piacere e un privilegio che mi concedo spesso tempo permettendo; essere impegnata ‘con le mani in pasta’ mi aiuta a pensare, a misurarmi con me stessa e a rielaborare con un pizzico di originalità ricette della tradizione nazionale e internazionale. Insomma, mi fornisce una forma di meditazione estremamente pratica, economica e gratificante: anche il piatto meno riuscito è un’occasione per imparare qualcosa in un’ottica migliorativa.
Per queste ragioni a partire da oggi ho pensato di condividere con voi in maniera  sistematica alcune delle mie produzioni culinarie, accompagnandole con mie brevi riflessioni o citazioni famose pertinenti e significative. Il vecchio adagio che recita di come il cibo sia uno dei diletti della vita non può che trovarmi più che concorde. Specialmente se buon cibo, creatività e frammenti esistenziali sono parti essenziali in un unicum vitale che, se in sintonia perfetta, aiuta certamente a stare bene.
Buona lettura e buon lavoro

Pane serbo soffice

Ingredienti per uno stampo a cerniera di 18 cm di diametro :

  • 175 gr. di farina 00
  • 125 gr. di latte fresco intero
  • mezzo cucchiaino da caffè di zucchero
  • 5 gr. di sale
  • 5 gr. di lievito di birra fresco
  • 20 gr. di burro liquefatto freddo per la decorazione
  • semi di sesamo a piacere.

Preparazione

Sciogliere nel latte a temperatura ambiente il lievito di birra e lo zucchero e lasciare riposare per una mezzora il composto ottenuto.
Al termine di questa operazione porre in una ciotola la farina e il sale aggiungendovi il latte ‘arricchito’ di cui sopra e mescolare il tutto con energia per un quarto d’ora sino a ottenere un impasto compatto che verrà lasciato riposare ben coperto un’ora e mezza o comunque fino al raddoppio del volume.
Sistemare, quindi, su una spianatoia la pasta di pane e procedere a suddividerla in sei piccole porzioni che verranno spianate a mo’ di piccole focacce e spennellate solo in superficie col burro liquefatto. In uno stampo precedentemente oliato disporre le sei parti a cerchio in modo che l’una sia aggettante sull’altra, coprire con un panno e lasciar lievitare per un’altra mezzora.

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ph. credit: misyadotinfo

Decorare, infine, a piacere con i semi di sesamo e infornare a 180° circa, cottura tradizionale.

pane serbo

NB: la dose da me sperimentata è per due, tre persone. Il pane serbo è ottimo da servire in una prima colazione spalmato di burro e marmellata ma è comunque molto versatile in ogni circostanza a tavola.

La citazione:

«Io ci penso ancora ai pomeriggi in cui preparavo per tutti e tre una merenda di pane, burro e zucchero. Mi si riempivano gli occhi nel guardarli mangiare. Tutto era più semplice e dovevamo solo preoccuparci di amarli, accudirli nelle loro necessità quotidiane.»

Guida, L., 2016, Romanzo Popolare, Rieti, Amarganta.

 

Alla fine del 2018

Il 2018 è stato per me un anno di conferme scrittorie, di nuove pubblicazioni e di buone notizie sotto l’albero di Natale.
Ho partecipato a festival nazionali e premiazioni letterarie, presentazioni librarie e ad antologie di autori vari, dando alle stampe anche come solista nel settembre scorso per Amarganta una silloge di poesie, ‘Interlinee’, frutto di un lavoro di riflessione decennale su cose, persone e situazioni.

Cose belle che mi hanno aiutata a crescere, e come autrice e come persona, di cui sono estremamente grata. Bei traguardi raggiunti passo dopo passo, senza fretta. Piccoli atti di coraggio e di impegno da parte mia.

A tutti coloro che hanno avuto la pazienza e la bontà di seguirmi durante questi sei anni di pubblicazioni dedico ‘Di scrittura’, riflessione in versi contenuta nella sezione ‘Miscellanea’ parte di ‘Interlinee’. Pensieri scritti con emozione genuina per un mestiere, quello di penna, in cui il posto per i ripensamenti, le brusche frenate, le partenze in sordina e le risalite fanno parte del gioco e ci aiutano a conservare il nostro valore di esseri umani, punti di forza e punti di debolezza. Un cammino in cui di scontato non v’è mai nulla. Nasciamo, cresciamo, ci evolviamo in primis come persone e poi come affabulatori. E le cose che fissiamo nero su bianco o su un file di word sono specchio fedele di noi stessi, nella buona e nella cattiva sorte. In una continua spinta in avanti fatta anche di prove ed errori.

Auguri di cuore a tutti e a rileggerci presto

Lucia

 

Di Scrittura
Quando comprendi
che affabulare
non è tout court
esercizio di bella scrittura
ma riflesso
di vita
concreta e agìta,
ti fermi a pensare.
Per valutare
-con serietà estrema –
se sia giusto o saggio
continuare a mostrare
al mondo intero
quello che ti balla in petto.
Se quella gioia
o quel dolore
valgano la pena
-e la trepidazione –
di essere esposti en plein air
agli occhi di tutti,
come un lenzuolo nuziale d’altri tempi
all’indomani della prima notte.
Ci rifletti con attenzione
e con il pudore nuovo
che non pensavi di possedere
ben diversi
dall’ingenua sfrontatezza
d’inizio.
Quel desiderio
di mostrarti agli altri
con civetteria naïve
che ti faceva mescolare
rena e polvere d’oro
in attesa di conferme
sulla ricchezza
che già possedevi
pur non sapendo di averla.
Un’abbondanza,
di terra scura e grassa,
che stringevi a te
timorosa
di perderla
ma che nessuno
ti avrebbe mai
potuto togliere
perché sostanza tua,
piega nascosta,
ma presente, e fonda,
della tua anima.

Lucia Guida

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Rossana Lamanna photographer.

A special thank to Lido 186 Village, Pescara, for the shooting location

La parola al recensore: “Romanzo Popolare” visto attraverso gli occhi di Daniela del sito “Chili di libri”

Cari amici, un saluto veloce per proporvi l’ultima recensione di ‘Romanzo Popolare’ pubblicata in ordine di tempo sperando di fare cosa grata, a cura della blogger Daniela, coautrice e fondatrice con Anita, del sito letterario Chili di Libri.

Buona lettura e a presto

Lucia

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Romanzo Popolare

di Lucia Guida

Dal sito dell’editore

Destini incrociati di donne che vivono in una Pescara variegata. Donne che rinunciano ai propri sentimenti per il bene della famiglia. Donne capaci di inedita determinazione per offrire una possibilità agli affetti più cari. Donne che immolano se stesse per superare l’indifferenza di un amore incondizionato. Esistenze mortificate eppure sublimate da un indomito spirito di sacrificio. Ricorsi che illuminano di una luce nuova fatali coincidenze. Tratti comuni che emergono a dispetto di conoscenze reali. Motivi che si fondono, saldati assieme dall’esistenza disperata di Matteo, bello e perverso, malato dentro perché la mela non cade mai lontana dall’albero suo.

Recensione

Appena ho iniziato a leggere il libro, me ne è subito venuto in mente un altro: due donne, palazzoni, figli coetanei, un marito violento e la difficoltà di arrivare a fine mese… Poi per fortuna, molto presto, questa storia ha preso una piega diversa.

La signora vittima del marito continua a essere vittima, fino a che una provvidenziale caduta (con una spintarella, certo), non la rende vedova. Sarà stata lei o il figlio? Poco importa. Uno dei due ha avuto il coraggio di liberarsi da quel giogo, da quella violenza quotidiana che è prima di tutto psicologica, che ti impedisce di vivere, di respirare, di star serena due minuti, senza avere paura di essere poi massacrata di botte, riempita di urla e improperi.

Matteo,il figlio undicenne si deve nascondere, cerca di non farsi vedere, non ha amici.

“Non avrebbe mai ammesso con chicchessia di desiderare una famiglia migliore. Si ripeteva spesso di non aver bisogno di nessuno e nei suoi sogni non c’erano calciatori famosi o biciclette fiammanti. Fremeva dal desiderio di cercare la propria strada altrove, lo avrebbe fatto da grande. Lontano mille miglia da una casa in cui non si sentiva protetto, succube dell’umore di un uomo che l’aveva spesso costretto, anche in giornate di pioggia o di freddo, a fuggire all’aperto per evitare le botte.”

L’altra signora, la vicina del piano di sopra, ha due figli, Lidia e Giacomo, e si è appena trasferita a Pescara. Ha lasciato non solo il conforto degli amici e di luoghi conosciuti, ma anche il calore del vero amore, quello che non prova più per suo marito, il quale si accontenta di non domandare per non sapere.

La storia va via veloce, come la vita. In men che non si dica sono passati dieci anni, i figli sono grandi, uno è partito militare, uno lavora come meccanico e la figlia sta diventando donna. Inizia ad attirare le attenzioni dei ragazzi e sono tutti presi dai propri affari. Non ci sono più i bei pranzi tutti a tavola, Maria si è risposata e il figlio Matteo rifiuta qualsiasi contatto, assomiglia sempre di più al padre.

È una storia tristemente quotidiana: le piccole meschinità della vita, i tradimenti, le violenze, la difficoltà di fidarsi, l’invidia e l’angoscia, la sensazione che non ci sia più speranza. Sentirsi un sacco vuoto per la morte del figlio e dover, in qualche modo, andare avanti.

È un libro scritto bene, che parla anche di argomenti difficili, come se fossero un contorno, nel trambusto della vita quotidiana, senza tuttavia negar loro l’importanza che rivestono.

 

Daniela

L’articolo originale lo trovate qui 

 

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Presentazione di ‘Romanzo Popolare’ al Gran Caffè Cigno di Chieti Scalo del 1° giugno 2016 per la rassegna ‘Mercoledì d’Autore’ a cura dello scrittore Alessio Masciulli

Presentazioni: Ilaria Grasso intervista Lucia Guida sulle pagine di PescaraNews.net

La sorpresa di ferragosto è la pubblicazione in web della mia ultima intervista rilasciata a Ilaria Grasso, giornalista freelance abruzzese.
Argomenti di questa bella chiacchierata estiva il mio ‘Romanzo Popolare’ e le tematiche sottese alla storia che ho narrato. Assieme con una buona fetta, manco a dirlo, delle mie prospettive esistenziali.
Buona lettura

A presto

Intervista alla scrittrice Lucia Guida

(…)

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Ciao Lucia, ben trovata, e buon’estate, un’estate popolare, tra impegni e iniziative letterarie, grazie al tuo romanzo, uscito alcuni mesi fa, dal titolo, appunto, Romanzo Popolare …
 

Salve, Ilaria. In realtà è stata un’estate complessa, dedicata agli affetti e alle persone care, in cui per forza di cose ho dovuto rallentare la promozione di ‘Romanzo’ che, tuttavia, è alla sua seconda ristampa, con buon successo di pubblico, e la cosa, com’è facilmente intuibile, mi riempie di piacere. In autunno, però, ci sono in serbo molte novità, e a livello scrittorio e come parte della promozione del mio romanzo che intendo riprendere a pieno ritmo. Del resto un libro non ha mai scadenza: la pregnanza di una storia realmente sentita non perde di sostanza o di validità se si provvede a centellinarla nel tempo …

 

Un romanzo corale, dove la presenza femminile è preponderante, la storia di un’amicizia ben salda, radicata nel tempo e nel cuore, quella fra Teresa e Maria …

Sai che a me continua a piacere parlare al femminile. Sono più che convinta che non se ne discuta mai abbastanza. E che si abbia, oggi come mai prima, bisogno di storie ‘vere’ e non epidermiche. Abbiamo tutti necessità di orientarci godendo di prospettive esistenziali che ci offrano qualcosa di reale e concreto. Nella vera amicizia tra due persone non c’è bisogno di ritmi temporali serrati, conta la qualità. La possibilità di sentirsi anche a distanza di tempo con lo stesso affetto di sempre. La consapevolezza di poter contare su chi non è fisicamente presente al momento: nell’attimo del bisogno o semplicemente per scambiare quattro chiacchiere. Ciò nel rispetto della propria individualità. Teresa e Maria si incontrano a un crocevia esistenziale per entrambe, diventando una il puntello dell’altra, nelle occasioni liete e in quelle che lo sono meno. Riescono a superare le piccole incomprensioni che costellano il loro cammino con buonsenso e lungimiranza. La vera amicizia, quella unica e molto rara.

Storie d’amore e d’amicizia, in Romanzo Popolare, come l’amore fra Giselda e il bel Matteo, un amore travagliato, forse unilaterale …

Tra le diverse tematiche Romanzo Popolare affronta anche quella dell’incapacità di amare, della cosiddetta immaturità affettiva che affonda le sue radici nei primi anni di vita del bambino. Nel caso di Matteo, uno dei protagonisti maschili del mio lavoro, scaturisce da una mancata identificazione con una figura paterna, ingombrante e anaffettiva, e dall’eccessiva indulgenza di una madre che fa del proprio figlio l’unica ragione di vita per se stessa. Maria cerca di compensare con un surplus di dedizione materna la disaffezione paterna. Matteo cresce in balia di grandi contraddizioni, senza nessun tipo di indicazioni affettivo-sentimentali. In questo contesto si innesta la sua relazione amorosa con Giselda, pronta, come sua madre, ad accettarlo incondizionatamente. Giselda è incapace di distaccarsi emotivamente da lui, vivendo quest’intermezzo per quello che è: una relazione di letto e basta. E Matteo ci sta, almeno fino a quando l’entusiasmo per lei non viene meno. Di recente, parlando con una mia amica psicoterapeuta, ho saputo che almeno l’80% delle relazioni odierne è impostata su parametri squilibrati, o se vogliano non del tutto sani. Il cosiddetto ‘rapporto paritario’, quello in cui si cresce e si evolve insieme, rischia di diventare sempre di più un miraggio in una società come la nostra fortemente egocentrata e individualista in cui nessuno è disposto a rinunciare per l’altro a parte del suo campicello per affrontarsi su un terreno comune, in una sorta di porto franco.

 

Storie anche di violenze domestiche, spesso misconosciute, perché ci si vergogna di parlarne …

La violenza di genere, fisica e psichica, è ancora tabu nelle società occidentali e nel nostro Paese. Non dipende da questioni legate a longitudine e latitudine, né al tipo di educazione e/o istruzione possedute. Ha un effetto devastante per chi la subisce in termini di autostima anche perché chi ne è oggetto molto spesso tenta di ‘giustificare’ il proprio partner, convincendosi di poterlo cambiare o, peggio, che le sopraffazioni subite abbiano una durata temporale limitata. Addossandosi colpe inesistenti per mancanze vere o presunte commesse. Isolandosi dal mondo intero e, per tale ragione, precludendosi l’aiuto anche di persone di famiglia. E’ un circolo vizioso, quello della violenza domestica. Difficile da spezzare senza un aiuto opportuno da parte di specialisti del settore e autorità preposte che possano fornire un giusto supporto a 360°. Una donna che scappa da un compagno che ha minacciato di ucciderla se non si adeguerà a lui, spesso lo fa solo con ciò che ha addosso e con il terrore, non infondato, che il proprio partner possa rivalersi sui figli.  Personalmente trovo che in Italia i femminicidi, in crescita esponenziale, tragica conclusione di storie familiari involute, siano tanti, troppi. Frutto di una visione distorta della figura femminile, percepita ancora oggi come ‘oggetto’ di conquista e, quindi, in pieno possesso alla figura maschile. Un fenomeno culturale ed educativo, indubbiamente. Si potrebbe fare anche moltissimo a livello mediatico, giacché tutto concorre alla crescita personale di ciascuno di noi, se, ad esempio, nel corpo e nella titolazione degli articoli giornalistici si eliminassero diciture come ‘amore’. In un episodio di violenza di genere di amore non ce n’è mai. Trovo pretestuoso e quasi criminale evocare un sentimento che, di per sé, dovrebbe spingere chiunque di noi a desiderare il meglio per la persona amata e non la sua soppressione fisica.

 

 

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Il decennio che va dal 1965 al 1975, nel quartiere San Donato di Pescara, come mai, per te, pugliese, la scelta di questa collocazione temporo-spaziale?

Ogni collocazione spazio-temporale scrittoria non va mai presa alla lettera. Serve a dare una cornice opportuna a ciò che un autore vuol trasmettere attraverso la storia che narra. Nel mio caso ho, però, ‘derogato’ a questo parametro scientemente: volevo raccontare una vicenda che fosse imperniata sulla città in cui vivo da tempo, Pescara, in un’epoca che fa parte di me (sono nata nel 1965 e ricordo benissimo l’atmosfera dei primi anni 70). Un’altra concessione che mi sono data è stata quella di scegliere come spazio ideale il quartiere popolare di San Donato, che conosco abbastanza nei suoi punti di forza e punti di debolezza, che in quel lasso di tempo conobbe una grande espansione per chi, da varie parti della regione, aveva deciso di insediarsi in città per motivi diversi. Mi è sembrata la collocazione ideale per le vicende personali delle famiglie Terrenzi e De Carlo, orientate anche loro, come la stragrande parte degli abitanti di questo quartiere all’epoca di estrema periferia, a conquistarsi un avvenire che offrisse loro opportunità di vita maggiori.

 

Finale aperto, quello del romanzo: stai pensando ad un seguito?

Non sono mai tornata ‘sul luogo del delitto’: non ho, cioè, mai pensato di dare un sequel ai racconti e ai due romanzi che ho scritto.  Mi piacciono le storie dal ‘finale aperto’, come tu le hai definite. Una trama troppo definita non può essere, secondo me, di stimolo al lettore. Sono felice quando riesco a innescare in chi mi legge percorsi di pensiero che possano portare dovunque. Lettura e scrittura sono attività strettamente interconnesse, sinergiche. Confesso, tuttavia, di essere stata interpellata da più di un lettore in tal senso. E’ una bellissima sensazione: significa che sono riuscita a incuriosire e a far affezionare alle vicissitudini dei miei personaggi.

 

Tra le diverse tematiche le donne che studiano: quanto potevano “far paura” negli anni 60?

Credo abbastanza, allora come ora. In generale temo  che ancora oggi una donna competente, intelligente e preparata faccia sempre  paura, specialmente se ha deciso di realizzarsi da sé, senza scegliere figure extra che la puntellino, a eccezione di una famiglia che la supporti adeguatamente ( che le dia, cioè, la possibilità di impegnarsi in qualcosa in cui crede, per poterla raggiungere e potersi realizzare anche professionalmente) . Pensando alla mia storia personale, e al fatto di avere avuto una nonna materna con una famiglia ‘illuminata’ alle spalle, mandata a Napoli, dopo aver conseguito il diploma magistrale,  per un corso di perfezionamento in ‘Economia Domestica’ nel primo ventennio del 900; a mia madre e alle mie zie materne e paterne, tutte autosufficienti dal punto di vista economico perché lavoratrici, proprio nel frangente storico illustrato da ‘Romanzo’, pochissima.
Evidentemente  il motto di mia nonna Nina, maestra di scuola primaria, ‘Studia e cerca di renderti economicamente indipendente, per te stessa in primis’ con cui sono cresciuta, tramandato a mia figlia  e a tutte le mie studentesse, ha funzionato e bene. Del resto, non è un’opinione che anche nella famiglia più standard accontentarsi di vivere ‘di gloria riflessa’, dipendendo da un capofamiglia anche per le decisioni più spicciole, non porti sempre bene.

 

I tuoi progetti letterari per il futuro prossimo…

Più di un progetto di scrittura, uno piuttosto corposo di cui non dirò nulla un po’ per scaramanzia; chi mi conosce sa che avviso di essere in procinto di pubblicare se non dopo aver ricevuto il fatidico ‘visto si stampi’ dalla casa editrice che se ne occuperà. Non amo vendere la pelle dell’orso prima di averlo catturato.

 

Siamo in chiusura, lascia un messaggio, un pensiero, per i nostri lettori …

Alla luce di ciò che mi è capitato di recente, direi che è sacrosanto, per ciascuno di noi, cercare di vivere la nostra vita il più possibile calati nel presente. Si alla progettualità futura, un briciolo senza esagerare serve a mantenerci vivi. No alle recriminazioni che ci trattengono ancorati al passato, impedendoci di agire.

 

Ilaria Grasso per PescaraNews.net del 16 agosto 2016

 

L’intervista originale la trovate qui

 

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Estati d’antan

Quest’estate 2016 ha avuto un esordio e continua per me a essere piuttosto particolare. Tra le tante priorità che affollano la mia vita mi capita spesso di ritagliarmi a fatica spazi fisici e temporali da dedicare a me stessa e alle cose che amo fare. Questo momento di stasi, però, non mi dispiace: è risaputo che dalla riflessione scaturiscono sovente idee e messe a punto utili e funzionali per l’immediato futuro.
La mia proposta di lettura per voi, oggi, è un estratto di ‘Romanzo Popolare’, opera di narrativa e mia ultima pubblicazione per Amarganta in cui descrivo una notte estiva vista e vissuta da prospettive diverse. Punti di vista, manco a dirlo, prevalentemente au feminin.

A presto

Lucia

 

 

 

 

Erano i primi di luglio e il caldo continuava a farsi sentire più del dovuto. Lidia era alle prese con gli esami di maturità che l’avrebbero impegnata fino a fine mese. Alessandro era in tournée in Spagna con alcuni musicisti del Conservatorio “Luisa D’Annunzio”. Si sentivano spesso, le loro erano telefonate brevi e tenere, ma sortivano lo stesso effetto di un boccone per un affamato, non era la stessa cosa che vedersi e sfiorarsi. Lidia contava i giorni che mancavano al suo rientro e cercava di ottimizzare il poco tempo libero a disposizione dedicandosi allo studio.

Teresa e Dario avevano accettato che si fosse innamorata, allineandosi con la stragrande maggioranza dei suoi coetanei. Ai 45 giri in vinile si erano affiancate registrazioni estemporanee di audiocassette di concerti di musica classica incentrate su assoli di piano. Così avevano invitato a pranzo Alessandro, che si era presentato in giacca e camicia, un mazzo di fiori e un sorriso tra il timido e l’imbarazzato. Complice la passione di Dario per l’opera lirica, la tensione si era smorzata e quella sorta di reciproca avanscoperta si era trasformata in una piacevole occasione di conoscenza. Teresa aveva spopolato col suo timballo, le sue celeberrime crostate e lo stufato di carni miste. Alessandro aveva avuto il permesso di portare a passeggio Lidia con la benedizione di tutti, fratello maggiore incluso, lasciando di sé un ricordo positivo e l’idea di replicare.

I ragazzi avevano cenato in un localino del centro e c’era stata pure una serenata, offerta da un amico della proprietaria che si era divertito a strimpellare un paio di canzoni in romanesco a beneficio dei clienti. A Lidia era sembrato di toccare il cielo con un dito e suo padre, vedendola rientrare così felice, non aveva infierito sul ritardo di lei.

Teresa aveva raccontato la novità a Maria, l’altra si era limitata ad ascoltarla con un sorriso a mezza bocca. Un’espressione di circostanza che non arrivava al cuore. Quel mancato coinvolgimento, da Teresa messo automaticamente in conto, aveva generato una sottile crepa tra di loro.

Lidia decise che per quella sera poteva bastare, chiudendo con uno scatto il manuale di letteratura italiana, richiamata alla finestra spalancata sulla sera dal suono melodioso di un ddu bbotte strimpellato da qualcuno in lontananza.

Tra le ombre del cortiletto le parve di scorgere un movimento rapido che la incuriosì. Spense la luce della lampada da tavolo per tenere lontane dalla sua stanza le zanzare e si affacciò dalla finestra. Seduta su una panchina c’era una ragazza che non le parve di riconoscere. Aveva capelli lunghi di colore chiaro, forse biondi o rossicci, a quella distanza non avrebbe potuto dirlo. Era vestita di bianco con una maglietta tirata sul seno florido, allungata su una gonna al ginocchio di colore più scuro. La figura era immobile e dava l’impressione di essere assorta in pensieri importanti, le braccia parallele al corpo come in stato di abbandono. Soltanto il movimento impercettibile di un piede, calzato da sandali col tacco, tradiva il suo nervosismo. Lidia ipotizzò che potesse aspettare qualcuno.

«Lidie’, ma che ci stai a fare al buio? »

Sua madre aveva aperto la porta della stanza cercando di mettere a fuoco, nella penombra, la sagoma di sua figlia stagliata contro il blu intenso della notte.

Lidia si girò di scatto, colta in flagrante.

«Sono alla finestra.»

«E brava, così poi domani ti lamenti delle zanzare e fai storie per alzarti dal letto… Ma tirare la zanzariera proprio non ti va?»

Teresa si avvicinò brontolando sulla totale mancanza di senso pratico della ragazza. A cosa era servito che il padre si fosse ammazzato di lavoro per installare da sé le protezioni, lui che falegname non era, se poi c’era chi se ne fregava?

Lidia si staccò malvolentieri dal davanzale, permettendo a sua madre di rimediare alla sua trascuratezza con pochi gesti mirati. Attraverso le maglie strette della tela fitta non c’era più gusto a sbirciare di fuori. Decise, quindi, di dedicarsi ad altro.

«C’è rimasto un po’ di gelato, almeno?»

«Se ti sbrighi; non è che regga troppo nella ghiacciaia e tuo fratello l’ha riportato a casa già da un’ora.»

Teresa si lasciò precedere in corridoio mentre in cortile c’era un avvicendamento discreto di persone richiamate dalla sensazione illusoria di godere di un po’ di fresco grazie all’umidità emanata dai pini e dalle acacie disseminati lungo il suo perimetro. Giselda, tuttavia, non pareva esserne disturbata; aveva altro per la testa. Aspettava Matteo. Prima o poi sarebbe dovuto rientrare a casa. Dai Colli era scesa giù con uno degli ultimi autobus urbani ma contava di chiedergli di riaccompagnarla.

In fondo la sua richiesta era un mero atto di gentilezza da cui nessun cristiano si sarebbe potuto tirare indietro.

Cercò di non fare caso a due donne di mezza età che le erano passate davanti subissandola di occhiate indagatrici. Ripensò con desolazione al fatto che oramai di Matteo non aveva che notizie frammentarie provenienti dai clienti dell’osteria nella quale continuava a lavorare con sempre maggiore fatica. Era stata anche privata dell’aiuto di Onorina, ormai nonna a tempo pieno dopo la nascita del suo primo nipotino.

Matteo non aveva più interesse a farsi rivedere.

Non sapeva se la cosa le procurava più rabbia o dolore.

Forse le due sensazioni spiacevoli erano divise a metà e non aveva senso stabilire quale prevalesse sull’altra. Aveva sempre saputo che da lui avrebbe ottenuto poco. Matteo non era un uomo capace di sacrificarsi per il prossimo, non lo era mai stato. Eppure lei l’aveva accettato così com’era per ciò che lui aveva mostrato di essere, un cumulo di difetti e nient’altro.

Aveva tenuto il bambino arrivato per caso.

Non aveva avuto la forza o il coraggio di disfarsene come Onorina, con molta enfasi, le aveva suggerito, allungandole l’indirizzo di una sua conoscente molto brava e discreta in queste circostanze.

«Non te lo puoi permettere, un figlio senza sposo» le aveva detto.

Giselda aveva calato la testa, preso il pezzo di carta in cui la donna aveva scarabocchiato qualcosa con la grafia incerta, tipica di chi aveva fatto a mala pena le scuole elementari, come lei. Era andata via, finendo in solitudine quella serata così dolce nel grigiore di casa. Suo padre era andato al paese per qualche giorno, ospite di un loro parente per respirare un po’ di aria buona, una mano santa per i suoi acciacchi. Si era rallegrata di quell’assenza, fingere con lui che tutto andasse bene era sempre più difficile.

Un’andatura conosciuta le fece sollevare la testa. Poggiando la borsetta di lato sulla panchina, scattò in piedi, cercando di attrarre l’attenzione di Matteo. In fondo era lì per incontrarlo e parlargli.

«Matteo…»

L’uomo trasalì, girandosi verso l’ombra a pochi passi da lui. Una smorfia di fastidio sul volto.

«Giselda, ma che ci fai qui!»

Giselda lo guardò in volto, inspirando a fondo, cercando di radunare la dignità e il coraggio che le rimanevano.

«Ti devo parlare» mosse incerta qualche passo verso di lui.

Matteo lanciò uno sguardo rapido verso la finestra della cucina di casa sua notando che non era illuminata, segno che i suoi erano di sicuro seduti a godersi un po’ di fresco sul balconcino della camera da letto che affacciava dall’altra parte dell’edificio. L’afferrò per un braccio e la trascinò con rudezza verso il varco che portava alla via principale, illuminata da sporadici lampioni e poco frequentata. Notò con cinismo come lei non avesse opposto nessuna resistenza a quelle cattive maniere. Nell’attimo in cui raggiunsero una panchina più defilata delle altre, allentò la presa e lei ne approfittò per sedersi, sentendo che le mancavano le forze. Lo scrutò di nuovo, piantandogli addosso un paio di occhi pieni di sofferenza.

Poi con apparente determinazione lo apostrofò:

«Si può sapere che t’ho fatto? Non ti fai più vedere, telefono e a mala pena rispondi. Una persona non si tratta così.

Tu non puoi trattarmi così.»

Matteo girò di lato il viso, evitando di ricambiare il suo sguardo, puntando alla stradina secondaria che portava verso i campi e al canneto che gli era familiare.

Decise di giocare duro, tranciando senza compassione ogni maldestro tentativo di riappacificazione dell’altra. I tagli netti erano i migliori, sempre. Per lui Giselda era stato un intermezzo, neanche troppo felice, in una parentesi temporale di vita vissuta in modo piatto, incolore.

«Ma che ti sei messa in testa? Siamo stati insieme per un po’ e vabbè. Ma le cose sono cambiate. E tu non mi piaci più. Non come prima, almeno.»

Giselda alzò la testa come se qualcuno l’avesse schiaffeggiata.

Poi raccolse ciò che era rimasto del suo amor proprio e tentò di replicare con tutto il decoro che possedeva per mascherare quanto quel parlare nudo e crudo l’avesse annientata.

«Perché prima ti piacevo, vero? Come ti piaceva il mio letto, le mie cucinette, le domeniche sera e tutte le altre cose e gli sfizi che adesso ti togli con qualcun’altra. Sorpreso, vero? So tutto. La moglie di Torresi, giusto? Quello dell’azienda di autotrasporti a Tiburtina. Ti fa i regali costosi e ti porta sulla sua macchina sportiva in giro ppe’ fratte.»

Matteo la squadrò con apparente indifferenza.

«E se pure fosse, a te che t’importa?»

«Te la sei scelta ricca, bravo, complimenti. Ora cenette di pesce al ristorante pagate da lei e profumi costosi.»

Era troppo. Mascherando il disagio che l’aveva invaso suo malgrado, l’afferrò di nuovo per le braccia scuotendola con forza per farla smettere di parlare. Era un bastardo e lo sapeva, ma sentirselo rinfacciare con tanta foga da una tanto arrendevole, non lo sopportava. La sua inadeguatezza aumentò a dismisura senza, per contro, intenerirlo di un grammo.

Continuò a scuoterla fino a quando non la sentì cedere, allora la lasciò di botto mentre lei si afflosciava come la bambola di pezza dalle gambe lunghissime e sottili che teneva al centro del suo lettino ai Colli. Un involucro vuoto privato del suo contenuto.

«Qui non ci devi venire più, li si capite o no?»

Era una minaccia più che un ammonimento.*

*in Lucia Guida, (2016), Romanzo Popolare, Rieti, Amarganta

 

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foto di Robert Doisneau

 

 

La parola al recensore: “Romanzo Popolare” visto attraverso gli occhi di Mario Borghi, per “Pubblica Bettola Frammenti di cobalto”

Buongiorno. La recensione di ‘Romanzo’ che,  oggi, vi propongo in lettura è a cura di Mario Borghi, critico letterario, autore e oste della Pubblica Bettola ‘Frammenti di Cobalto’.

Ringrazio Mario per due motivi: per essersi preso la briga di leggere con attenzione il mio testo non limitandosi a sfogliarlo, e per essere andato al nocciolo della questione con l’accuratezza e la puntigliosità che sono marchio di fabbrica delle cose che scrive e del sito che cura.
A riprova di quanto sia importante, nella recensione e/o presentazione di un’opera, affidarsi a una persona che abbia la tua stessa sensibilità, scrittoria e non. E ciò a prescindere dai risultati finali ottenibili.

A presto

Lucia

 

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‘Romanzo on the Road’, photo by Lucia Guida

 

 

Romanzo Popolare, di Lucia Guida 

 

Romanzo popolare, terza opera della scrittrice e docente pescarese Lucia Guida, edito da Amarganta nel 2016, è un romanzo assolutamente femminile e al femminile. È anche un romanzo d’amore, ma non è un rosa. Si tratta della formazione di due famiglie che nel 1965 si trasferiscono nello stesso palazzo, a Pescara.
Sarà che gli opposti si attraggono – e queste due famiglie sono proprio una l’opposto dell’altra – sarà che per un certo periodo i rispettivi figli frequentano la stessa scuola, sarà, forse più pragmaticamente, che tra vicini di casa si tende a socializzare, tra le donne delle due famiglie si crea un legame particolarissimo. Un legame che, anche se per ragioni e origini opposte, ha in sé l’esigenza di capire e di raggiungere una consapevolezza, allora come spesso ancora oggi, compromessa dal retaggio che vede il maschio prendere in mano le redini della famiglia.
L’equilibrio, sottile ma efficace come i fili di una ragnatela, trova il suo valore nel concetto di vicinanza, che prescinde da meri interventi o aiuti materiali.
Tra le due si instaura una sorta di telepatia che, riesce, per quanto il destino conceda all’umanità, di limitare i danni e ciò, secondo me, dovrebbe animare ognuno: una vicinanza discreta ma continua che, anche se oramai sembra banale, ma purtroppo è così, impedisca a chiunque di dire, di fronte alle tragedie che quotidianamente infestano le cronache: «Sembravano così brave persone…».
Il legame tra Teresa e Maria, così si chiamano, è anche complicità, tacita e implicita, che deriva dall’infelicità insita nei rispettivi matrimoni; infelicità e insoddisfazione declinata in ogni loro forma e gestita con difficoltà, ma resistente anche ai vari fraintendimenti sempre in agguato e figli sociologici della sopravvivenza.
Tuttavia, nonostante tutto, gli effetti negativi – come purtroppo capita di solito – derivanti dai rispettivi rapporti seppur lì per lì neutralizzati dalla reciproca assistenza delle due, sembrano sfuggire a ogni argine e confluire sul più fragile: il figlio di Maria che, quasi a mo’ di agnello sacrificale, paga colpe non sue sotto un boia che applica sentenze sempre più misteriose.
Teresa non ha problemi economici, ha un marito con un ottimo impiego e due figli modello, mentre Maria ha un figlio scapestrato ed è sposata con un alcolizzato attaccabrighe che non riesce a tenersi un lavoro per più di qualche mese, costringendo così la sua famiglia a sacrifici immani e di cui lui non si rende neppure conto.
Ecco dove sta il valore di questo romanzo, in cui si racconta di un disagio, anche, latente: nell’identificazione del paradigma comune e degli obblighi reciproci tra esseri umani, meglio ancora se vicini di casa e inconsapevoli. Se non altro per riuscire a non andare a fondo del tutto, da soli.
Un piccolo appunto andrebbe alla copertina: non rende pienamente onore alla profondità dell’opera, scritta in punta di penna e con uno stile inclemente e sottile.

Mario Borghi, 13 giugno 2016

 

 

L’articolo originale lo trovate qui

 

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“Le due amiche”, acrilico di Cristina Bertuzzi

 

Al Salone di Sabato e di Maggio – Cronaca minimal di pancia di una mezza giornata al XXIX Salone Internazionale del Libro di Torino

Metti un weekend di metà maggio e la possibilità di programmare di trascorrerlo al Salone di Torino, complici due editore, Cristina Lattaro e Paola Fallerini, molto ma molto simpatiche e competenti, un libro nato per Amarganta da poco meno di tre mesi e una figlia universitaria book addicted che ha voglia di accompagnarti e condividere con te  quest’esperienza, facendoti da fotografa all’occorrenza. Aggiungi l’opportunità di tornare a Torino per visitarla ancora in primavera dopo ben 24 anni di assenza. Considera di aver deciso di vivere ogni occasione particolare che ti si prospetti all’orizzonte, sia pure con breve preavviso e senza troppi problemi.
Decidi senza tema di ripensarci di regalarti un paio di giorni per trascorrere un fine settimana fuori porta.
Preparando un mini trolley in due ore scarse con lo stretto indispensabile per poi partire con leggerezza. La stessa lievità che ti dà la consapevolezza di aver diritto a godere dell’attimo, assaporando ogni briciola di ciò che vivrai.

 

 
Amici  & Conoscenze 

Ho sempre considerato presentazioni, fiere e premiazioni di concorsi letterari occasioni uniche per conoscere gente nuova, rinsaldare rapporti a cui tengo, provare a imparare e a metabolizzare situazioni diversificate. Anche in questo caso è andata così, e l’Universo o chi per lui mi ha dato una mano regalandomi conferme di vario genere, alcune molto piacevoli, alle idee che mi ero fatta a suo tempo. Gran bella bussola esistenziale l’istinto. A sapergli dare la giusta importanza e ad accettare di seguirlo con fiducia è capace di condurti per strade felici e in piano.

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presentando ‘Romanzo Popolare’ di Amarganta – Incubatore, sabato 14 maggio 2016
foto di Cristina Lattaro

 

Drink 

Sono convinta che la convivialità in un evento letterario sia un ottimo complemento. Non mi ha, quindi, stupita notare come in molti degli stand al firmacopie sia stato abbinato un momento di degustazione di bevande alcooliche, dal prosecco al vinello di riguardo. Peccato, però, che molte major abbiano deciso di coccolare esclusivamente gli ospiti vip oltre all’autore presente, evitando di estendere anche al lettore e/o acquirente estemporaneo la possibilità di brindare con loro.

Cin cin, allora, da me a tutti noi, senza distinzioni di sorta …

 

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ph. credits: iber-press.com

 

File & Giri

Al Salone se ne fanno parecchi di entrambi. Tra uno stand e l’altro, tra le varie sezioni, in ogni singolo box. A caccia di case editrici conosciute e meno conosciute, bei libri, personaggi scrittorii di spessore e amanti del defilé. Il visitatore del Salone è attento e disponibile, ben disposto a incolonnarsi in ordine per ambire a partecipare a margine di un’intervista importante, ricevere l’autografo sulla prima pagina del libro dal suo scrittore preferito,  rifocillarsi e bere in caffetteria e accedere alla toilette. Non protesta per il tempo che si dilata a dismisura anche in questa location privilegiata. Aspetta con pazienza che arrivi il suo turno, che sia per un cappuccino o una sbirciata al suo idolo tra una marea di teste che fanno da separé. E la serata procede, tra un traccheggio e l’altro, con indolenza.

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ph. credits: Salone Internazionale del Libro 2016

 

 

Shopping

 

Anche al Salone esiste la possibilità di acquistare libri allettati dal tre per due, in stand di case editrici importanti tanto quanto nei box delle case editrici minori. La Cultura paga sempre, specie se accompagnata dalla prospettiva di ‘far la spesa’ in modo oculato.

 

 

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ph. credits: Salone Internazionale del Libro 2016

 

Terzo Paradiso

 

E’ il titolo dell’installazione di circa 10.000 libri salvati dal macero o ricevuti in dono, composti da  Michelangelo Pistoletto, artista a tutto campo, in un suggestivo simbolo dell’infinito che reca al centro un cerchio magico; immagini, per ammissione del maestro, della circolarità del tempo e della rigenerazione della materia. Un’idea realistica dell’incertezza dell’oggi che è al tempo stesso speranza in un futuro meno confuso e sbiadito. Idea profetica, mi sia concesso, dell’avvenire stesso del mondo dell’editoria, in continuo divenire e in un alternarsi di salite e discese senza fine.

 

 

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‘Terzo Tempo’, Installazione di Michelangelo Pistoletto. Foto di Lucia Guida

 

Utenti & Visitatori

 

Seduta su una panchina colorata di verde in un attimo di riposo ho cercato di farmi un’idea sulla loro provenienza, non riuscendoci del tutto. Ne ho intravisti di convinti e di titubanti, trendy e regimental, fashion e radical chic.
Le mie simpatie sono andate tutte ai bambini, molti impegnati in laboratori creativi o in semplici spazi di gioco attrezzati ad hoc, a seguito dei loro genitori in passeggini, seduti sulla moquette del pavimento per un momento di relax o in un capriccio per un istante di stanchezza. Con i loro trofei in mano, che, manco a parlarne, erano libri.

 

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ph. credits: Salone Internazionale del Libro 2016

 

Suggestioni finali

 

Torino è una città signora dall’eleganza ricercata e mai ostentata. Ha fatto da padrona per tutto il tempo con un cielo velato di grigio e un acquazzone deciso che non ha minimamente scalfito nel pomeriggio la gioia di chi al Salone si era recato per passare ore di puro godimento libresco prima di affollare le vie del centro storico sino al fiume.  La giornata si è conclusa con promesse di sole e tepore. Promesse mantenute il giorno seguente.

Una signora realizza sempre sul proprio onore ciò che si è impegnata a fare. Comportandosi con la generosità di chi non conta il resto ma porge a piene mani tutto ciò che ha per il mondo intero prima che per se stessa.

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‘Mole Antonelliana’, foto di Lucia Guida

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Salone del Libro al tramonto, sabato 14 maggio 2016 – foto di L. Guida

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Presentazioni: Carmine Monaco intervista Lucia Guida sulle pagine di LiberArti Social Reader Writer Artist

Cari amici, la mia proposta di lettura per voi di oggi è la bella intervista realizzata da Carmine Monaco, critico letterario, scrittore e fondatore del sito LiberArti Social Reader Writer Artist, pagina culturale per cui da circa tre anni collaboro come autrice, per presentare il mio ‘Romanzo Popolare’.
Un modo per conoscere meglio me, il mio libro e Pescara, la città che a oggi mi ospita, degnamente ritratta dal fotografo freelance Guerino Di Francesco.

A presto

Lucia

 

Trabocco pescarese

foto di Guerino Di Francesco

Romanzo Popolare – Lucia Guida

di Carmine Monaco

 

In “Romanzo popolare”, il primo impatto emotivo avviene sbirciando da lontano Paolo e Teresa, una coppia di amanti clandestini il cui amore sta per finire, per volontà della donna. Che peso ha l’amore nella tua narrazione e perché hai scelto di raccontarlo?

Quello che io chiamo  Amore dsostanza  ha grande risalto nelle cose che scrivo, tanto da averne fatto una sorta di fil rouge sin dalla mia prima pubblicazione, una silloge di racconti intitolata ‘Succo di melagrana, Storie e racconti di vita quotidiana al femminile’, aver segnato le scelte di vita della protagonista del mio romanzo d’esordio, ‘La casa dal pergolato di glicine’ ed essere arrivati alla narrazione di tipi di amore diversi intravisti come facce della stessa medaglia in ‘Romanzo popolare’.  E’ stato oggetto di molte mie riflessioni, estrinsecate poi in tante delle cose che ho nel frattempo elaborato. Un sentimento importante capace di segnare l’esistenza di chi l’ha provato, nel bene e nel male. Probabilmente occuparmene così tanto mi è servito per mettere a punto con maggior consapevolezza la mia personale idea su questo sentimento, oggi forse più disincantata di un tempo, certamente più realistica. Un tipo di amore forte, potente, in grado di rivoluzionare l’esistenza di un individuo anche se soggetto a leggi umane. Una tra tante quella della tempistica: non c’è amore che tenga a fronte di un approccio cronologico sbagliato, di una sincronia che non riesce a crearsi per un incontro d’anime se il momento non è quello giusto per entrambi.

Teresa è una donna decisa e determinata, non agisce per timore del giudizio della gente ma perché sa assumersi il peso delle sue responsabilità, soprattutto quelle familiari. Ritieni sia questo il profilo caratteriale più comune tra le donne di oggi?

Indubbiamente la decisione di Teresa di mettere fine alla sua relazione extraconiugale, tornando nei ranghi di moglie in un ménage familiare tradizionale, risente appieno dei tempi in cui ho collocato l’inizio della mia storia. Siamo negli anni sessanta, sterzare per cambiare radicalmente vita rivendicando maggiore considerazione per le proprie esigenze di donna non è ancora alla portata di tutte. Certamente non delle donne che non godono di piena autonomia, anche intesa come indipendenza economica. Probabilmente oggi c’è in teoria più ampiezza di manovra. Nell’attimo in cui una donna realizza di essere impastoiata in un rapporto affettivo-sentimentale o in una relazione amorosa che stentano a crescere ha maggiori possibilità di esigere il ‘diritto a essere felice’ rispetto al passato, anche a costo di assumersi, in virtù di un potere decisionale più concreto, la responsabilità di ‘tirare la carretta’ da sola, senza cioè appoggiarsi a una figura maschile di riferimento com’era una volta. Che poi non lo faccia, accontentandosi, magari, di scelte di comodo, istituzionalizzate e quindi accettate socialmente a occhi chiusi, è un altro discorso: checché se ne dica, una separazione o un divorzio non sempre rappresentano una garanzia in tal senso.  Il cammino verso la riconquista di un’autonomia anche affettiva oggigiorno è assai spesso in salita. Prova ne siano i tanti episodi di femminicidio o di violenza di genere che popolano la cronaca odierna.

Nel tuo romanzo è molto rilevante la quotidianità delle donne, la dimensione del loro impegno e la loro importanza nella vita delle persone che stanno loro intorno, e questo vale anche per Teresa. Quanta parte dei tuoi convincimenti personali ritroviamo nel romanzo?

La società italiana è ancora molto imperniata sulla figura femminile come elemento portante anche se fa talvolta fatica a riconoscerlo effettivamente come tale. In questo siamo piuttosto legati a schemi culturali tramandati di generazione in generazione che fanno leva su quelle che tu in precedenza hai chiamato ‘responsabilità’. Sono le donne a farsi spesso avanti accollandosi carichi che potrebbero con tranquillità delegare o, meglio, condividere paritariamente con il proprio compagno. Uno tra tanti? L’educazione dei figli che è ancora in maniera preponderante appannaggio femminile, in famiglia come a scuola. E qui parlo da madre e da docente anche in base alla mia esperienza. E’ una cosa bella? Probabilmente no, non completamente. Certamente anche questa scelta è influenzata da stereotipi e tipizzazioni talmente radicati nei tessuti sociali di appartenenza da sembrare quasi ‘naturali’. Capaci, però, di avvilire la creatività, l’estremo buonsenso e la velocità di pensiero propri di ogni donna.

La mia opinione è molto precisa a riguardo, appartenendo alla quarta generazione di donne lavoratrici della mia famiglia; credo nel potere di autoaffermazione femminile ma anche nella complementarietà dei ruoli, in una visione affettivo-relazionale tra uomo e donna sinergica che non sia mero frutto di strategie ma di una reale compartecipazione. In ‘Romanzo’ ho, però, cercato di calarmi nella prospettiva di Teresa e di Maria provando a immaginare a cosa entrambe pensassero, quali fossero le ragioni delle scelte intraprese. Personalmente ho un’idea della maternità costruttiva: una scelta fatta di chiarezza d’intenti e non soltanto un’occasione per rispondere al richiamo dell’orologio biologico che è un ciascuna. Oggi possiamo a pieno titolo decidere se diventare madri, portando avanti in maniera illuminata questa possibilità, se ce la siamo concessa. Non giudico, parimenti, chi questa occasione non ha voluto né potuto coglierla: madri si diventa, più che nascere. Io ne faccio più una questione di qualità che di mero genere di appartenenza.

Quando scrivi tendi ad essere neutrale rispetto alla narrazione, oppure finisci col parteggiare per uno o più dei tuoi personaggi e far fluire il loro punto di vista e i loro sentimenti, insieme ai fatti?

In ‘Romanzo Popolare’ ho cercato il più possibile di non essere di parte, di mantenere una prospettiva realmente empatica, probabilmente anche perché ‘Romanzo’ è il mio secondo lavoro, ha pochi agganci autobiografici e rappresenta, anche dal punto di vista scrittorio, la mia parte ‘cresciuta’. In genere, però, nella narrazione come nella vita reale, cerco di ‘assecondare’ i personaggi, facendoli esprimere come più loro vorrebbero. Per una questione di coerenza e coesione testuale ma anche perché ogni forzatura potrebbe costare cara. Parlando per immagini, mi piace prenderli per mano per seguirli laddove loro vogliono condurmi, senza pregiudizi di sorta.

Barca e reti da pesca, porto canale di Pescara

Nel tuo racconto assistiamo alla quotidianità asfissiante di una donna prigioniera di una situazione familiare pesante. Come avviene, in un romanzo simile, la fase della “documentazione”? Quali sono le tue fonti e il tuo materiale di riferimento?

Sono una buona osservatrice di quanto mi circonda, lo faccio sempre con molta attenzione e sono portata, per indole e per forma mentis, a ‘leggere tra le righe’ andando oltre l’apparenza. C’è anche da dire che la mia situazione lavorativa e il fatto di aver cambiato qualche volta in più luogo di residenza mi hanno permesso di avere sotto mano situazioni diversificate che ho conservato dentro di me per poterle al meglio descrivere qualora si fosse creata una possibilità narrativa ad hoc. Voglio, tuttavia, rassicurare i miei amici: sono gelosissima della mia e dell’altrui privacy, non sarei mai in grado di riportare cose, persone e situazioni facilmente identificabili.

L’ambientazione del tuo romanzo è a Pescara. Tu vivi a Pescara. Quindi hai seguito la regola aurea del parlare dei posti e delle cose che si conoscono bene. Vorrei chiederti di descriverci invece la tua Pescara “interiore”: quali sono i posti della tua città che per te hanno più importanza? Li hai descritti nel romanzo?

A dire il vero la mia è stata una scommessa fatta anche e soprattutto con me stessa; ho voluto parlare di un lato poco conosciuto, fatto di atmosfere sommesse, sottaciute, poco evidenti della città che mi ospita da circa trent’anni. Pescara mi ha ‘adottata’ e ‘cresciuta’ con grande disponibilità ma io sono comunque un’outsider, una figlia adottiva che può concedersi il lusso di girare in semianonimato dal momento che non è facilmente individuabile se non per questioni professionali e/o lavorative. La mia Pescara ‘interiore’ è la Pescara più antica e ricca di storia, quella del quartiere di Porta Nuova che ospita il nucleo più antico della città, reperti romani inclusi.  San Donato rappresenta la propaggine periferica di quest’ampia zona, un’area in cui ho deciso di restare nell’attimo in cui la mia vita si è maggiormente definita, così come a suo tempo qui avevo stabilito di vivere.

La storia di Teresa si proietta in (e viene influenzata da) tutte le altre storie narrate. Qual è il tuo rapporto di scrittrice con questo personaggio così forte e con tutti gli altri? Quali sono i personaggi di questo romanzo che ami di più e perché?

Teresa è una donna certamente arbitro del proprio destino. Resta con suo marito, un compagno di vita che è in grado di assicurare a lei e ai loro figli il meglio a cui loro possano aspirare, sacrificando la propria femminilità e rinunciando all’amore pur di non essere artefice del terremoto esistenziale delle sue due creature. Spinge Giacomo e Lidia a conquistarsi con dignità un posto nel mondo affidandosi a quella sorta di ‘livella’ sociale che all’epoca era costituita dalla scuola che garantiva a chiunque la possibilità di ottimizzare la propria esistenza grazie a un sistema meritocratico che funzionava. Provo molta tenerezza per Giselda: una donna-bambina, prigioniera della propria fragilità emotivo-sentimentale, che non riesce a sopravvivere se non all’ombra di una figura maschile, decidendo di immolare se stessa e il figlio che porta in grembo a un amore impossibile piuttosto che scommettere in un domani migliore, diverso anche se vissuto in solitudine. Lo stesso Matteo è il prodotto di scelte educative e affettive devastanti che non gli permettono di crescere e di evolversi in maniera matura, consapevole. Un figlio di donna amato e appoggiato sempre incondizionatamente da Maria, sua madre, principio e fine della sua rovina. Una figura emblematica, quest’ultima, facilmente rintracciabile anche ai giorni nostri in tutte quelle madri che hanno scientemente deciso di irreggimentare emotivamente i propri figli maschi, impedendo loro di crescere e di recidere il cordone ombelicale per vivere di esistenza propria.

 

Carmine Monaco per LiberArti – Social Reader Writer Artist, aprile 2016

Foto a corredo dell’articolo su LiberArti di Guerino Di Francesco e di delcampe.net

 

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Weekend d’Arte

Trascorrere un weekend fuori porta può avere moltissimi lati positivi: la possibilità di riabbracciare tua figlia che studia fuori all’università, la soddisfazione di presentare il tuo ultimo libro in un localino niente male attorniata da ottima compagnia, l’occasione di poter visitare la mostra di uno dei tuoi pittori preferiti.

E’ quello che ho potuto sperimentare lo scorso fine settimana, da me interamente trascorso in una delle città italiane che più mi piacciono: Bologna.

Il viaggio inizia venerdì pomeriggio su un Freccia Bianca stranamente in orario e poco affollato, entrambe cose apprezzatissime dalla sottoscritta. Ed è, manco a dirlo, un percorso di studio e di lettura per buona parte incentrati sul libro di cui parlerò …

 

romanzo sul freccia bianca

La presentazione del mio libro di sabato 9 aprile 2016 si rivela un’opportunità d’oro per conoscere un angolino accogliente e molto carino: il Caffè Letterario Notturno Sud di via del Borgo di San Pietro, a pochi passi dalla Stazione Centrale di Bologna

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qui sono con la scrittrice bolognese Angela Di Bartolo, ottima relatrice dell’evento

La domenica prosegue tra nuvole, sole e caldo primaverile. Ma la luce più intensa me la regalano le opere di Edward Hopper, uno degli artisti contemporanei che più adoro, attualmente in mostra presso Palazzo Fava. So che le cose non rendono che in maniera pallida le emozioni per aver osservato da vicino opere meravigliose, ma non riesco a fare a meno di portare con me qualche gadget che mi ricordi questa mattinata felice

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Al secondo piano della mostra il mio sguardo di autrice è attirato da questa citazione che riesco a fotografare con la benedizione di un guardiano del museo, dal momento che non è un dipinto e non corre il rischio di sciuparsi anche se in genere non uso mai il flash per le mie foto

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La trovo meravigliosa per me e per tutti gli autori che si cimentano con la scrittura, un invito a proseguire con morbidezza, accuratezza e sagacia nella scelta e nella composizione di una pagina. Del resto, è da tempo che affermo che la qualità migliore di uno scrittore resta quella di usare con parsimonia e con tono misurato le parole. La medesima arte messa da Hopper nelle sue tele.

 

 

Intervista – Lucia Guida tra donne e amicizia parla di Pescara

Cari amici, in occasione dell’uscita e delle prime presentazioni al grande pubblico del mio ‘Romanzo Popolare’ ho avuto il piacere di conversare a cuore aperto con Ilaria Grasso per la testata on line l’Opinionista. Di che, direte voi? Del libro innanzi tutto, ma anche di un sacco di cose, scrittorie e non. Vi propongo questa bella intervista anche qui, approfittando della vostra pazienza e disponibilità anche stavolta, sperando di farvi cosa gradita.

Buona lettura e a presto

 

P.s. Per gli amici bolognesi amanti delle chiacchierate letterarie segnalo che la prossima presentazione di ‘Romanzo’ si terrà sabato 9 aprile 2016 a cura della scrittrice Angela Di Bartolo presso il Caffè Letterario Notturno Sud di via del Borgo di San Pietro 123/G, posticino niente male a un passo dalla Stazione centrale.
Inutile dire che siete tutti invitati 🙂

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Lucia Guida tra donne e amicizia parla di Pescara

 

Ben trovata Lucia, grazie per aver accettato questa nostra intervista: perché un romanzo su Pescara?

“Per una serie di buoni motivi: volevo narrare una storia ambientata nella città in cui vivo e lavoro da qualche decennio. Dare al lettore la possibilità di vederla da una prospettiva realmente empatica quale potrebbe essere la mia, dal momento che non vi sono nata e non posseggo filtri protettivi di nessun tipo. Raccontare di un quartiere, quello di San Donato, situato nella zona a sud-ovest della città, che è attualmente parte del mio vissuto e in cui, a suo tempo ho lavorato. Parlare, infine, delle inquietudini sottili di una città di provincia in un periodo, quello del boom economico italiano, in cui tutti avevano l’illusione e la speranza che tutto fosse possibile e ogni sogno potesse avverarsi …”.


Romanzo Popolare è un romanzo sulle donne e sull’amicizia…

“ È di sicuro un romanzo che parla di donne, nel bene e nel male. La solidarietà femminile è un miracolo quando la si incontra realmente. Teresa e Maria diventano amiche accomunate l’una alla sofferenza dell’altra. A ogni modo non c’è mai da parte di nessuna delle due la pretesa di prevaricare sull’altra, facendo leva sulle debolezze della più fragile. L’Amicizia di spessore dovrebbe essere sempre così, avulsa da qualsiasi tipo di manipolazione e/o di prepotenza affettivo-sentimentale”.

Che cosa rappresenta, nel tuo vissuto storico, il quartiere di San Donato di Pescara?

“Come dicevo poc’anzi il mio presente, dal punto di vista logistico ed emotivo; un quartiere di grandi potenzialità molto spesso trascurate. Una tra tutti? Il Centro Polivalente Britti, sorto dalla riqualificazione dell’ex Mercato Rionale di Via Rio Sparto: potrebbe davvero rappresentare un elemento portante di accentramento e di socializzazione per la vita del quartiere se sfruttato a pieno regime. É per questa ragione che ho deciso di partire con il tour delle presentazioni di ‘Romanzo Popolare’ da lì: per far vedere come anche un quartiere di semiperiferia, spesso associato solo ed esclusivamente alla Casa Circondariale omonima, sa indossare con dignità “l’abito buono” e non soltanto per occasioni speciali o rare”.

La scuola nel tuo libro…

” … è legata al ricordo del primo giorno di frequenza scolastica di Lidia e Giacomo, appena arrivati a Pescara da Sant’Eufemia, e al loro incontro ufficiale con Matteo, primo compagno di giochi pescarese, un bambino con un destino pieno di tante carenze e manchevolezze educative che non gli daranno la possibilità di crescere, anche affettivamente, al meglio. Per Giacomo e Lidia studiare rappresenterà la possibilità di guadagnare in modo concreto una strada migliore per il futuro. A ogni modo da docente non posso non sottolineare come un buon imprinting scolastico da sempre rappresenti un’occasione unica per non farsi fagocitare dal sistema. Io ci credo davvero e cerco di trasmettere ai miei studenti questa mia riflessione, facendo leva sull’aspetto di essere pensante che è in ciascuno di noi e che va messo nel giusto risalto e coltivato ad ampio spettro”.

Un romanzo sulle rinunce che spesso le donne compiono, nel nome della famiglia…

“Certamente legato al contesto storico cui fa riferimento, un arco di tempo in cui non c’erano molte possibilità per le donne di derogare dalle scelte personali in precedenza intraprese. A distanza di mezzo secolo mi viene, però, talvolta da pensare che, poi, tutto questo ventaglio di occasioni ‘al femminile’ alla fine non è che a oggi ci sia sempre: se c’è da scegliere a chi rivolgersi per ‘battere cassa’ è alla donna che si chiede in primis di farlo. E sto parlando di maternità non garantita, di scelte professionali sempre in bilico tra la realizzazione professionale e quella familiare, del cumulo di sensi di colpa con cui anche ai nostri tempi una donna, stretta tra se stessa e i proprio cari, debba far conto”.

La storia si snoda nel decennio che va dal 1965 al 1975: come mai questa scelta?

“Mi piaceva scrivere di un periodo da me vissuto in prima persona (sono nata nel 1965) in cui, davvero, tantissima gente aveva la sensazione di potercela fare, di essere in grado di conquistarsi un futuro migliore attraverso i propri sacrifici, forse spesso dolorosi e notevoli ma sempre e comunque ripagati. Una speranza di riscatto e di crescita che, ai giorni nostri, si è tramutata per i giovani in una grandissima illusione …”.

Una storia sulla maternità e sul riscatto che da essa proviene…

“Teresa e Maria cercano per quanto possibile di operare in base a ciò che per generazioni è stato loro trasmesso: fare di necessità virtù, difendendo i propri figli a sprezzo della propria vita. Una reazione se vogliamo basilare ma caratteristica di ogni madre che ha lottato e sofferto per la propria prole. La prima rinuncerà all’amore della sua vita, quello che l’ha svelata come Donna, l’altra rimedierà con extrema ratio a un matrimonio infelice che non è cresciuto e che sta annientando pian piano la sua vita e quella di Matteo”.

I tuoi progetti letterari per il futuro prossimo…

“Al momento c’è la promozione del romanzo che mi porterà in giro per l’Abruzzo e per l’Italia. E a tal proposito, un evento che ho piacere di partecipare in anteprima ai lettori de ‘l’Opinionista’ è la partecipazione con altri autori a una presentazione collettiva per conto di Amarganta, casa editrice rietina indipendente no eap, presso il XXIX Salone Internazionale del Libro di Torino, sabato 14 maggio. Siete tutti invitati”.

Lascia un messaggio ai lettori de L’Opinionista…

“Un messaggio di speranza nelle infinite potenzialità che sono in noi: darsi sempre un’ultima chance e soprattutto crederci. Farlo con coerenza, dignità e rispetto, cosa non semplice ma necessaria per poter, alla fine, camminare per le vie del mondo con andatura sempre più sciolta e spedita. Grazie”.

 

a cura di Ilaria Grasso per l’Opinionista, articolo del 1° aprile 2016. L’intervista integrale la trovate qui

 

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