Casa di bambola

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immagine di apertura di Antica Stamperia Aurora

Chi di noi non ha desiderato da bambini un giocattolo a lungo e disperatamente? Scrivendo, magari, una lettera a Babbo Natale o adoperandosi per ottenerlo con qualsiasi mezzo? In “Casa di bambola” ho colto a pretesto questa situazione per dare corpo al desiderio segreto di Mina, bimba di qualche tempo fa, ai suoi sogni e alla sua quotidianità infantile.

“Casa di bambola” è uno dei 24 racconti racchiusi nell’antologia “Ricordi di giocattoli” a cura di Federica Gnomo, scrittrice e blogger versatile. L’antologia contiene una bella intervista a Luciano Dreoni, titolare dell’omonima catena di negozi di giocattoli; per volere di noi tutti l’intero importo derivante dalla vendita del libro sarà devoluto all’associazione Veronica Sacchi (AVS) di Milano

Casa di bambola 

Avvolto con cura in una carta blu notte cosparsa di stelline luminose c’era quel dono tanto agognato da Mina. Mani invisibili l’avevano poggiato alla base dell’albero di natale in plastica verde, adorno di addobbi multicolori, fili argentati e dorati e lucine intermittenti riflessi nel vetro lucido e scuro della portafinestra della sala da pranzo di casa. Babbo Natale aveva mantenuto la promessa, ne era certa; e quell’enorme involucro non poteva che celare la “Casa di bambola” occhieggiata per tutto l’autunno nella vetrina del giocattolaio e libraio amico di famiglia e padrone di un negozietto senza pretese nel centro storico del suo paese. Innamorarsene e poi fantasticare sull’uso che ne avrebbe fatto, se quel giocattolo fosse mai diventato suo, era stata la forma di riscatto più tangibile per i tanti accompagni a cui si era assoggettata con cadenza quotidiana sino a poco tempo prima: alle interminabili e noiose conversazioni di suo padre col suo amico storico farcite di politica e letteratura, al freddo e al sentore di umidità trasudante da quel negozietto antico tramandato di generazione in generazione che nel corso di mezzo secolo aveva conosciuto pochissimi mutamenti rispetto all’assetto originario. Allo sguardo di malcelata sopportazione dell’unica commessa, limetta alla mano, seduta in cassa nella noiosa attesa dei pochi  clienti,  nel guardarla sfogliare con intraprendenza e avidità le pagine dei libri ben impilati sparsi un po’ dappertutto per ingannare il tempo indefinito delle  discussioni paterne condite dall’atmosfera fumosa delle tante sigarette divorate nell’arco di una serata. Tutto fino alla folgorazione che l’aveva colta nell’attimo in cui, in un pomeriggio piovoso di metà ottobre, aveva scorto in bella mostra in vetrina quella monumentale casa di bambola in miniatura sciogliendosi in adorazione come mai  in passato le era capitato al cospetto di un oggetto che non fosse uno dei suoi amatissimi libri. “Alle cose non bisogna mai affezionarsi”, aveva più di una volta sentenziato stoicamente suo padre. E lei con diligenza, sino a quell’attimo di innamoramento matto e disperato, aveva cercato di tener fede a quel precetto, chiudendosi occhi e orecchie di fronte a qualsiasi frivolezza infantile. Sino al fatidico istante in cui, tuttavia, la tentazione era diventata troppo forte per potervi far fronte con la determinazione e l’austerità di sempre. La commessa aveva intercettato sorniona il suo interesse e, una volta tanto, non si era premurata di contrariarlo, piazzando  il giocattolo strategicamente al centro dell’unica esposizione che dava in piazza, perché chiunque di passaggio potesse averne ampia e completa visione. Quell’abile mossa l’aveva, da principio, crucciata non poco e Mina, con gelosia a stento repressa, aveva più di una volta temuto che un papà o una mamma più intraprendenti dei suoi potessero decidere di comprarlo per una bambina altrettanto desiderosa di giocarci e di immaginarci un mondo intero dentro.

Ma per una strana e favorevole circostanza ciò non era avvenuto e lei, col procedere dei giorni,  aveva continuato a rimirarne con un certo compiacimento l’imponenza dietro quel  vetro ora rigato dalla pioggia ora appannato dalla condensa per poi finire sotto le feste contornato da luminosi campanellini beneauguranti, da un minuscolo Babbo Natale e da un’infinità di piccole cianfrusaglie natalizie che non ne avevano sminuito lo splendore, impreziosendolo oltre misura. L’attesa di quel regalo  si era rivelata più spasmodica  e sofferente che mai e Mina aveva raddoppiato il suo impegno nel comportarsi bene perché quel sogno potesse finalmente diventare realtà. Aveva regolarmente svolto i compiti assegnati dalle maestre, aiutato la mamma al bisogno, tamponato con insolita disponibilità e pazienza le intemperanze e la capricciosità dei suoi fratellini. Si era perfino messa di buona lena a ricavare uno spazio  tutto suo nella cameretta che condivideva con loro tra l’armadio e il muro, una sorta di porto franco in cui poter sistemare il suo minuscolo quartierino immaginando una vita spensierata, finalmente colorata a tinte pastello.

Venire a sapere che non c’erano abbastanza soldi per comprare ciò che considerava già di sua esclusiva proprietà da una conversazione notturna dei suoi genitori l’aveva inizialmente gettata in uno stato di profonda prostrazione, ma non si era tuttavia persa d’animo. Il giorno successivo era andata dai nonni materni e con insolita audacia per una bambina riservata come lei, gliene aveva parlato con così tanto entusiasmo da farsi venire le lacrime agli occhi. I due anziani si erano guardati l’un l’altra senza commentare, ma qualcosa doveva essere accaduto perché un paio di sere dopo la cassiera l’aveva squadrata con maggior indulgenza e con una complicità inusitata che l’avevano stupita e, suo malgrado, toccata nel profondo in modo inspiegabile.

Rimirando per l’ultima volta l’oggetto del suo desiderio Mina chiuse la porta a vetri del salone e tornò a nanna. Se Babbo Natale aveva fatto il suo dovere, premiandola per l’impegno considerevole da lei profuso nell’impresa, c’erano ancora speranze in un avvenire diverso, migliore.

Si trastullò nel dormiveglia immaginando di abitare realmente la minuscola sala da pranzo apparecchiandone la tavola con solennità come la nonna nei giorni di festa. Di aprire con slancio le finestre della sua cameretta, una stanza tutta per lei, interamente colorata di indaco. Il fatto che in quella casa di pupe ogni stanza avesse pareti colorate differentemente la faceva pensare a un arcobaleno spuntato sorprendentemente dal nulla in una giornata di cupo grigiore invernale.

Ai gemelli poteva andar comoda la stanzetta nel sottotetto; così avrebbero potuto fare le loro diavolerie senza troppo danno. Ma forse era il caso di sistemarli di fianco alla cucina. No, lì avrebbero potuto trovare posto soltanto i nonni; a pianterreno, per evitare di fare le scale, e per lei non sarebbe più stato necessario chiedere il permesso per poterli andare a trovare dopo la scuola, cercando di non essere intercettata dal cipiglio di suo padre, spesso nervoso e irascibile con tutti, da sempre avaro di sorrisi e di carezze, di parole incoraggianti. A lui e alla mamma aveva riservato la stanza più sontuosa, quella con l’enorme letto a baldacchino, la copertina rosa di seta artificiale profilata con una frangia che a toccarla ( e a lei era capitato di farlo spessissimo, di nascosto, quando la cassiera s’intratteneva fuori dal negozio col suo moroso ! ) sembrava di essere in paradiso.

Probabilmente in una camera bella e accogliente come quella avrebbero anche smesso di litigare e a lei non sarebbe più toccato di rassicurare i gemelli nottetempo, svegliati dal fragore delle loro voci alterate e dalle tante parole dure e pesanti come macigni palleggiate vicendevolmente con colpevole leggerezza. Il poco denaro e i lavoretti precari di suo padre, i conti della spesa da saldare. Un affitto in perenne ritardo da onorare, richiesto dal padrone di casa con implacabile puntualità a ogni primo del mese. Sua madre che si disperava di continuo ma che alla fine  faceva magie in casa e con tutti loro. I vestitini smessi ereditati da una cuginetta che non le piacevano per niente, tutti fronzoli e pizzi, e che doveva indossare con paziente arrendevolezza perché questi erano gli accordi tra la mamma e la zia felice di dare così una mano. Chissà, magari in quella casetta accogliente e confortevole avrebbe potuto esserci spazio anche per la cuccia minuscola di un bastardino da adottare e accudire con amore. L’avrebbe tenuto lontano da Marco e Matteo, beninteso, capaci di far saltare i nervi a chiunque, animali ed esseri umani, con la loro vivacità sempre eccessiva. E poi sarebbe stato bello ogni tanto organizzare una vera festa di compleanno con i suoi compagni di scuola più affezionati. Pochi in realtà. Una bambina silenziosa come lei, vestita come una bambola cresciuta troppo e in fretta, attirava poca simpatia. Con un sospiro chiuse gli occhi e attese che il sonno l’avvolgesse pian piano incrementando le energie per ciò che finalmente l’indomani l’attendeva: scartare con impazienza dissimulata quell’enorme pacco e poi difenderlo a caro prezzo dagli assalti inopportuni dei piccoli di famiglia.

Al momento la cosa importante era che la sua “Casa di bambola”, illuminata dagli sprazzi intermittenti di luminosità tenue e colorata, fosse lì sotto l’albero solo per lei.

A quel pensiero Mina si rasserenò, cullata dal respiro pesante dei suoi fratelli, la casa immersa in un’insolita quiete.

“ Magari potesse essere sempre così “, mormorò a mezza bocca, quasi in un soffio, con un sorriso stemperato dal buio profondo della notte; prima di andar finalmente via, lontano, in un mondo di sogni sospesi nell’attimo fugace delle sue speranze lievi di bambina sensibile.

Lucia Guida *

* “Casa di bambola” in A.A.V.V., Ricordi di giocattoli, Viterbo, 2013

Per info e ordini: fedegnomo@gmail.com

 

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Alla fine del 2013

E’ un dicembre dolce e pacato quest’ultima finestra sul 2013.

Chiude un anno variegato e bizzarro, in cui ho potuto fare il punto di tante situazioni, professionali ed extraprofessionali. Tanta consapevolezza in più ma anche tanta gratitudine verso i molti eventi che lo hanno caratterizzato in positivo.

Per la scrittura, coltivata ancora come hobby accanto al mio lavoro full time di docente, dicembre mi ha portato belle novità e piccole ma importanti gratificazioni.

Ho partecipato per la seconda volta alla XII edizione di Più Libri Più Liberi, fiera della piccola e media editoria romana, contribuendo alla tavola rotonda “Amori e tradimenti. Quante letture?” organizzata da Nulla Die, la mia casa editrice. Per me e per le personagge dei miei scritti un vero e proprio invito a nozze.

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Il mio racconto “Destini” si è classificato al III posto al Premio Letterario “Le streghe di Montecchio” 2013; verrà pubblicato assieme agli altri due testi vincitori nel 2014 da Fefè Editore  e presentato nella cornice suggestiva di un evento patrocinato dal Comune e dalla Provincia di Viterbo.          A “Destini” sono molto legata: è la mia unica prova a oggi esistente di racconto lungo  (superiore alle 30.000 battute ) e una vera e propria chicca per una come me, scrittoriamente stringata  fino all’osso.

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Con alcuni amici virtuali scrittori c’è un progetto bellissimo , un’antologia di racconti incentrata sul ricordo di un giocattolo della nostra infanzia che mi ha coinvolta sin dall’inizio. Un piacevolissimo intermezzo scrittorio per ricordare ( e ricordarci! ) che c’è sempre posto per “odore e sapore di bimbo” nel nostro cuore. L’antologia è curata da Federica Gnomo Twins,  scrittrice e blogger assai versatile. L’immagine che posto qui di seguito è molto evocativa. Se faremo in tempo, sotto l’albero di molti, quest’anno, ci saranno piacevoli novità.

I giocattoli raccontano

Venerdì 13 dicembre, giorno per me speciale da una vita perché giorno del mio onomastico, presenterò per l’ultima volta in questo 2013 il mio bel “Pergolato” presso l’Emporio Primo Vere di Pescara. Se siete in zona siete i benvenuti!

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 Per il resto noi non mettiamo limiti alla provvidenza …

Un caro saluto a tutti e a rileggerci presto, magari con uno dei miei racconti brevi