On the Road – Strada facendo

Pubblicare un libro non è un traguardo da raggiungere ma un punto di partenza da cui procedere magari lentamente ma possibilmente senza fermarsi. Ponderando le tappe da colmare ma mantenendo una certa continuità e sistematicità. 
Ecco cosa è successo nell’arco di tempo di un mese dall’uscita del mio romanzo.

 “Come gigli di mare tra la sabbia”, Alcheringa, presentazione dell’opera nella Sala degli Alambicchi dell’Aurum di Pescara a cura di Arianna Di Tomasso e dell’autrice – 5 giugno 2021.

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17 giugno 2021, presentazione virtuale  sulla pagina fb della libreria Booklet di Ozieri (SS) a cura di Mario Borghi, libraio e autore

 

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8 luglio 2021,  presentazione nell’ambito della rassegna “Gelati Letterari” patrocinata dal gruppo editoriale Tabula Fati – Terrazza de La Playa, Pescara.
Ph. credit: F. De Dominicis

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21 luglio 2021, presentazione nell’ambito della rassegna letteraria “MARZIANI on the beach”, Stabilimento Balneare Aretusa di Pescara

 

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26 luglio 2021, presentazione nell’ambito del Primo Cammino Letterario Italiano patrocinato da Masciulli Editore, Riserva Naturale Regionale Sorgenti del Pescara

 

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11 settembre 2021, presentazione nell’ambito dell’evento artistico-letterario “Ciliegi, Immagini e Parole” ,  Country House Il Borgo dei Ciliegi di Grottammare (Ap)  

 

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19 novembre 2021, FLA2021 Festival di Libri ed  Altre Cose
Museo delle Genti d’Abruzzo

 

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23 agosto 2022, Salotti Letterari della Casina dei Tigli, Chieti

 

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Contributi rassegna stampa

“Come gigli di mare tra la sabbia”, incontro con la scrittrice Lucia Guida, intervista di Ilaria Grasso aka Emma Geddon

Interviste: Lucia Guida, conversazione con Annamaria Lucchese aka Babette Brown

Lucia Guida: “Come gigli di mare tra la sabbia”, recensione a cura di Antonio Frisa su Mentinfuga  

“Come gigli di mare tra la sabbia di Lucia Guida (Alcheringa)”, recensione a cura di Patrizia Debicke  su Libroguerriero 

“Come gigli di mare tra la sabbia”, videorecensione a cura di A. Fresa per Letture per Lettori

“Come gigli di mare tra la sabbia”, Alcheringa, segnalato su Cyrano Factory 

“Come gigli di mare tra la sabbia”, Alcheringa, presentazione video su youtube a cura di ErreVu Videoart 

“Come gigli di mare tra la sabbia, il romanzo di Lucia Guida: finestre su un presente fragile, articolo a cura di Fabio Iuliano su The Walk of Fame

“Come gigli di mare tra la sabbia”, articolo a cura di Fabio Rosica su La Dolce Vita Magazine

“Lo strano condominio di Lucia Guida”, articolo pubblicato da Fabio Iuliano sulla pagina regionale di spettacolo e società del quotidiano “Il Centro” in data 23.09.21

“Come gigli di mare tra la sabbia” al minuto 18:01 della rubrica “Parole d’Autore” di Antimo Amore in Buongiorno Regione di giovedì 30 settembre 2021 e al minuto 17,44 dell’edizione delle ore 14,00 del TGR Abruzzo di sabato 2 ottobre 2021

“Come gigli di mare tra la sabbia, Storia di riscatto su quattro piani dalla penna di Lucia Guida”, articolo pubblicato sulla piattaforma Virtù Quotidiane a cura di F. Iulian

La  recensione di Stefano Carnicelli sulla piattaforma SulmonaPost:

Come gigli di mare tra la sabbia

e sul sito Il Cielo Capovolto:

Come gigli di mare tra la sabbia
“Come gigli di mare tra la sabbia”, Alcheringa, nel palinsesto del FLA 2021 per la sezione L.o.c.

 

 

“The best books (…) are those that tell you what you know already.”
G. Orwell, 1984

Come gigli di mare tra la sabbia

Partecipazione

È nato “Come gigli di mare tra la sabbia”, terzo romanzo di Lucia Guida edito da Alcheringa per la collana le Ossidiane.

Ne dà l’annuncio commossa e felice l’autrice assieme a tutti coloro che in questo lungo periodo di gestazione l’hanno supportata e sopportata fornendole ottimi consigli, sostegno morale e anche materiale a base di caffè e tisane relax, amicizia disinteressata.

Lucia è grata a Lina Anielli, direttrice editoriale ed editor di Alcheringa, e a Eva Martinez Olalla, creativa e artefice della bellissima copertina, per l’ottimo lavoro in sinergia compiuto insieme.
Ringrazia, infine, di cuore sin da ora chi avrà la bontà di accompagnarla nelle varie tappe di questo nuovo viaggio lungo “per viandanti pazienti” (cit.).
Tra qualche giorno “Come gigli” debutterà sul sito della casa editrice che lo ha scelto e sulle pagine delle principali librerie online

Copertina jpg di Come gigli di mare di Lucia Guida

Tempo di primavera e novità editoriali

“È un viaggio per viandanti pazienti, un libro.”

A. Baricco

 

Cari amici, direi che ci siamo. I tempi sono più che sufficientemente maturi per annunciarvi che a breve sarà pubblicato il mio sesto figlietto scrittorio per i tipi di Alcheringa, ce noeap laziale, un romanzo di narrativa ambientato in età contemporanea in luoghi a me cari.

Scegliere di affidarne la cura alle mani attente e competenti di Lina Anielli ha richiesto da parte mia un’opera di cernita certosina. Volevo una casa editrice che fosse rigorosamente no eap con cui lavorare in reale sinergia valorizzando la mia scrittura senza snaturarla. Penso di esserci riuscita.

Restate connessi perché di info a riguardo altrettanto belle e interessanti ce ne sono ancora molte.

Soprattutto siate felici per me come io lo sono. Felici per la possibilità di poterci incontrare a metà strada anche stavolta legati dallo stesso filo: quello che empaticamente unisce autore e lettore sull’onda di pensieri, emozioni e sensazioni condivisi da entrambi.  

 

Lucia

 

 

 

 
 

Presentazioni d’Autore: “Vita, morte e miracoli di Bonfiglio Liborio” di Remo Rapino

La vita di Liborio Bonfiglio appare da subito segnata da quelli che Liborio medesimo, voce narrante di questo romanzo corposo vincitore del Premio Campiello 2020, chiama  “segni neri”: circostanze sfortunate, a cominciare dal temporale fragoroso che ne annuncia la nascita in una serata agostana sui generis in cui sua madre e suo nonno materno attendono medico e levatrice che tardano ad arrivare, e a terminare con l’attesa paziente del protagonista seduto in perfetta solitudine su una sedia spagliata nella sua modesta abitazione, pensando alla vita colorita in maggior parte di controversie che, si sa, “sono  come le cirasce, una tira all’altra”.
Eppure Liborio da bravo traghettatore cerca di reagire alla malasorte vivendo per ben ottantaquattro anni; attraversando il ventennio fascista, la seconda guerra mondiale, il boom economico, gli anni di crisi politica e morale del Belpaese, da lui percorso da centro-sud a nord e viceversa in lungo e in largo, alla ricerca di occasioni di vita migliore, di compagnie maschili e femminili mitizzate in cui identificarsi, come quella di  Venturi Ermes, conosciuto ai tempi del militare e mai più dimenticato assieme a Giordani Teresa, il suo primo amore e la figura del maestro Cianfarra Romeo, pietra miliare della sua infanzia e ricordo costante di ciò che avrebbe potuto essere se soltanto il destino gli avesse regalato occasioni più propizie. Liborio va avanti per la sua strada abbracciando fedi politiche e dottrine sociali in cui si riconosce, conservando in tasca la copia del romanzo deamicisiano “Cuore”, dono del buon maestro Romeo che mostra soltanto a chi sente affine al suo destino tanto da sceglierlo come depositario dei suoi racconti di vita e di strada e delle sue confidenze. Dei suoi sogni e delle sue speranze coltivati con estremo senso delle proporzioni, tipico atteggiamento di chi sa di poter osare sino a un certo punto perché ha tasche che possono contenere soltanto sassi con cui restare ancorato al suolo nelle giornate di vento forte. Un Cocciamatte savio a detta del dottor Mattolini Alvise del manicomio di Imola, luogo in cui Liborio soggiornerà a lungo a seguito di una vicissitudine tragica che lo ha visto protagonista e che ha segnato la sua fine lavorativa. Personaggio autorevole da cui l’operaio aspetterà invano in dono un camice bianco a testimonianza del pieno riconoscimento della consapevolezza e lungimiranza mostrate, certamente migliori e più profonde di quelle di tanta brava gente; un poveraccio connotato, invece,  da uno phisique du rôle ben preciso una volta di ritorno al luogo di nascita, appena tollerato dai suoi compaesani, incarnazione per qualcuno di essi dei peggiori disegni esistenziali. Eppure Liborio riuscirà a prendersi comunque la sua rivincita personale sull’Amore che a suo tempo non lo ha benedetto e su Maccarone, benestante marito di  Giordani Teresa, andando ben al di là del bacio casto di gioventù rubato in una giornata di grandi celebrazioni. Con il placet solidale dei lettori, attenti e curiosi sino all’ultima pagina di questa storia dolceamara in cui luci e ombre, sorrisi sfumati di malinconia autentica, si alternano e si fondono in spaccati di grande umanità culminando in un finale  scenografico ed evocativo ma certamente coerente. Un finale costruito da Liborio a sua immagine e somiglianza, allo stesso tempo rassicurante e intriso di pathos.

Il linguaggio con cui Remo Rapino fa parlare Liborio Bonfiglio è un mixage accurato di italiano standard e dialetto abruzzese, ricco di neologismi coniati dallo stesso Liborio per mantenere il passo e la storia all’altezza di tempi e luoghi da egli menzionati. L’opera è, infine, corredata da un piccolo glossario finale pertinente e utile a chi ha poca dimestichezza con il registro linguistico del protagonista.

Lucia Guida

 

L’autore

È stato insegnante di filosofia nei licei. Vive a Lanciano. Ha pubblicato i racconti Esercizi di ribellione (Carabba 2012) e alcune raccolte di poesia, tra cui La profezia di Kavafis (Moby-dick 2003) e Le biciclette alle case di ringhiera (Tabula Fati 2017).*

 

*minibio presa dalla quarta di copertina dell’opera edita da Minimum Fax

Remo Rapino, Vita, morte e miracoli di Bonfiglio Liborio, ISBN 9788833890876, € 17

 

La recensione originale è presente su questa pagina

Presentazioni d’Autore: “Non ci salveranno di melograni” di Maristella Lippolis

“Si dice che tutte le isole si somiglino un po’, ma ognuna nasconde un’anima segreta che si svela solo a chi sa cercarla”

Quando Laura si concede una vacanza in un’isola della Dalmazia nel periodo immediatamente precedente la guerra dei Balcani del 1991, lo fa principalmente per offrire a se stessa una boccata d’ossigeno in un periodo complesso della sua vita.  La donna, che svolge la professione di avvocato civilista, non riesce a uscire con distacco dal suicidio di una cliente, avvenuto davanti ai suoi occhi nel giorno fissato per un l’udienza di separazione di quest’ultima. A Laura quella circostanza tristissima riporta alla memoria un’immagine indelebile della sua infanzia: quella di sua madre, in bilico sul davanzale della finestra di casa e in procinto di lanciarsi anch’ella nel vuoto. La donna desisterà dall’intento nell’attimo in cui si accorgerà che la bimba è alle sue spalle. Laura è schiacciata dai sensi di colpa derivanti da queste due circostanze tragiche che le impediscono di lasciar fluire liberamente in se stessa e al suo esterno energie vitali indispensabili.
La scoperta della pensione di Vera nell’isola di Soline, visitata durante il suo viaggio, e la decisione repentina di soggiornarvi successivamente al giorno da lei fissato per la partenza, fino a buona parte della stagione successiva, è un’ancora di salvezza che il destino, se così si può dire, le offre all’improvviso per riflettere su se stessa attraverso lunghe passeggiate in luoghi naturali incontaminati e meditazioni scritte, lettere e pagine di diario, per fissare nero su bianco e tentare di dipanare i nodi esistenziali che le impediscono di accettare ciò che è stato ma anche ciò che presumibilmente sarà.
Laura ritrova nell’anziana donna croata, vedova e ancora innamorata del proprio marito scomparso in circostanze non chiarite, un importante trait d’union che le permetterà di recuperare lentamente ma stabilmente un rapporto più equilibrato con la propria madre riconoscendo in quest’ultima un’amorevolezza nei suoi confronti forse mal espressa ma presente sin dall’inizio.
Anche l’affetto complice e solidale di Goran, professore di filosofia e figlio di Vera, servirà alla giovane donna per riconciliarsi con se stessa e con quella parte di femminilità fatta di passionalità e razionalità mantenute, forse, troppo in sordina negli ultimi tempi della sua vita.
La routine semplice e spartana, mai banale, condotta sull’isola, la vicinanza ai quattro elementi che scandiscono la quotidianità essenziale dei suoi abitanti e una natura generosa che offre a piene mani a chi sa ascoltarla ad ampio spettro; i sentimenti gestiti allo stato primordiale scevri da sovrastrutture dai personaggi di questa storia, saranno un toccasana che permetterà a Laura di ripartire verso l’Italia forse con un retrogusto di tristezza per ciò che non si è compiuto ma con una consapevolezza e un senso di autostima rafforzati e approfonditi che le serviranno a progredire  a passo sciolto per le strade della vita.
Il romanzo di Maristella Lippolis, nell’edizione di Ianieri del 2018, è anche interessante per i molti  e attuali spunti di rielaborazione che offre al lettore in un’epoca in cui la tentazione di procedere per le vie del mondo in maniera epidermica per non soffrire (o soffrire poco!) è una tentazione sempre in agguato. La narrazione procede con attenzione e accuratezza stilistiche ma anche scrittorie sul filo del romanzo di introspezione psicologica affiancando tuttavia episodi di vita concreta e agita estremamente verosimili. L’autrice si impegna a toccare l’anima di suoi protagonisti e del potenziale lettore con estrema delicatezza alternando il non detto a descrizioni minuziose ma mai debordanti a corredo di una scrittura fluida e coinvolgente.

Lucia Guida

 

L’autrice 

Maristella Lippolis ha esordito nella narrativa pubblicando racconti sulla rivista “Tuttestorie”. Vincitrice del premio Piero Chiara 1999 con la raccolta ‘La storia di un’altra’, ha pubblicato i romanzi ‘Adele né bella né brutta’, Piemme, 2008, finalista al Premio Stresa dello stesso anno, ‘Una furtiva lacrima’, Piemme, 2013, ‘Raccontami tu’, L’iguana editrice, 2017. Collabora con la rivista ‘Leggendaria’, il ‘LetterateMagazine’, il MagFest.

Maristella Lippolis, Non ci salveranno i melograni, ISBN 978-88-94890-64-8,  €   14,50 

 

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Cosa bolle in pentola

Chiedo venia se ultimamente aggiorno col contagocce questo mio pezzetto di  vita virtuale autorale; sono il mio solo e unico ufficio stampa e talvolta ho poco tempo per  far fronte a tutto. Però continuo a esserci.

Ho, tuttavia, belle cose da condividere con chi con disponibilità continua a seguirmi lungo questo percorso fatto, forse, più di mondo concreto che di mediaticità.

Il 3 novembre 2018 in quel di Chiari (BS) il mio ‘Romanzo Popolare’, Amarganta, 2016, riceverà il Marchio Microeditoria di Qualità per la narrativa assieme ad altre opere  partecipanti al concorso omonimo che si sono distinte per il loro valore contenutistico, stilistico ed editoriale. Il Premio è inserito nella Rassegna della Microeditoria Italiana che annualmente si volge a   Villa Mazzotti Biancinelli sempre a Chiari (Brescia)

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L’11 novembre 2018 presenterò ‘Interlinee’ nell’ambito degli eventi letterari L.o.c. del FLA 2018 Festival di Libri e Altrecose a Pescara presso il Circolo Aternino. Relatrice Daniela D’Alimonte.

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‘Interlinee’, mia silloge di poesia, è stata di recente battezzata presso la libreria I Luoghi dell’Anima di Pescara  in una presentazione che è stata connubio di musica, conversazione e recitazione a cura mia, della critica letteraria Arianna Di Tomasso, di Tiziana Di Tonno, attrice, e del M° Vittorio Luciano Di Bernardo

 

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Dietro, infine, consiglio di mia figlia, pubblicitaria migliore di me stessa di quanto lo sia io, ho finalmente creato dopo la pubblicazione del mio quarto libro da solista la mia pagina di autrice su FB. Se avete voglia di curiosare, la trovate qui.

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Un grazie di cuore per esserci.

A rileggerci e risentirci presto.

Lucia

Presentazione d’autore: “L’Arminuta” di Donatella Di Pietrantonio

L’ultimo romanzo di Donatella Di Pietrantonio, scrittrice abruzzese, è intitolato ‘L’Arminuta’ ed è stato pubblicato da Einaudi nel febbraio 2017.
Protagonista è una ragazza adolescente, a cui l’autrice non attribuirà mai un nome canonico per tutta la durata della storia, la cui colpa, se così si può dire, è quella di essere stata restituita alla sua famiglia di origine dai genitori adottivi, dopo essere stata coinvolta in una pratica assai diffusa nelle zone del centro-sud d’Italia nel  secolo scorso e nelle famiglie meno abbienti: quella di essere ‘ceduta’ come figlia acquisita a parenti o amici di famiglia benestanti incapaci, per vari motivi, di soddisfare il proprio desiderio di genitorialità.

Qualcosa, però, in questo meccanismo compensativo sembra, a un certo punto, incepparsi.

Come nel peggiore dei suoi incubi la ragazza si trova all’improvviso e di nuovo catapultata in un ambiente familiare che le è estraneo e, per certi versi, quasi ostile. Per i suoi fratelli di sangue lei non rappresenta altro che una bocca in più da sostentare e i suoi veri genitori  la accolgono senza fare storie probabilmente perché rassegnati con fatalismo al fluire impietoso della vita che non concede troppe chance a chi la osserva dai bordi.
Gli unici a mostrarsi accoglienti verso l’Arminuta, la ritornata, sono Adriana, che le si affeziona da subito, unica sorella in una famiglia composta esclusivamente da prole di sesso maschile, Vincenzo, primogenito e figlio prediletto, che la guarda tuttavia con occhi  diversi e il piccolo Giuseppe, segnato da un destino di stenti e di privazioni anche affettive che agirà per lui da deterrente nella sua crescita personale.

Da principio l’Arminuta tenterà di forzare la mano per riappropriarsi di spazi e tempi a lei promessi e poi negati, per poi accettare con resilienza la sua nuova condizione nel paese di nascita, monitorata a distanza da Adalgisa, la madre putativa che, vuoi per una forma residuale di affetto, vuoi per una serie di sensi di colpa, non l’abbandonerà mai del tutto. E grazie anche alla sua vita precedente la ragazza riuscirà ad affrancarsi da un futuro fatto di rinunce e mediocrità, costruendo la propria vita attraverso opportunità educative diverse rispetto a quelle concesse ai suoi fratelli.
La narrazione procede nella fabula e nell’intreccio con linearità ed eleganza, conducendo in modo agevole il lettore attraverso le vicende narrate, illustrate anche attraverso espressioni dialettali caratteristiche dei tanti paesi dell’entroterra abruzzese italianizzate ma senza forzature evidenti e quindi assai fruibili per il lettore. Mi viene da pensare che tale scelta lessicale,  condivisibile, sia stata intrapresa di comune accordo, contemplando esigenze autoriali ma anche di editing. L’ aspetto psicologico dei personaggi è curato ma mai ridondante, con un’essenzialità che sembra riflettere quella dei luoghi in cui la vicenda si snoda.

Se c’è un messaggio sotteso all’intero testo narrativo questo è probabilmente legato alla precarietà dell’esistenza umana, alla volubilità delle circostanze definibili sino a un certo punto dall’uomo, a una certa ‘liquidità’ emotivo-sentimentale ante litteram( la storia si svolge a metà degli anni settanta del secolo scorso), anticipazione di molte inquietudini della nostra epoca contemporanea.

Con un fondo di speranza autentica: la possibilità reale di risalire la china affidandosi al senso di determinazione individuale posseduto da ciascuno di noi.

 

L’autrice

Donatella Di Pietrantonio vive a Penne (PE), in Abruzzo. Ha esordito con il romanzo ‘Mia madre è un fiume’ (Elliot 2001), vincitore di numerosi premi. Con ‘Bella mia’ (Elliot 2014) ha partecipato al Premio Strega.

Donatella Di Pietrantonio, L’Arminuta, ISBN 9788806232108, € 17,50

 

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Presentazione d’autore: “Grazie di te” di Francesco Pomponio

Zeb e Anna e sono i protagonisti di ‘Grazie di te’, edito da Amarganta  a settembre del 2016 a firma di Francesco Pomponio, autore al suo terzo romanzo, il primo per questa casa editrice.
Il libro narra una storia d’amore, dai suoi timidissimi prodromi sino alla fine. Una storia di sentimenti e di persone in cui confluiscono le esperienze di vita dei suoi protagonisti, costretti loro malgrado a un’espiazione lenta di colpe mai commesse e a dover fare  i conti con un bel fardello esistenziale e con avvenimenti che tendono a metterli a dura prova nel corso dell’intera narrazione.

Zeb è un autotrasportatore che si è fatto da sé e che può gestire la sua vita, anche professionale, senza rendere conto a nessuno se non a se stesso; un cane sciolto che a un certo punto del cammino incontra Anna, all’apparenza personaggio etereo, una cameriera di uno dei tanti hotel che lui è costretto a bazzicare per motivi di lavoro. Con estrema pazienza, ma anche con la determinazione che lo ha contraddistinto nelle tante vicissitudini della sua vita, costruita pezzo dopo pezzo da solo, dopo un’infanzia durissima che lo ha segnato ma che non gli ha fatto perdere il senso d’orientamento, ( come, invece, è accaduto per molti dei suoi ex compagni di borgata), Zeb decide di rivoluzionare le sue giornate cambiando dimora e lavoro pur di poter restare al fianco della donna di cui si è innamorato, prendendosi totalmente carico dei sospesi che la affliggono e accettando di condividerli in toto, nella buona e nella cattiva sorte, nonostante le fasi altalenanti della loro relazione.

L’uomo si costringe ad acconsentire anche al fatto che Anna, a un certo punto, stabilisca di allontanarlo dalla propria vita; lo fa consapevole che il loro destino sarà sempre legato a doppio filo. Una dedizione totale che alla fine darà il giusto frutto con gli interessi, facendo comprendere alla donna tutta l’importanza rivestita dalla presenza costante e mai ingombrante di lui.

La narrazione è condotta in terza persona toccando momenti corali costellati dai numerosi personaggi di secondo piano ma assolutamente funzionali alla storia, che hanno il pregio di enfatizzare le caratteristiche dei due protagonisti, fornendo ottimi ganci scrittorii per il prosieguo della vicenda.  Ottimamente curati ed estremamente verosimili, come del resto è d’abitudine per Pomponio, i dialoghi, venati dall’ironia di Zebedeo che non perde occasione per fornire al lettore perle di buonsenso e saggezza, e dall’essenzialità della sua compagna, meno propensa a fornire ricette di vita forse perché più pronta ad agire anche a costo lasciare troppo spazio alla propria impulsività.

 

L’autore

 

Francesco Pomponio, nato in Abruzzo, ha vissuto a Roma per tutta la vita. Attualmente vive fra le montagne, anche se comincia a odiare la neve. Scrive da quando aveva 18 anni, ha cominciato con racconti per poi arrivare ai romanzi. Ha pubblicato una raccolta di racconti dal titolo “La macchina del tempo esiste già” e due romanzi: “La lavagna di Amerigo” e “Soave sia il vento”. Ha tre romanzi inediti e ne sta scrivendo un altro. Considera il lettore il vero protagonista di ogni storia e cerca di raccontarne di interessanti, dove succede qualcosa, popolate da personaggi unici, come uniche sono le persone. Attualmente si occupa di tecnologia e organizzazione di eventi per aziende. Scrive nei ritagli di tempo, ogni giorno una sola pagina alla volta, quando va bene due. Non aspetta l’ispirazione, scrive per sapere come la storia andrà a finire. Corregge molto, ma spera di avere la capacità di capire quando molto diventa troppo.

Francesco Pomponio, Grazie di te, ISBN 978-153724146-3  € 13,00

 

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La parola al recensore: “Romanzo Popolare” visto attraverso gli occhi di Daniela del sito “Chili di libri”

Cari amici, un saluto veloce per proporvi l’ultima recensione di ‘Romanzo Popolare’ pubblicata in ordine di tempo sperando di fare cosa grata, a cura della blogger Daniela, coautrice e fondatrice con Anita, del sito letterario Chili di Libri.

Buona lettura e a presto

Lucia

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Romanzo Popolare

di Lucia Guida

Dal sito dell’editore

Destini incrociati di donne che vivono in una Pescara variegata. Donne che rinunciano ai propri sentimenti per il bene della famiglia. Donne capaci di inedita determinazione per offrire una possibilità agli affetti più cari. Donne che immolano se stesse per superare l’indifferenza di un amore incondizionato. Esistenze mortificate eppure sublimate da un indomito spirito di sacrificio. Ricorsi che illuminano di una luce nuova fatali coincidenze. Tratti comuni che emergono a dispetto di conoscenze reali. Motivi che si fondono, saldati assieme dall’esistenza disperata di Matteo, bello e perverso, malato dentro perché la mela non cade mai lontana dall’albero suo.

Recensione

Appena ho iniziato a leggere il libro, me ne è subito venuto in mente un altro: due donne, palazzoni, figli coetanei, un marito violento e la difficoltà di arrivare a fine mese… Poi per fortuna, molto presto, questa storia ha preso una piega diversa.

La signora vittima del marito continua a essere vittima, fino a che una provvidenziale caduta (con una spintarella, certo), non la rende vedova. Sarà stata lei o il figlio? Poco importa. Uno dei due ha avuto il coraggio di liberarsi da quel giogo, da quella violenza quotidiana che è prima di tutto psicologica, che ti impedisce di vivere, di respirare, di star serena due minuti, senza avere paura di essere poi massacrata di botte, riempita di urla e improperi.

Matteo,il figlio undicenne si deve nascondere, cerca di non farsi vedere, non ha amici.

“Non avrebbe mai ammesso con chicchessia di desiderare una famiglia migliore. Si ripeteva spesso di non aver bisogno di nessuno e nei suoi sogni non c’erano calciatori famosi o biciclette fiammanti. Fremeva dal desiderio di cercare la propria strada altrove, lo avrebbe fatto da grande. Lontano mille miglia da una casa in cui non si sentiva protetto, succube dell’umore di un uomo che l’aveva spesso costretto, anche in giornate di pioggia o di freddo, a fuggire all’aperto per evitare le botte.”

L’altra signora, la vicina del piano di sopra, ha due figli, Lidia e Giacomo, e si è appena trasferita a Pescara. Ha lasciato non solo il conforto degli amici e di luoghi conosciuti, ma anche il calore del vero amore, quello che non prova più per suo marito, il quale si accontenta di non domandare per non sapere.

La storia va via veloce, come la vita. In men che non si dica sono passati dieci anni, i figli sono grandi, uno è partito militare, uno lavora come meccanico e la figlia sta diventando donna. Inizia ad attirare le attenzioni dei ragazzi e sono tutti presi dai propri affari. Non ci sono più i bei pranzi tutti a tavola, Maria si è risposata e il figlio Matteo rifiuta qualsiasi contatto, assomiglia sempre di più al padre.

È una storia tristemente quotidiana: le piccole meschinità della vita, i tradimenti, le violenze, la difficoltà di fidarsi, l’invidia e l’angoscia, la sensazione che non ci sia più speranza. Sentirsi un sacco vuoto per la morte del figlio e dover, in qualche modo, andare avanti.

È un libro scritto bene, che parla anche di argomenti difficili, come se fossero un contorno, nel trambusto della vita quotidiana, senza tuttavia negar loro l’importanza che rivestono.

 

Daniela

L’articolo originale lo trovate qui 

 

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Presentazione di ‘Romanzo Popolare’ al Gran Caffè Cigno di Chieti Scalo del 1° giugno 2016 per la rassegna ‘Mercoledì d’Autore’ a cura dello scrittore Alessio Masciulli

Estati d’antan

Quest’estate 2016 ha avuto un esordio e continua per me a essere piuttosto particolare. Tra le tante priorità che affollano la mia vita mi capita spesso di ritagliarmi a fatica spazi fisici e temporali da dedicare a me stessa e alle cose che amo fare. Questo momento di stasi, però, non mi dispiace: è risaputo che dalla riflessione scaturiscono sovente idee e messe a punto utili e funzionali per l’immediato futuro.
La mia proposta di lettura per voi, oggi, è un estratto di ‘Romanzo Popolare’, opera di narrativa e mia ultima pubblicazione per Amarganta in cui descrivo una notte estiva vista e vissuta da prospettive diverse. Punti di vista, manco a dirlo, prevalentemente au feminin.

A presto

Lucia

 

 

 

 

Erano i primi di luglio e il caldo continuava a farsi sentire più del dovuto. Lidia era alle prese con gli esami di maturità che l’avrebbero impegnata fino a fine mese. Alessandro era in tournée in Spagna con alcuni musicisti del Conservatorio “Luisa D’Annunzio”. Si sentivano spesso, le loro erano telefonate brevi e tenere, ma sortivano lo stesso effetto di un boccone per un affamato, non era la stessa cosa che vedersi e sfiorarsi. Lidia contava i giorni che mancavano al suo rientro e cercava di ottimizzare il poco tempo libero a disposizione dedicandosi allo studio.

Teresa e Dario avevano accettato che si fosse innamorata, allineandosi con la stragrande maggioranza dei suoi coetanei. Ai 45 giri in vinile si erano affiancate registrazioni estemporanee di audiocassette di concerti di musica classica incentrate su assoli di piano. Così avevano invitato a pranzo Alessandro, che si era presentato in giacca e camicia, un mazzo di fiori e un sorriso tra il timido e l’imbarazzato. Complice la passione di Dario per l’opera lirica, la tensione si era smorzata e quella sorta di reciproca avanscoperta si era trasformata in una piacevole occasione di conoscenza. Teresa aveva spopolato col suo timballo, le sue celeberrime crostate e lo stufato di carni miste. Alessandro aveva avuto il permesso di portare a passeggio Lidia con la benedizione di tutti, fratello maggiore incluso, lasciando di sé un ricordo positivo e l’idea di replicare.

I ragazzi avevano cenato in un localino del centro e c’era stata pure una serenata, offerta da un amico della proprietaria che si era divertito a strimpellare un paio di canzoni in romanesco a beneficio dei clienti. A Lidia era sembrato di toccare il cielo con un dito e suo padre, vedendola rientrare così felice, non aveva infierito sul ritardo di lei.

Teresa aveva raccontato la novità a Maria, l’altra si era limitata ad ascoltarla con un sorriso a mezza bocca. Un’espressione di circostanza che non arrivava al cuore. Quel mancato coinvolgimento, da Teresa messo automaticamente in conto, aveva generato una sottile crepa tra di loro.

Lidia decise che per quella sera poteva bastare, chiudendo con uno scatto il manuale di letteratura italiana, richiamata alla finestra spalancata sulla sera dal suono melodioso di un ddu bbotte strimpellato da qualcuno in lontananza.

Tra le ombre del cortiletto le parve di scorgere un movimento rapido che la incuriosì. Spense la luce della lampada da tavolo per tenere lontane dalla sua stanza le zanzare e si affacciò dalla finestra. Seduta su una panchina c’era una ragazza che non le parve di riconoscere. Aveva capelli lunghi di colore chiaro, forse biondi o rossicci, a quella distanza non avrebbe potuto dirlo. Era vestita di bianco con una maglietta tirata sul seno florido, allungata su una gonna al ginocchio di colore più scuro. La figura era immobile e dava l’impressione di essere assorta in pensieri importanti, le braccia parallele al corpo come in stato di abbandono. Soltanto il movimento impercettibile di un piede, calzato da sandali col tacco, tradiva il suo nervosismo. Lidia ipotizzò che potesse aspettare qualcuno.

«Lidie’, ma che ci stai a fare al buio? »

Sua madre aveva aperto la porta della stanza cercando di mettere a fuoco, nella penombra, la sagoma di sua figlia stagliata contro il blu intenso della notte.

Lidia si girò di scatto, colta in flagrante.

«Sono alla finestra.»

«E brava, così poi domani ti lamenti delle zanzare e fai storie per alzarti dal letto… Ma tirare la zanzariera proprio non ti va?»

Teresa si avvicinò brontolando sulla totale mancanza di senso pratico della ragazza. A cosa era servito che il padre si fosse ammazzato di lavoro per installare da sé le protezioni, lui che falegname non era, se poi c’era chi se ne fregava?

Lidia si staccò malvolentieri dal davanzale, permettendo a sua madre di rimediare alla sua trascuratezza con pochi gesti mirati. Attraverso le maglie strette della tela fitta non c’era più gusto a sbirciare di fuori. Decise, quindi, di dedicarsi ad altro.

«C’è rimasto un po’ di gelato, almeno?»

«Se ti sbrighi; non è che regga troppo nella ghiacciaia e tuo fratello l’ha riportato a casa già da un’ora.»

Teresa si lasciò precedere in corridoio mentre in cortile c’era un avvicendamento discreto di persone richiamate dalla sensazione illusoria di godere di un po’ di fresco grazie all’umidità emanata dai pini e dalle acacie disseminati lungo il suo perimetro. Giselda, tuttavia, non pareva esserne disturbata; aveva altro per la testa. Aspettava Matteo. Prima o poi sarebbe dovuto rientrare a casa. Dai Colli era scesa giù con uno degli ultimi autobus urbani ma contava di chiedergli di riaccompagnarla.

In fondo la sua richiesta era un mero atto di gentilezza da cui nessun cristiano si sarebbe potuto tirare indietro.

Cercò di non fare caso a due donne di mezza età che le erano passate davanti subissandola di occhiate indagatrici. Ripensò con desolazione al fatto che oramai di Matteo non aveva che notizie frammentarie provenienti dai clienti dell’osteria nella quale continuava a lavorare con sempre maggiore fatica. Era stata anche privata dell’aiuto di Onorina, ormai nonna a tempo pieno dopo la nascita del suo primo nipotino.

Matteo non aveva più interesse a farsi rivedere.

Non sapeva se la cosa le procurava più rabbia o dolore.

Forse le due sensazioni spiacevoli erano divise a metà e non aveva senso stabilire quale prevalesse sull’altra. Aveva sempre saputo che da lui avrebbe ottenuto poco. Matteo non era un uomo capace di sacrificarsi per il prossimo, non lo era mai stato. Eppure lei l’aveva accettato così com’era per ciò che lui aveva mostrato di essere, un cumulo di difetti e nient’altro.

Aveva tenuto il bambino arrivato per caso.

Non aveva avuto la forza o il coraggio di disfarsene come Onorina, con molta enfasi, le aveva suggerito, allungandole l’indirizzo di una sua conoscente molto brava e discreta in queste circostanze.

«Non te lo puoi permettere, un figlio senza sposo» le aveva detto.

Giselda aveva calato la testa, preso il pezzo di carta in cui la donna aveva scarabocchiato qualcosa con la grafia incerta, tipica di chi aveva fatto a mala pena le scuole elementari, come lei. Era andata via, finendo in solitudine quella serata così dolce nel grigiore di casa. Suo padre era andato al paese per qualche giorno, ospite di un loro parente per respirare un po’ di aria buona, una mano santa per i suoi acciacchi. Si era rallegrata di quell’assenza, fingere con lui che tutto andasse bene era sempre più difficile.

Un’andatura conosciuta le fece sollevare la testa. Poggiando la borsetta di lato sulla panchina, scattò in piedi, cercando di attrarre l’attenzione di Matteo. In fondo era lì per incontrarlo e parlargli.

«Matteo…»

L’uomo trasalì, girandosi verso l’ombra a pochi passi da lui. Una smorfia di fastidio sul volto.

«Giselda, ma che ci fai qui!»

Giselda lo guardò in volto, inspirando a fondo, cercando di radunare la dignità e il coraggio che le rimanevano.

«Ti devo parlare» mosse incerta qualche passo verso di lui.

Matteo lanciò uno sguardo rapido verso la finestra della cucina di casa sua notando che non era illuminata, segno che i suoi erano di sicuro seduti a godersi un po’ di fresco sul balconcino della camera da letto che affacciava dall’altra parte dell’edificio. L’afferrò per un braccio e la trascinò con rudezza verso il varco che portava alla via principale, illuminata da sporadici lampioni e poco frequentata. Notò con cinismo come lei non avesse opposto nessuna resistenza a quelle cattive maniere. Nell’attimo in cui raggiunsero una panchina più defilata delle altre, allentò la presa e lei ne approfittò per sedersi, sentendo che le mancavano le forze. Lo scrutò di nuovo, piantandogli addosso un paio di occhi pieni di sofferenza.

Poi con apparente determinazione lo apostrofò:

«Si può sapere che t’ho fatto? Non ti fai più vedere, telefono e a mala pena rispondi. Una persona non si tratta così.

Tu non puoi trattarmi così.»

Matteo girò di lato il viso, evitando di ricambiare il suo sguardo, puntando alla stradina secondaria che portava verso i campi e al canneto che gli era familiare.

Decise di giocare duro, tranciando senza compassione ogni maldestro tentativo di riappacificazione dell’altra. I tagli netti erano i migliori, sempre. Per lui Giselda era stato un intermezzo, neanche troppo felice, in una parentesi temporale di vita vissuta in modo piatto, incolore.

«Ma che ti sei messa in testa? Siamo stati insieme per un po’ e vabbè. Ma le cose sono cambiate. E tu non mi piaci più. Non come prima, almeno.»

Giselda alzò la testa come se qualcuno l’avesse schiaffeggiata.

Poi raccolse ciò che era rimasto del suo amor proprio e tentò di replicare con tutto il decoro che possedeva per mascherare quanto quel parlare nudo e crudo l’avesse annientata.

«Perché prima ti piacevo, vero? Come ti piaceva il mio letto, le mie cucinette, le domeniche sera e tutte le altre cose e gli sfizi che adesso ti togli con qualcun’altra. Sorpreso, vero? So tutto. La moglie di Torresi, giusto? Quello dell’azienda di autotrasporti a Tiburtina. Ti fa i regali costosi e ti porta sulla sua macchina sportiva in giro ppe’ fratte.»

Matteo la squadrò con apparente indifferenza.

«E se pure fosse, a te che t’importa?»

«Te la sei scelta ricca, bravo, complimenti. Ora cenette di pesce al ristorante pagate da lei e profumi costosi.»

Era troppo. Mascherando il disagio che l’aveva invaso suo malgrado, l’afferrò di nuovo per le braccia scuotendola con forza per farla smettere di parlare. Era un bastardo e lo sapeva, ma sentirselo rinfacciare con tanta foga da una tanto arrendevole, non lo sopportava. La sua inadeguatezza aumentò a dismisura senza, per contro, intenerirlo di un grammo.

Continuò a scuoterla fino a quando non la sentì cedere, allora la lasciò di botto mentre lei si afflosciava come la bambola di pezza dalle gambe lunghissime e sottili che teneva al centro del suo lettino ai Colli. Un involucro vuoto privato del suo contenuto.

«Qui non ci devi venire più, li si capite o no?»

Era una minaccia più che un ammonimento.*

*in Lucia Guida, (2016), Romanzo Popolare, Rieti, Amarganta

 

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foto di Robert Doisneau