Goodbye April

Aprile è stato un mese di grande costruttività e produttività, permettendomi di realizzare moltissime cose.

Con gli amici del F.I.A.E. ho portato a termine la stesura semidefinitiva di “Luglio”, una puntata di sapore noir parte del romanzo Dodicidio edito nella collana POP libri in giugno dalle Edizioni La Gru e che è già visibile in grandi linee sul sito di questa casa editrice padovana.

Ho, poi, partecipato domenica 14 con il mio racconto edito Bella bella bella a un caffé filosofico de Lo spazio di Sophia, Associazione culturale per le pratiche filosofiche di Pescara. Abbiamo parlato di estetica, di gestione consapevole e non della propria corporeità, di equilibrio psicofisico e di molto altro con un particolare accento a ciò che l’aspetto fisico spesso riveste nella società odierna, fortemente legata all’immagine, vera o presunta di noi stessi, da noi  proiettata all’esterno.

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Dopo la bella intervista a cura di Laura Costantini per Scrivendo Volo ho avuto finalmente la possibilità di vedere anche nel web sul sito di Rosa TV, emittente televisiva digitale abruzzese, la mia “conversazione letteraria” con Catia Napoleone, scrittrice e conduttrice, con cui ho parlato di Donne e femminilità prendendo spunto dai racconti del mio “Succo di melagrana”.

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Sabato 27 aprile ho partecipato alla premiazione del Concorso Letterario Nazionale “Città di Grottammare”  come finalista, 4° posto ex-aequo, con un mio racconto breve inedito.

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Domenica 28 aprile ho, infine, presentato presso l’Associazione Culturale OliS il libro di Simone Angelucci e Alessandro Sonsini “La morra”, incisivo spaccato di quella parte della società agrorurale abruzzese che rischia di scomparire se con rinnovata consapevolezza comunità e istituzioni dei paesi pedemontani e montani del comprensorio della Majella non prenderanno seri provvedimenti lavorando in stretta sinergia.

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Con esercizio di estrema pazienza e di buona volontà sto continuando l’editing del mio romanzo di prossima pubblicazione sempre con la Nulla Die e da una decina di giorni con rinnovata motivazione, grazie alla disponibilità di Marian Fortunati,  pittrice en plein air americana che con estrema generosità ha accettato di farmi utilizzare un suo dipinto per la copertina del mio nuovo libro.

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La melagrana con la sua traccia vermiglia, discreta e persistente   cederà presto il posto a una fragranza intensa e altrettanto durevole, quella del glicine in fiore, al centro di un romanzo breve che parlerà di amore, amicizia, rispetto per se stessi e scelte di vita.
Argomenti importanti e veri tratti ancora una volta da vicende di ordinaria amministrazione perché non è detto che dalla quotidianità più spicciola non si possa imparare e talvolta anche sognare.

Nell’immediato ancora tanta strada da percorrere. In attesa, a fine maggio, di passeggiare con lievità sulla strada della routine a tinte rosa con la partecipazione delle mie storie evergreen di donna al primo festival dell’eccellenza femminile abruzzese Rosadonna che si terrà a Pescara, nel cuore storico della città grazie all’intraprendenza e alla verve di Cinzia Maria Rossi.

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Scrivere Donna è bello

“Progetto Scrivere Donna” è un’idea di Laura Costantini, giornalista RAI e scrittrice, per Scrivendo Volo, spazio web di Historica Edizioni dedicato agli amanti della scrittura e della lettura.

Il motto di quest’iniziativa, nata nel novembre 2012 su Facebook recita testualmente:
” Le donne e la scrittura. Le donne e il web. Le donne e il rapporto con gli uomini. Le donne e la maternità. Le donne hanno voglia di raccontarsi. Ascoltiamole. “.

La mia proposta per voi di oggi è la bella intervista di Laura alla sottoscritta, in cui trovano posto riflessioni tecniche di tipo scrittorio ma anche pensieri e notazioni sulla quotidianità.

Buona lettura

 

SCRIVERE DONNA 28/ Intervista a Lucia Guida, di Laura Costantini

Oggi è il turno di Lucia Guida, scrittrice che non esita ad affermare che: “in Italia essere donne non è sempre chiave di accesso preferenziale nella scrittura come nella quotidianità più… Ti basti sapere che una volta mi è capitato che un conoscente mi chiedesse se il mio libro intitolato “Succo di melagrana” vendesse bene come libro di ricette. Sono sicura che il personaggio in questione fosse assolutamente in buona fede.”

– Quando hai deciso di scrivere e perché?

R:  Ho iniziato a scrivere da bimba continuando a farlo con una certa passione fino all’adolescenza. Poi la vita mi ha condotta per altre strade in cui c’era davvero pochissimo posto per la scrittura.  Ho ripreso a farlo tardissimo, nel 2007, anno in cui ho cercato di mettere a punto molte cose della mia vita. All’inizio in un  blog della community di “libero”, un po’ per gioco e forse anche per ritrovare la me stessa di un tempo; riprendendo pian piano la mano e scoprendo con piacere che  le mie storie potevano interessare anche altri.

 

– Che tipo di libri leggi normalmente?

R: Non ho generi letterari preferiti; mi piace leggere di tutto senza pregiudizi di sorta e senza lasciarmi attrarre da ciò che è trendy a tutti i costi. Volendo e potendo scegliere, preferisco non comperare libri fantasy, pulp e noir.

 

– Hai mai preferito un libro a un altro per il genere dell’autore?

R: Se per genere dell’autore intendi orientarmi nella lettura preferendo un autore che amo (e quindi anche la sua originalità scrittoria in certo qual senso)  ad altri, ti risponderò che a volte mi è capitato di essere un po’ partigiana, pur non pendendo sempre dallo stesso lato. Per me leggere cose diverse è anche un modo, tra l’altro piacevolissimo, di aggiornarmi nel mare magnum dell’editoria odierna, in  equilibrio costruttivo tra l’utile e il dilettevole.

 

Hai mai avuto la sensazione che il tuo essere donna potesse, in qualche modo, ostacolare/favorire la tua passione per la scrittura?

R: Qualche volta mi è capitato e lo dico con semplicità, come notazione

di cronaca. Diciamo che da noi in Italia essere donne non è sempre chiave di accesso preferenziale nella scrittura come nella quotidianità più spicciola se al primo posto metti la testa piuttosto che altro. E qui mi fermo, prima di diventare maggiormente “caustica”, come direbbe mia figlia. Ti basti sapere che una volta mi è capitato che un conoscente mi chiedesse se il mio libro intitolato “Succo di melagrana” vendesse bene come libro di ricette. Sono sicura che il personaggio in questione fosse assolutamente in buona fede.

 

– Ritieni esista e sia individuabile una scrittura al femminile?

R: Perché no? In fondo si parla bene e compiutamente di ciò che si conosce altrettanto bene. A patto che ciò, tuttavia, non diventi alla lunga una sorta di gabbia dorata da cui sia difficile volar via.  Sperimentare approcci scrittori diversi potrebbe in tal senso evitare il rischio che come autrici ci si fossilizzi su tematiche monotono. Ad ogni modo l’universo femminile è talmente complesso e variegato da costituire sempre, almeno per me, un terreno fertilissimo d’ispirazione.

 

– Ritieni esista un pregiudizio nei confronti di un’autrice da parte dei lettori uomini?

R: Sarebbe ipocrita negare il fatto che nell’acquisto di un’opera, specialmente nel caso di un autori esordienti/emergenti, ci si orienti da un verso piuttosto che da un altro. Differente è il caso di scrittori e scrittrici affermati, credo ci siano meno spartiacque da considerare. Si compra quel determinato libro a prescindere dal fatto che l’abbia scritto un lui o una lei. La bravura e il talento non hanno mai nuance di colore predeterminate.

 

– Hai mai avuto la sensazione di una preclusione editoriale nei confronti delle donne?

R: La domanda è interessante e, se mi consenti, “ a doppia uscita ”. Se ci si lascia influenzare dal fatto che la scrittura debba necessariamente essere di genere ( ne stavamo parlando giusto qualche domanda fa! ), c’è da considerare come in maggioranza il popolo delle lettrici sovrasti quello dei lettori. E, quindi, in un’ottica di mercato potrebbe sembrare che le autrici siano in tal senso leggermente più avvantaggiate rispetto agli autori. A patto, tuttavia, di non ricadere nell’empasse di cui sopra: cristallizzarsi, cioè, in una tipizzazione letteraria che non aiuta certamente a crescere. Di sicuro in passato uno pseudonimo au masculin aiutava a emergere, se pensiamo a una George Sand  o a una George Eliot. A volte mi è venuta la tentazione di verificare se a oggi la situazione sia rimasta invariata oppure no, ma poi non  l’ho fatto: anche in tempi come i nostri, non sempre favorevoli in generale all’accoglimento di prospettive al femminile nei campi più disparati, sceglierei senz’altro di rinascere donna.

 

– Storie d’amore nei romanzi, pensi sia una roba da donne?

R: L’amore, che ci piaccia o no,  fa parte dell’esistenza  e non è sempre connotato da un happy ending. Parlarne in un romanzo o in racconti brevi con naturalezza è semplicemente prendere atto, nel bene e nel male, della forza di questo sentimento che spesso incide sulle nostre scelte di esseri umani.

 

– Esiste un pregiudizio nei confronti della cosiddetta narrativa rosa? E, se sì, come si manifesta?

R: Della narrativa rosa come genere letterario minore o come una specie di non genere, almeno a detta degli autori più seriosi? Il pregiudizio c’è e c’è sempre stato, portando spesso a snobbare autrici e autori che vi si dedicano stabilmente. Sta di fatto che alcuni ci riescano davvero bene; con una correttezza formale e intrecci ben congegnati, molto meglio di tanti scrittori “impegnati”, spesso deludenti nelle loro soluzioni scrittorie.

 

– È possibile, a tuo parere, una collaborazione tra scrittrici così come si configura tra scrittori nella creazione di movimenti letterari (New Italian Epic o TQ, per esempio)?

R: Io credo che la tanto sbandierata assenza di solidarietà femminile sia un pretesto per rafforzare stereotipi  in molte realtà sociali, tra cui quella del nostro paese, e che le donne possano fare grandi cose insieme. Dovremmo, forse, lavorare su questo tipo di cultura, soprattutto sull’aspetto di inclusione che l’appartenenza a gruppi o correnti letterarie presenta, per affinarlo al meglio. Magari considerando l’azione di stimolo le une per le altre, rappresentata dalla condivisione di linee comuni di pensiero nella creazione di un’opera letteraria. Una prospettiva raggiungibile non in  tempi brevissimi ma non impossibile.

 

Molte donne lamentano la difficoltà di dedicarsi quanto vorrebbero alla scrittura e i sensi di colpa per la necessità di trascurare altre cose. Tu come ti poni?

R: Non faccio eccezione collocandomi spesso sulla stessa lunghezza d’onda di tantissime donne come me divise tra mille situazioni. Nel mio progetto esistenziale ci sono due figli e un lavoro che al momento è la mia fonte di sostentamento principale. Posso, tuttavia, contare sulla comprensione dei miei ragazzi: non mi hanno mai fatto pesare la mia passione per la scrittura né il fatto di improvvisare un pranzo o una cena all’ultimo momento perché in quel frangente avevo voluto dare la precedenza a un momento di creatività sostanziosa.

 

– Cosa ne pensi dei fenomeni editorial-marketing degli ultimi anni e della fruizione soprattutto femminile che li caratterizza?

R: Mi viene in mente la pluricitata affermazione di Ogilvy, che molto britannicamente testualmente recita “Non contare le persone che raggiungi, ma raggiungi le persone che contano”. Ora io credo che nella fenomenologia del marketing editoriale non sempre contino davvero “ le persone che contano”. Che è capitato in più di una circostanza di propinare al pubblico femminile roba di qualità dubbia, sottovalutandone la capacità critica. Pensando che la stragrande maggioranza delle donne fosse in tal senso “di bocca buona”. Un preconcetto desolante oltre che profondamente discriminante.

 

Laura Donnini, nuovo direttore generale Edizioni Mondadori, ha annunciato che ci sarebbero molte autrici a lavoro per sfornare trilogie erotiche in linea con la moda soft-porn o mom-porn. Come ti porresti davanti alla proposta di entrare nel ciclo produttivo?

R: Da una posizione oltranzista di rifiuto, decisamente. Una notorietà conquistata a tavolino mi riporta alla scena orwelliana delle impiegate del Minicult, accuratamente  scelte per elaborare romanzetti porno farciti di sesso  a gogò e di un’infinità di luoghi comuni. Preconfezionati per “tenere buona” la gente. Essere in busta paga seppur di una grande casa editrice, orientata verso il soft-porn e/o il mom-porn,  poco vale se il prezzo da pagare è quello di scrivere di qualcosa che non senti. I vestiti adattati, si sa, finiscono presto con l’essere dimenticati nel fondo di un armadio. A costo di sembrare snob preferisco scelte editoriali differenti e di qualità, magari portate avanti da piccole ma dignitose case editrici NAP.

 

– Pubblicare purché sia è un principio da perseguire?

R: Se hai voglia di costruirti un curriculum letterario dignitoso non credo sia questa la strada da seguire. Ed è questa la ragione per cui consiglio a chi ha il desiderio di vedere “nero su bianco” ciò che ha scritto di rivolgersi a case editrici non a pagamento. La selezione è assicurata a priori.

 

– Come ti poni davanti al dilagare dei fenomeni editoria a pagamento, print on demand o self-publishing?

R: Credo di aver detto tra le righe cosa io pensi degli EAP. Il discorso è lievemente diverso per  il print on demand o il self-publishing. Anche in questo caso tutto va ricondotto a una questione di priorità: gli autori che si avvalgono di questi canali alternativi dovrebbero chiedersi perché hanno deciso di pubblicare e avvalersi, comunque, della consulenza di un buon editor o, meglio, di un’agenzia letteraria a cui demandare gli aspetti pratici di pubblicizzazione e propaganda dell’opera. Esistono, poi, problemi ancora più concreti come quello della distribuzione. Se ti autopubblichi ( e sto prescindendo dalla qualità vera o presunta dell’opera ) devi poter far circolare quanto hai scritto oltre a regalarlo ad amici, parenti o conoscenti . Un libro creato e stampato con tutti i crismi non può finire in cantina tra oggetti obsoleti e inutilizzati.

 

– Cosa ritieni che possa far la differenza nell’attirare un lettore: copertina, titolo, autore personaggio, passaggio televisivo o D’Orrico che si innamora di te?

R:  Potrei sempre risponderti che D’Orrico non è il mio tipo ma che diversamente … Scherzi a parte sono convinta che tutto contribuisca alla buona riuscita della pubblicizzazione e propaganda editoriale:  di pancia e con consapevolezza retroattiva punterei su una copertina capace di sedurre il potenziale lettore di primo acchito oltre a una quarta di copertina essenziale ma esaustiva, s’intende. I passaggi televisivi e le presentazioni dal vivo dell’opera sono, inoltre, estremamente importanti per l’effetto di ricaduta che ne deriva sull’autore:  ascoltarlo parlare può predisporre quanto meno all’acquisto del libro. Poi sta a lui fare buon uso della fiducia concessagli dai  lettori elaborando prodotti editoriali di buona qualità.

 

Quali tuoi buoni propositi salterebbero davanti a un improvviso successo?

R: Mi piacerebbe essere un po’ più frivola nelle cose più spicciole della quotidianità. Al momento non sempre posso concedermelo.

 

– Sei autrice del bestseller del momento, tradotta nel mondo, milioni di copie: togliti uno o più sassolini dalla scarpa.

R: Odio i sassolini nella scarpa, metaforicamente parlando e no. Forse proverei a gestire nel modo più normale possibile il mio successo, sperando di farne un uso ottimale. Per il resto io appartengo alla categoria di coloro che, seduti, aspettano con pazienza in riva al fiume.

 

– Scrittore/scrittrice preferito/a vivente e motivazione.

R: D’emblée?  Tracy Chevalier . Per avermi riconciliata col romanzo storico trattando con lievità e in modo estremamente moderno, contemporaneo, tematiche importanti. Descrivendo la vita così com’è, senza contorsioni o acrobazie. La quotidianità è, a mio avviso, fatta di persone comuni capaci di trasmetterci comunque messaggi  di straordinaria intensità partendo da cose apparentemente insignificanti come, ad esempio, un fossile ritrovato su una spiaggia o un mix di sostanze ridotte in polvere per la coloritura di un quadro. Blake avrebbe detto “ to see a world in a grain of sand”: una prospettiva visiva privilegiata  che dovrebbe essere appannaggio di ogni buon scrittore.

 

– Scrittore/scrittrice vivente che non riesci ad apprezzare e perché.

R: Posso avvalermi della facoltà di non rispondere?

 

– Parlaci del tuo ultimo lavoro e fornisci un motivo per cui dovremmo leggerlo.

R: Al di là di piccole ma significative collaborazioni in collane di autori vari, il mio ultimo lavoro da solista in ordine di tempo pubblicato è la silloge di racconti “Succo di melagrana, Storie e racconti di vita quotidiana al femminile” ed è un libro per tutti. E’ stato scritto nell’arco di tre anni e rappresenta in sintesi il mio cammino di crescita  scrittoria a oggi. E’ un’opera prima e, per tale ragione, una  dignitosa prova di volo. Prende spunto da una poesia dal titolo omonimo che ne costituisce il prologo e copre un arco temporale di circa settant’anni, dagli anni immediatamente precedenti la seconda guerra mondiale sino ai giorni nostri. Pubblicato a inizio del 2012 dalle edizioni Nulla Die , una piccola casa editrice indipendente NAP siciliana, è nelle mie intenzioni  il mio personale trait d’union per due mondi, quello della sensibilità femminile e maschile,  molto più vicini di quanto non si pensi. Esattamente a un passo l’uno dall’altro. Parla di donne forti capaci di scelte coraggiose: il mio messaggio di positività e di riscatto  per evidenziare l’infinita progettualità femminile che è in ciascuna di noi. Valiamo tantissimo anche se spesso lo dimentichiamo. Il mio ultimo lavoro in ordine di tempo è, invece, un romanzo attualmente in fase di editing in carico alla mia casa editrice, la Nulla Die. Della trama non dico nulla per scaramanzia anche se, per chi mi conosce bene, non sarà difficilissimo indovinare dove andrò a parare anche per questa volta …

 

Puoi fornirci un link che rimandi alla possibilità di acquisto? Grazie

R: Il libro è in vendita nei principali store online come Amazon, Ibs, libreria universitaria.it, lafeltrinelli, ecc. Il link delle edizioni Nulla Die è il seguente:

http://nulladie.wordpress.com/, a disposizione anche per gli ordini privati

Un grazie di cuore a te per la tua pazienza.

 

 

NB: L’intervista è disponibile in versione integrale qui

 

 

 

 

 

Dipinto di Lionello Balestrieri ( 1874 – 1958 )

 

 

 

 

 

Vita da prof

Ho scritto assai di rado racconti incentrati sulla mia categoria lavorativa, quella degli insegnanti. Probabilmente perché un processo creativo narrativo è anche, per certi versi, fuga dalla quotidianità più spicciola.

“Sinfonia d’autunno” è la storia di una prof che sta per congedarsi dai suoi alunni e dalla scuola in cui ha insegnato a lungo per intraprendere volontariamente un’esperienza lavorativa all’estero, in Irlanda. Il viaggio e il momento del distacco, nuclei tematici alla base di questo testo, diventano pretesto per sottolineare come dai rapporti interpersonali non si riesca mai a  sfuggire del tutto. E come in ogni desiderio di cambiamento e/o in ogni partenza sia contenuto in nuce il desiderio inconscio di fare ritorno, rappresentato dalla sottile malinconia di abbandonare cose e situazioni note.

Sinfonia d’ Autunno

Ottobre,  pensò con un impercettibile sospiro, annusando voluttuosamente l’aria che si offriva senza remore al suo olfatto affinato, serrando al mento il bavero dell’impermeabile. Ai suoi occhi si offrivano  le mille screziature cinerine di quel cielo autunnale in cui nuvole sfilacciate si rincorrevano facendo pendant coi mulinelli di foglie di platano accartocciate brunite, lì per il viale che portava alla scuola in cui insegnava. Un venticello beffardo la spettinò impietosamente  giocando a moscacieca ma lei non se ne curò. Si sentiva pienamente a proprio agio in quella giornata figlia del tempo e della stagione cui apparteneva.

Era in orario perfetto.  Poteva, quindi, permettersi di indugiare per la strada camminando a passo lento sotto il peso della borsa di tela a spalla che conteneva i ferri del mestiere: testi scolastici, un’agenda fiorata che la aiutava a ricordare con lievità maggiore i suoi appuntamenti lavorativi, un paio di pacchi di compiti dei suoi alunni diligentemente corretti, pronti per essere consegnati loro prima della sua partenza, prevista per quel fine settimana.

Nell’atrio dell’istituto la solita operosità di ogni mattina a inizio  giornata:  i ragazzi del prescuola appollaiati sui gradini della scalinata che conduceva al piano superiore, collaboratori affaccendati nel sistemare le ultime cose prima dell’incipit quotidiano, alcuni colleghi in ordine sparso tra la fotocopiatrice, il tavolinetto col registro degli avvisi, la sala docenti. Salutò tutti col timbro chiaro di sempre, attardandosi in uno scambio di battute con l’uno o con l’altra, pronta anch’essa per lo start. All’esterno, al di là della vetrata che dava sul cortile d’ingresso, ora brulicante a dismisura, pareva quasi che stesse per finire il mondo e aveva anche cominciato a piovere con decisione. Si chiese come sarebbe stato avere pioggia a colazione, pranzo e cena in quella piccola università a sud dell’ Irlanda in cui aveva deciso di continuare a insegnare l’Italiano; e se tutto il verde sconfinato di cui avesse potuto godere, l’avrebbe compensata della calura del sole e dei lunghi pomeriggi passati al mare a impigrire su una sdraio azzurra, attendendo che si facesse poco a poco sera.

Il trillo persistente e leggermente fastidioso segnò inequivocabilmente lo scoccare della prima ora di lezione. Con pazienza si trasse da parte, le braccia strette al petto, in un angolo non lontano dalla rampa che portava al primo piano, aspettando con calma che la fiumana di ragazzi vocianti la oltrepassasse smistandosi ordinatamente per le aule disseminate lungo  il corridoio.

Sul pavimento a poca distanza da lei, una foglia riuscita incredibilmente a sopravvivere al passo frettoloso di adulti e adolescenti, caracollò ai suoi piedi. D’istinto la raccolse per evitarle una fine peggiore, tenendola con delicatezza per il picciolo. C’era ancora qualche sfumatura dell’originario verde che l’aveva contraddistinta per almeno un paio di stagioni. Almeno sino a quando lo stesso vento che aveva giocherellato sbarazzino con la sua sagoma frastagliata nella bella stagione non aveva deciso di  aveva strapparla con rudezza inaspettata al ramo che l’aveva nutrita, sospingendola lontano da esso. Prima di trovare pace, miracolosamente intatta in tutta la sua perfezione, nello scrigno delle sue mani.

Si riscosse e si affrettò a raggiungere la classe, una terza, in cui per quel giorno aveva programmato quello che soltanto un paio di decenni prima i suoi insegnanti avrebbero definito tema e che in una sorta di balletto innovativo era diventato con nuova e pomposa terminologia verifica del lavoro svolto insieme ai suoi studenti. Ignorando la tecnologica linearità della LIM, si diresse verso la lavagna di ardesia che la fiancheggiava e, brandendo con dolcezza un pezzo di gesso bianco e tondeggiante, vergò sinuosamente le tre tracce che aveva scelto di proporre ai suoi alunni, mentre questi con insolita calma prendevano posto e si predisponevano a svolgerne una,  vocabolario e foglio protocollo alla mano, all’apparenza stregati dalla sua risolutezza o forse ancora sotto l’ effetto di un brusco risveglio mattiniero.

Girovagando tra i banchi si assicurò che tutto procedesse nel modo migliore, annotando mentalmente le assenze prima di trascriverle sul registro di classe. Poi assunse la sua postazione preferita: sguardo ai suoi ragazzi, in piedi e di spalle a una delle tre ampie finestre che davano luce all’aula, consentendo finalmente ai suoi pensieri di fluire altrove convogliandosi più o meno compostamente sulle ultime incombenze che avrebbero preceduto la sua partenza. Alla casa di cui avrebbe serrato con delicatezza le imposte, affidando la cura dei suoi gerani zonali a una vicina fidata, che ne avrebbe monitorato silenziosamente il letargo invernale e poi il tripudio che sempre seguiva alle prime avvisaglie primaverili trasformando il suo terrazzo in un’esplosione di rosso carminio e di verde intenso appena screziato di grigio. Ai due trolley aperti e riempiti a metà sul divano dello studiolo cercando di prevedere ciò che avrebbe potuto rivelarsi utile a una latitudine così dissimile da quella che sino ad allora era stata centro della sua esistenza. Alla cena di arrivederci che alcuni  amici avevano preteso di organizzare quella sera per lei. L’ avrebbero festeggiata intonando canzoni in rima e Paolo avrebbe sicuramente dato seguito alla sua vena artistica declamando poesie estemporanee che parlavano di addii e di ritorni certi. Perché lei sarebbe di sicuro tornata alla fine di quella che non era fuga da un presente incastonato in una routine rassicurante ma forse troppo scontata,  ma piuttosto voglia di fare e di reinventarsi con la consapevolezza di appartenere comunque a un luogo ben delineato fatto di terra, aria, acqua e fuoco. La città in cui era vissuta per più di un ventennio, che l’aveva adottata all’indomani di un matrimonio che non aveva avuto fortuna e in cui aveva  tuttavia deciso di continuare a vivere, sposandone il clima burbero determinato dal fiume e dal mare in eterna simbiosi e dall’Appennino lontano ma non abbastanza per non imporre la propria presenza massiccia a cose e persone.

Sbirciando con discrezione l’ orologio da polso constatò sorpresa che le due ore erano quasi al termine. Raccomandò alla classe di affrettarsi a consegnare e altrettanto febbrilmente cercò di fare mente locale a quanto nell’ora libera successiva avrebbe prospettato alla supplente che avrebbe preso le sue classi. Con scrupolosità aveva riempito facciate e facciate di annotazioni sui suoi ragazzi, parlando dei loro punti di forza e della debolezza di adolescenti in crescita, in cammino lungo sentieri spesso privi di indicazioni chiare. Figli di genitori  che sovente si dimostravano frettolosi passeggeri di treni in corsa lungo tragitti fatti di poche fermate, abituati a comunicare con estrema sommarietà piuttosto che provare a creare tassello dopo tassello  relazioni affettive efficaci che non rischiassero di sbriciolarsi come foglie d’ autunno sotto la camminata di passanti noncurante. Pensò ai tanti Daria, Michele, Blerina, Francesco armati di zainetti semivuoti, vestiti talvolta in modo troppo leggero per le intemperie che avrebbero affrontato. Alle loro vulnerabilità sempre pronte a riaffiorare in sorrisi che stentavano a comparire o che, viceversa, lo facevano in eccesso; ai tanti non detti per timore di parlare troppo, ai sentimenti tenuti troppo a freno per paura di soffrire, mentre ne raccoglieva i compiti che avrebbe di lì a poco corretto cercando di zigzagare, quel pomeriggio a casa, tra slang e formule espressive immediate e improvvisate, per riportare alla superficie quelle briciole di cuore dissimulate che pure c’erano e gridavano silenziosamente di essere riconosciute come tali. Pensò anche all’ “ A presto “ che avrebbe loro tra qualche giorno indirizzato: breve e intenso come solo le promesse concrete sanno essere. Un filo lanciato in avanti in attesa di essere con forza riannodato, augurandosi che le sue ragioni fossero da loro comprese e accettate e non vissute, viceversa, come frettoloso abbandono.

Con sveltezza prese le sue cose per andar via  avvolgendo tutti con lo sguardo in un abbraccio collettivo sfumato in un impercettibile attimo di incertezza, celato da un respiro profondo. Sulla cattedra la foglia autunnale col suo barlume di vitalità appena spolverizzata di polvere bianca rimase appoggiata sul registro dalla copertina blu in cui molto ancora delle giovani vite che racchiudeva sarebbe stato annotato e narrato. Con speranza e con  grinta rabbiosa infinite. Mai con rassegnazione.

L. Guida

photo by Medea