Cari amici,
per voi oggi un mio racconto breve pubblicato il 10 ottobre 2020 nella rubrica letteraria “Il sabato del racconto” di Parma Repubblica.
Poche righe che parlano di memoria e di affetti e di storie familiari inalienabili nel tempo che hanno ancora molto da raccontare.
Un ringraziamento speciale a Tito Pioli, curatore della rubrica, e a Lucia de Ioanna che mi hanno scelta e ospitata sulla loro pagina
A voi buona lettura
FOTOGRAFIE
Erano quattro scatole di cartone di misura e dimensione diversa. In origine avevano ospitato biglietti da visita, cioccolatini, calze da donna velate, una vestaglia da camera maschile di cui si era persa traccia. Ora contenevano semplicemente fotografie scattate nell’arco di più di un secolo.
Luana le impilò l’una sull’altra, poi si sedette sul letto matrimoniale della camera dei suoi genitori e iniziò a perlustrarne il contenuto.
Non erano state conservate secondo un criterio oggettivo di classificazione perché nella stessa scatola era possibile trovare immagini di diversa cronologia: risalivano ai primi del 900 quelle dei suoi bisnonni piccole, scure e austere, accanto a quelle di sua madre ritratta da ragazza in montagna o al mare, delle scolaresche rette con doverosa autorevolezza dai suoi nonni, entrambi insegnanti, e di loro tre, Luana, Marta e Vincenzo, da neonati ad adolescenti attraverso compleanni, celebrazioni di varia natura e gite scolastiche.
Qualcuna di quelle foto aveva mantenuto intatto il suo splendore iniziale e se non fosse stato per la patina giallognola che ne adombrava il retro si sarebbe potuto pensare che fossero state fatte in tempi certamente non recenti ma nemmeno troppo remoti.
Erano gli angoli fratti, rugosi e solcati da sottili venature biancastre a denunciarne la provenienza antica e le frasi a commento vergate con una grafia svolazzante dalla bellezza obsoleta ma persistente: pensieri d’amore, commenti estemporanei sui personaggi che li avevano suscitati, semplici date trascritte in modo criptico destinate a nomi di sconosciuti che a lei non dicevano nulla.
Un flusso potente di sguardi adulti e bambini, di paesaggi vacanzieri o cittadini, di interni casalinghi o di studi fotografici rappresentati attraverso fondali sontuosi, fatti di giardini lussureggianti uguali per tutti in cui l’unico segno distintivo era quello di ospitare l’immagine di una zia che non c’era più con la sua feluca goliardica in testa e il volto sognante rivolto verso un invisibile interlocutore o l’atteggiamento attento di suo nonno bambino vestito alla marinara il visetto pensoso immortalato dal fotografo per regalare a figli, nipoti e pronipoti l’idea di un giorno speciale trascorso con l’abito buono costato denaro e sacrificio a una madre che l’aveva cucito da sé o commissionato a un’altra donna madre anch’essa.
C’erano persino foto divise a metà da una sforbiciata netta a separare affetti importanti che a un certo punto avevano cessato di esserlo testimoniati da avambracci intrecciati l’uno all’altro e moine di sconosciuti uniti da sguardi reciproci e risate fragorose di cui nessuno avrebbe saputo raccontare più niente.
Luana esaminò con pazienza tutti quei pezzi di cuore altrui conservati con cura certosina perché potessero sopravvivere indenni a traslochi, abbandoni precipitosi di case, lutti e separazioni, trasferimenti da un cassetto all’altro per arrivare sino a lei e poter essere accarezzati ancora con un tocco gentile, rispettoso.
La paziente raccoglitrice di tutti quei frammenti di vita non aveva reputato di ingabbiarli in album fotografici regolamentari stabilendo di mostrarli senza filtro a chi avesse deciso di interessarsi a quei pezzi inediti di storia familiare, immortalati con generosità in fotogrammi eloquenti ma talvolta ripetitivi.
Le piacque pensare che il fotografo avesse comunque deciso di regalare quegli scatti extra al suo committente a corredo di fotografie più rappresentative che, invece, erano finite in cornici d’argento o nel portafoglio di persone care come pegno d’amore o d’amicizia per poi perdersi per strada. In quei contenitori di cartone mal assortiti, scelti per la loro capienza più che per una questione di pregio, c’era un mondo di situazioni che mancava alle narrazioni ascoltate da chi l’aveva preceduta.
Luana le prese in blocco e le infilò in una sacca in cui aveva già messo da parte uno scialle di seta della bisnonna e una borsina ricamata da teatro di una prozia materna accogliendo virtualmente dentro di sé i volti di tutti i suoi antenati di cui aveva memoria e anche di quelli che non era riuscita a individuare pur conoscendone per filo e per segno le vicissitudini. Di quei bebè sorridenti che non erano arrivati a un anno di vita e di chi, invece, aveva concluso in tarda età la propria esistenza.
Soltanto in quell’istante avvertì la compiutezza di quel gesto necessario e gentile.
Con calma spianò le grinze sul copriletto di piquet bianco del letto dei suoi, poi si alzò in piedi e, sacca in spalla, raggiunse i traslocatori in soggiorno per annunciare che in quella casa il suo lavoro era terminato.
Lucia Guida
Il racconto in edizione originale lo trovate qui
Ph.credit: Artribunedotcom