Ballata di una notte di plenilunio
Ci sono viaggi che durano pochi attimi e viaggi che durano una vita. E poi ci sono i viaggi della speranza, quelli compiuti con l’entusiasmo, la forza e la disperazione di credere ancora in una vita migliore.
In questo racconto, inserito nell’antologia di A.A.V.V. “Pensieri in viaggio”, pubblicata nel 2010 da Ibiskos Editrice Risolo, do voce ai pensieri silenziosi di Marisella, giovane ragazza dei primi del 900 partita oltreoceano alla volta della terra promessa alla ricerca di un’esistenza migliore e maggiormente soddisfacente. Compagna delle sue riflessioni la Luna, con i suoi raggi luminosi e benevoli, complici.
Buona lettura
Ballata di una notte di plenilunio
(… )
ora non piangere perché
presto la notte finirà
con le sue perle stelle e strisce
in fondo al cielo
e ora sorridimi perché
presto la notte finirà
con le sue stelle arrugginite
in fondo al mare
( … )
da “ Verdi Pascoli “ di F. De Andrè
– Marisella sei ancora sveglia ?
La voce in sordina di comare Tonia ruppe d’un tratto il flusso dei suoi pensieri facendola emergere dal torpore che l’aveva assalita. Decise però di fingere di essere quello che l’altra aveva immaginato continuando a tenere gli occhi chiusi, troppo stanca per replicare in qualsiasi modo, sentendosi quasi soffocare nel ventre di quel battello che l’aveva aiutata a recidere innanzi tempo antichi legami con la sua terra al pari di una puerpera che sa di doversi privare della propria creatura ed è tuttavia ancora traboccante di amore e di nutrimento per lei.
Era in viaggio da più di una settimana, con l’animo improntato alla speranza e alla fatica propri di un pellegrinaggio in cui ogni gesto, anche il più doloroso, è un sacrificio necessario per poter acquistare l’ambita indulgenza e un barlume di santità in altro modo difficilmente raggiungibili. La nave la stava portando in un nuovo Paese di cui non conosceva nulla oltre ai racconti immaginifici di chi c’era stato narrati attraverso una lettera o contenuti in brandelli di conversazione riportati dalle labbra dei pochi che avevano parenti emigrati. Aveva preso la decisione giusta? Ci sarebbero stati rimpianti? Al momento non lo sapeva. D’istinto, tuttavia, sentiva come la scelta compiuta fosse probabilmente l’unica possibile in quel futuro nebuloso potenzialmente foriero di avvenimenti a tinte scure che l’aveva d’improvviso avviluppata. Il destino l’aveva precocemente privata della sua famiglia e del conforto morale e materiale da essa rappresentato con la morte dei suoi genitori, periti di “spagnola” a breve distanza l’uno dall’altra, e della presenza di un fratello che aveva deciso di tentare la strada dell’emigrazione in Francia di cui a oggi non ne sapeva più niente.
In quel paese del sud, battuto dal vento in ogni stagione, d’estate come d’inverno, fatto di viuzze concentriche aggrappate tutte al suo nucleo originario, lei aveva atteso invano un segnale certo che non era giunto: quello di poter continuare a vivere in un microcosmo conosciuto sin nei minimi dettagli ma ultimamente per lei così poco benevolo. E un proponimento audace, lentamente, aveva cominciato a prendere corpo nella sua mente crescendo di giorno in giorno e fortificandosi per non darle la possibilità di ripensarci sommersa dai sensi di colpa. Ben poche ragazze nella sua condizione avrebbero avuto l’ardire di rifiutare, rischiando per l’affronto a terzi procurato di rimaner zitelle a vita, un matrimonio di convenienza. Eppure lei l’aveva fatto. Quell’attempato vedovo con prole in cerca di una moglie giovane e docile che potesse prendersi cura dei suoi averi e di se stesso davvero a buon mercato, l’aveva fatta arretrare di più di un passo. Nemmeno il parroco, chiamato a perorare la causa e a far “ragionare” la ragazza era riuscito a farle cambiare idea. Marisella aveva tenuto duro, recandosi in chiesa tutti i giorni all’alba pur di non attirarsi la malevolenza popolare e facendo, se possibile, una vita ancora più ritirata della precedente. E Tommaso, il barbiere scrivano della povera gente che come lei sapeva a mala pena fare la firma, l’aveva aiutata a stilare una lettera alla sua madrina di battesimo, emigrata col marito in America. Maria le aveva ridato un soffio di speranza, mostrando di volerla accogliere con sé, almeno fino a quando non avesse trovato di che sostentarsi da sola.
Marisella aveva venduto il suo bellissimo corredo ricamato a mano a certe signorine benestanti del luogo e un pezzo di terra che era la sua dote, procurandosi con fatica l’occorrente per pagarsi il biglietto e il parroco si era coscienziosamente incaricato, una volta al corrente dei suoi progetti, di affidare quella figliola caparbia a una famigliola che si apprestava a cercare fortuna oltreoceano. Erano partiti come ladri nel cuore della notte alla volta di Napoli per imbarcarsi su quella nave dal nome sconosciuto e altisonante, i pochi tesori conservati in fagotti e valigie di fibra di poche lire.
Il suo destino non era certo quello di Nuccia, conosciuta sul battello, sposatasi per procura con un giovane del suo paese che aveva deciso di sistemarsi con una conterranea di sani principi e senza troppi grilli per la testa non appena aveva laggiù raggiunto un po’ d’agiatezza con un lavoro sicuro. Quanti sogni e quanta fiducia racchiusi in quella foto minuscola e stropicciata serbata dall’altra in petto sotto la camiciola sottile fatta a mano! Sospirò piano invidiandola suo malgrado per quel sentimento d’amore che non le era ancora dato di provare, rigirandosi tra le coperte.
Si era sempre chiesta perché nei racconti degli emigrati più fortunati, quelli che poi tornano a casa per riabbracciare i propri cari col sorriso di chi ce l’ha fatta, mancassero descrizioni della traversata. Ora ne sapeva il motivo.
Non c’era nulla di fantastico o grandioso nei pochi metri di spazio assegnati ai tanti come lei, ma un senso di profonda desolazione dissimulata dalle preghiere recitate dalle donne e dai canti di calabresi, pugliesi, napoletani mormorati a mezza bocca nei dormitori di terza classe in quelle lunghe e interminabili nottate che parevano non avere mai fine. Anche lei a volte stentava, come in quel frangente, a prendere sonno, in silenziosa percezione di quell’umanità femminile sopita che con maggiore fortuna era riuscita, stringendo una medaglietta benedetta o una cosa di famiglia, ad addormentarsi.
Eppure non era la positività a difettarle.
Quel pezzetto di destino lei se l’era conquistato a caro prezzo riversando tutte le sue aspettative in un avvenire ben diverso da quello che le avevano prospettato, ne era certa. Nel suo modesto bagaglio c’era molto di più di qualche capo di vestiario o qualche oggetto caro. C’era la sua parte migliore, quella che aveva preteso, in nome del valore che sapeva di possedere, un’attenzione in più dagli eventi: una scommessa appena abbozzata, un grido di libertà e di consapevolezza pudicamente celati ma pronti a venir fuori al momento opportuno. Sarebbe diventata una bambinaia o un’operaia, o forse avrebbe alla fine ceduto alla tentazione di una comoda sistemazione da massaia, ancora non lo sapeva. Cosciente di aver voluto giocare una partita assai rischiosa ma rifiutandosi di intaccare, con altro atteggiamento, quel rispetto per se stessa conquistato barcamenandosi tra le avversità della vita con ammirevole fermezza.
Sotto il cuscino informe della cuccetta cercò febbrile un sacchetto odoroso di spigo, uno di quelli mescolati da sua madre alla biancheria, stesa ad asciugare nelle giornate di sole e vento sull’ erba verdissima e ripiegata ancora fragrante di aria e di natura sino al prossimo uso. Pensò alla serica delicatezza dei fiori del suo terrazzo augurandosi che sopravvivessero al lungo e deliberato abbandono grazie alle cure sollecite della vicina di casa e allo scialle ricamato di seta di S. Leucio, ricordo di sua madre, riposto con cura tra le sue cose più preziose. Aveva deciso di drappeggiarselo sulle spalle il primo giorno che fosse sbarcata in quel porto straniero avamposto della sua nuova vita. Sentiva che le avrebbe portato fortuna, impregnato com’era della dolcezza dei suoi giorni migliori e della sua storia familiare.
Desiderò di poter camminare anche per pochi istanti su uno dei ponti superiori alla luce della luna e con la brezza marina dispettosamente intenta a scompigliarle la crocchia di capelli castani accuratamente composta e a intrecciare i fili della frangia dello scialle di pesante lana marrone che la difendeva dalla nebbia e dai rigori climatici della stagione, ma decise di aspettare l’indomani. Preferiva non abbandonare il dormitorio femminile in piena notte senza compagnia e quel coraggio che l’aveva fortemente connotata negli ultimi mesi stava iniziando a scarseggiare dopo le dure prove di quell’interminabile viaggio. Con uno sforzo di volontà aveva deciso di accantonarlo tutto per ciò che, l’aveva appreso a bordo dai racconti di altre donne che “sapevano”, l’attendeva di lì a presso, una volta sbarcata documenti alla mano ad Ellis Island; stringendo ancora una volta i denti di fronte a quel nuovo ed esoso prezzo da pagare per giorni a venire migliori dopo notti faticose punteggiate di stelle minuscole e lontane, talvolta troppo difficili da scorgere.
Con delicatezza fece un altro piccolo nodo, il nono, lungo il sottile cordone di cotone del sacchetto di spigo marcando, con quel gesto quotidiano, il tempo per accorciare, se possibile, i tanti istanti che ancora la separavano da quel nuovo sentiero già profilato all’orizzonte.
Socchiudendo gli occhi desiderosi di riposo si abbandonò al beccheggio appena accennato della nave seguendo l’onda dei respiri ora lievi ora pesanti delle sue compagne. Sapeva che cedendo alla stanchezza sarebbe andata incontro a un continuo di immagini vivide e poi sfocate, di pensieri compiuti o appena delineati, di realtà e fantasia, consapevole tuttavia che ciò ora le avrebbe dato meno turbamento.
Sulla folla impazzita dei tanti perché avrebbe prevalso la sua coscienza avvolta da un delicato e beneaugurante profumo di lavanda libera alla fine dai chiaroscuri complicatissimi dei “se” e dei “ma”.
Di questo si sarebbe d’ora in avanti armata, questo a figli e nipoti avrebbe tramandato, giurò.
Comare Tonia finì di sgranare il rosario baciandone con antica abitudine la croce benedetta prima di metterlo via. Poi sbirciò la ragazza finalmente addormentata conscia di quanta forza si celasse in quell’esile corpo fortificato e abbellito prematuramente dal dolore. Chissà quanto ancora le sarebbe toccato in sorte, immaginò pensosa. Ma ce l’avrebbe fatta, concluse, e scaramanticamente si segnò.
Per omnia sæcula sæculorum.
Amen. *
Lucia Guida
* “ Ballata di una notte di plenilunio “ in A.A.V.V., 2010, Pensieri in Viaggio, Empoli, Ibiskos Editrice Risolo
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