Madri per sempre

Si diventa madri poco a poco e la progettualità che ha spinto ogni donna a sceglierlo è solo il primo, infinitesimale passo di un percorso che non le abbandonerà mai. E che durerà per una vita intera.

In questo estratto Marina Federici, protagonista del mio romanzo “La casa dal pergolato di glicine”, Nulla Die, (2013) si abbandona ad alcune riflessioni davanti a un dipinto antico raffigurante una maternità nella Chiesa Madre di Todi. Pensando a se stessa per la prima volta come madre e accettando di esserlo per sempre, nel bene e nel male.
Buona lettura a tutti

Lucia

‘Marina contemplò assorta quel volto estatico di Madonna con Bambino nel frammento di affresco che, a beneficio dei numerosi visitatori e abitanti del luogo, aveva sfidato secoli e secoli prima di toccare anche il suo cuore. La salita alla Chiesa Madre era stata faticosa, affrontata gradino dopo gradino, pian piano, in quel primo mattino di agosto in cui pochi erano ancora i turisti ad affollare la piazza sottostante. Sua madre avrebbe desiderato accompagnarla, ma lei non aveva voluto. Essere circondata dall’amore dei propri cari era una cosa impagabile, ma l’intento principale con cui lei si era recata a visitarli era quello di fare un po’ di luce in se stessa. Decidere di riscoprire le bellezze di quella cittadina medioevale, incantevole e intrisa del suo vissuto infantile

e adolescenziale, poteva essere un’ottima scusa per ritagliarsi qualche frammento di autonomia che potesse sfuggire alla seppur affettuosa ma eccessiva sollecitudine dei suoi genitori.

Aveva deciso di tenere il bambino.

Quel miracolo piovuto dal cielo in un frangente così complicato era un chiaro invito a guardare con attitudine positiva alla vita, dandole senso e concretezza, vivificandola di nuova linfa vitale. Sua madre, con l’intuito di tutte le madri del mondo, aveva già preso a sospettare qualcosa, notando il suo scarso appetito al risveglio e la sua insolita propensione a prendersi piccole pause di riposo nell’arco della giornata da cui attingere energie extra per arrivare, senza eccessiva fatica, alle prime ore della sera, quelle in cui non sempre riusciva a dare il meglio di sé. Nella tranquilla routine di suo padre, eternamente confinato nel suo studio, il suo arrivo aveva apparentemente fatto poca breccia. Lui era certamente contento di rivederla e il suo abbraccio rude gliene aveva data conferma, ma le sue esternazioni si fermavano lì e dopo una decorosa parentesi di convenevoli condivisi con sua moglie era tornato alle sue occupazioni di studioso di storia antica, lasciando che fossero gli altri a fare gli onori di casa.

Seduta all’estremità di un banco lucidissimo di legno Marina rivolse nuovamente lo sguardo a quell’immagine sacra femminile di altri tempi, notando con stupore come questa si limitasse a sorreggere in braccio il suo pargolo rivolgendosi a lui con un’amorevolezza che le parve quasi empatica. Sembrava quasi presagire il carico di sofferenza umana che l’avrebbe condotto via da sé, facendole assaporare soltanto per pochissimo le gioie della maternità. La Madonna e un Cristo minuscolo, in erba; una donna e un bambino come tanti senza un padre accanto; era la giusta dimensione, esclusiva e incondizionata, tra una madre e un figlio. Si toccò il ventre, cercando di stabilire un contatto con la creatura che vi era custodita. Le chiese scusa per la confusione che sentiva dentro di sé e, nello stesso tempo, la rassicurò sulla sua piena volontà di fare presto chiarezza. A un figlio, sia pure in nuce, tutto ciò era dovuto, si disse, augurandosi di trasmettergli quella serenità necessaria per potergli far decidere di restare con lei sino alla nascita, nel calore confortevole del suo grembo. Con gioia assurda sentì un moto d’affetto incredibile per il suo bambino e un coinvolgimento insperato per tutto ciò che lui, con il suo arrivo, avrebbe rappresentato per entrambi.’  *

*in Lucia Guida, (2013), La casa dal pergolato di glicine, Piazza Armerina (EN), Nulla Die

Gustav_Klimt-La-Speranza-II

“La Speranza”, Gustav Klimt