Il linguaggio delle cose

Le cose parlano con la voce e l’anima che noi gli conferiamo attraverso i nostri pensieri. Rivestendosi dell’affettività di cui noi le connotiamo. Trasformandosi da semplici oggetti in frammenti di memoria e di vita.

In un racconto brevissimo di qualche anno l’insolita giornata di un comune ciottolo di spiaggia.

Ciottolo di mare

Era un comunissimo ciottolo di mare.

Tondeggiante e oramai senza più angoli da smussare, color ambra portato fin lì forse dalla corrente del fiume o prodotto dall’erosione dei frangiflutti che a una certa distanza dalla riva proteggevano dalla capricciosità dell’Adriatico quel po’ di spiaggia che era rimasta.

Giaceva immobile sulla battigia sottoposto agli umori dei passanti che avevano deciso di spendere quel giorno di arsura e di calura al mare. Gli facevano corona un guscio di conchiglia ormai vuoto, pezzetti lucidi di alga e un rametto di legno levigato dalle onde. In mattinata aveva attratto l’attenzione di un bimbo bruno e paffuto che lo aveva trasformato in vetrata o portone del suo castello di sabbia, costruito con notevole impegno e con l’aiuto attento della sua babysitter e della sorellina poco più grande di lui. Poi il piccino era andato via, lasciando la sua costruzione in balia delle onde che in poco, col risalire della marea, l’avevano rasa al suolo. E il ciottolo era finito nuovamente tra gli altri tesori del mare.

Nel primo pomeriggio era stata la volta di un adolescente magro e altissimo dallo sguardo incupito che se l’era rigirato più e più volte tra le dita, voltandosi di tanto in tanto, furtivamente, a guardare di sbieco una ragazzina allegra e biondissima che giocherellava in acqua con i suoi amici a pochi metri di distanza da lui. Alla fine il ragazzo, stizzito, l’aveva gettato assai lontano dalla riva all’ennesimo strillo di gioia della sua compagna prima di raccogliere la sua sacca e di allontanarsi a passo veloce.

Ma il mare, con  gesto tenero e paziente, l’aveva riportato alla base. E il gioco era ripreso da capo.

Un terranova dallo sguardo umido e gentile l’aveva annusato per poi scartarlo lateralmente con una zampa e proseguire il suo cammino  indisturbato seguito dal suo padrone. Il ciottolo era stato poi raccolto da una signora di una certa età che ne aveva osservate con attenzione le venature iridescenti indecisa se includerlo nella sua selezione di pietre, ma ci aveva ripensato e l’aveva lasciato cadere  nuovamente nella sabbia fluida e scura. Era rimasto a lungo in quella sorta di limbo semi nascosto fino a quando una giovane donna l’aveva notato e se l’era fatto scivolare in una tasca dei cortissimi shorts che indossava. Per il ciottolo era stato un momento di panico e di buio assoluti, per nulla  mitigati dalla sensazione di appartenere finalmente e definitivamente a qualcosa o a qualcuno.

A casa la donna l’aveva tirato fuori e, dopo averlo ben ripulito,  gli aveva scritto sopra a penna indelebile una data e una parola. Conservandolo in una scatola circolare e lucida assieme a un rametto di mirto secco, a diversi bigliettini, a un sacchetto di lavanda, ad altri sassi e conchiglie e a molto altro ancora che sapeva di ricordi e giorni lontani.

Poi era uscita sulla veranda e, con lo sguardo rivolto al mare, ne aveva respirato la brezza pulita; rientrando dopo pochi attimi e richiudendo, dopo di sé, con garbo ma con decisione,  la persiana di legno chiaro sul crepuscolo aranciato e sui suoi pensieri.

Lucia Guida

 

                     photo by alfemminile.com

Vendetta o Vittoria?

La gioia di scrivere

 

Dove corre questa cerva scritta in un bosco scritto?

Ad abbeverarsi a un’acqua scritta

che riflette il suo musetto come carta carbone?

Perché alza la testa, sente forse qualcosa?

Sostenuta da quattro zampette prese in prestito dalla verità,

da sotto le mie dita rizza le orecchie.

Silenzio – anche questa parola fruscia sulla carta

e scosta i rami

causati dalla parola “bosco”.

Sopra il foglio bianco s’acquattano, pronte a balzare,

lettere che possono mettersi male,

un assedio di frasi

che non lasceranno scampo.

In una goccia d’inchiostro c’è una buona scorta

di cacciatori con l’occhio nel mirino,

pronti a correr giù per la rapida penna,

a circondare la cerva, a puntare.

Dimenticano che la vita non è qui.

Altre leggi, nero su bianco, vigono qui.

Un batter d’occhio durerà finché lo dico io,

si lascerà dividere in piccole eternità

piene di pallottole fermate in volo.

Non una cosa avverrà se non voglio.

Senza il mio assenso non cadrà una foglia,

né uno stelo si piegherà sotto il punto del piccolo zoccolo.

C’è dunque un mondo

di cui reggo le sorti indipendenti?

Un tempo che lego con catene di segni?

Un esistere che a mio commando è incessante?

La gioia di scrivere.

Il potere di perpetuare.

La vendetta di una mano mortale.

 

Wislawa Szymborska

 

 

Essere autori per scelta e per passione. Iniziare con discrezione, quasi in sordina e continuare a farlo per il sottile piacere di vedere concretizzata un’idea peregrina, una storia che prende forma e spicca il volo, lasciandosi alle spalle una routine implacabile, le piccole e grandi contrarietà dell’esistenza, qualche inevitabile delusione per provare a intravvedere un futuro in continuo divenire: quello della propria creatività scrittoria.

Sorvolare con nonchalance l’indifferenza e la poca lungimiranza dell’oggi di qualcuno per continuare a inseguire un sogno leggero; appena legato al filo sottile di un aquilone lasciato a cielo aperto libero di dispiegarsi, seguendo come più gli aggrada le correnti d’aria prima di ritornare da te, ricadendo nelle tue mani. La tua creatura, un libro destinato a far sognare, immedesimare, condividere ad altri le tue sfumature emozionali e le tue scelte esistenziali, i tuoi tableaux di vita vissuta ora colorati a tinte vivaci ora con toni pacati.

Davvero una gran bella vendetta quella dell’autore: disvelare a mezza voce nell’orecchio del lettore verità nascoste e  imprevedibili lasciandogli la possibilità di scoprirne altre, maggiormente vicine alla sua sensibilità, col prosieguo della storia. Una vendetta sapiente a fronte della pochezza, della disonestà, dell’avarizia mentale e sentimentale dilaganti e contagiose.

Vendetta o semplicemente vittoria?

A me piacerebbe che fosse vittoria: trasparente e leggera come acqua di fonte, purificatrice, esorcizzante.

Un grazie di cuore alle intuizioni poetiche della Szymborska. A tutti noi apprendisti affabulatori l’augurio sincero di buon cammino.