New Year, New Life, New Start: un pomeriggio al cinema con “Il ragazzo e l’airone” di Hayao Miyazaki

Anno nuovo, vita rinnovata, nuovi inizi. Un nuovo template per la mia pagina di autrice su WP e un pomeriggio al cinema con “Il ragazzo e l’airone” di. H Miyazaki. Perché nella vita nulla è lasciato al caso, mai. Per voi i miei appunti di viaggio e la mia lettura informale del film, da amica di penna e di storie.
A rileggerci presto

Lucia


風を受け走り出す がれきを越えていく

この道の行く先に 誰かが待っている

光さす夢を見る いつの日も

地球儀, 米津 玄師 




La vita ci offre sempre spunti grandiosi per chiudere il cerchio.

Con me lo ha fatto invogliandomi ad andare a vedere al cinema l’ultimo capolavoro di Hayao Miyazaki, Il ragazzo e l’airone, prodotto da Studio Ghibli e distribuito in Italia da Lucky Red. È la storia di un preadolescente tormentato dalla prematura perdita di sua madre e insofferente verso suo padre e verso la sua nuova compagna, Natsuko, sorella di sua madre, nei confronti della quale non riesce a nutrire la medesima incondizionata accettazione mostrata dalla donna nei suoi confronti, né accetta la sua gravidanza che lo trasformerà in fratello maggiore. Il film, dal I gennaio anche nelle sale italiane, ha fatto incetta di premi e di incassi oltre ad aver stuzzicato la curiosità degli spettatori per la lunga gestazione, metastoricamente parlando, che ha spinto il suo artefice a interpretare attraverso un lungometraggio animato di più di due ore la complessità della realtà di tutti i giorni. Tra i tanti notevoli spunti di riflessione quello che porto via con me è la considerazione vitale di come non sia peccato cambiare opinione sulla gente e sulle cose del mondo se soltanto ci si rende conto di essere sul punto di compiere un errore madornale. Attraverso un percorso alla Lewis Carroll,  popolato da personaggi bizzarri equamente suddivisi tra figure benevole e altre che lo sono molto meno nonostante l’apparenza piacevole e colorata, Mahito crescerà e si evolverà grazie a  un personalissimo viaggio dell’eroe espiando la sua iniziale (anche se umanissima e per certi versi condivisibile) mancanza di empatia verso Natsuko, unica dall’inizio della storia ad avergli teso una mano per riportarlo nella tranquillità di un’esistenza domestica fatta di affetti concreti. La mia chicca personale finale extra è stata ascoltare a fine proiezione, quale parte della colonna sonora del film, il brano 地球儀(ちきゅうぎ)Chikyuugi  “Spinning Globe” interpretato da  Kenshi Yonezu; pezzo in giapponese che le sensei Haruka-san e Grazia-san avevano proposto quest’anno a noi corsisti della sessione invernale Nyūmon 2 quale input extra da coltivare e su cui esercitarci. Ve ne propongo il testo in lingua originale e nella traduzione inglese perché possiate fruirne appieno. Quanto a me, spero di riprendere al più presto e in maniera più sistematica e costante il percorso culturale e linguistico nel paese del Sol Levante iniziato nella primavera scorsa.

僕が生まれた日の空は 高く遠く晴れ渡っていた

行っておいでと背中をなでる 声を聞いたあの日

季節の中ですれ違い 時に人を傷つけながら

光に触れて影を伸ばして さらに空は遠く

風を受け走り出す がれきを越えていく

この道の行く先に 誰かが待っている

光さす夢を見る いつの日も

とびらを今開け放つ 秘密をあばくように

あき足らず思いはせる 地球儀を回すように

僕が愛したあの人は  誰も知らないところへ行った

あの日のままの優しい顔で 今もどこか遠く

雨を受け歌い出す  人目もかまわず

この道が続くのは 続けと願ったから

また出会う夢を見る いつまでも

ひとかけら握りこんだ 秘密を忘れぬように

最後まで思いはせる 地球儀を回すように

あぁ、小さな自分の 正しい願いから始まるもの

ひとつ淋しさを抱え 僕は道を曲がる

風を受け走り出す がれきを越えていく

この道の行く先に 誰かが待っている

光さす夢を見る いつの日も

とびらを今開け放つ 秘密をあばくように

手が触れ合う喜びも 手放した悲しみも

あき足らず描いていく 地球儀を回すように



The clear sky on the day I was born was

So high, distant, and endless

The day I heard a voice patting me

On the back telling me to go ahead

Faces I met in the seasons

At times hurting one another

Shine by the light, the shadow extends

As the sky grows further away

I catch the wind and start running, overcoming the rubble

At the end of this road, someone is waiting for me

Dream of light shining through, at any day of the week

Open the door this moment, like revealing hidden secrets

Can’t hold myself longing for more, like the spinning globe

The person I loved

Has gone to somewhere no one knows

With the usual kind smile as any other day

Still somewhere far away

I take in the rain and start singing, not minding if seen

This road continues because I wished it would continue

I dream of meeting again, for ever and ever

I grasped the fragment firmly, so the secret remains

I’ll keep longing till the end, like the spinning globe

It all starts from an innocent wish made long ago

Carrying the loneliness in my heart

I turn the corner

I catch the wind and start running, overcoming the rubble

At the end of this road, someone is waiting for me

Dream of light shining through, at any day of the week

Open the door this moment, like revealing hidden secrets

The joy of holding ones hand, the suffering of losing one

Can’t hold myself from picturing, like the spinning globe*

*parole, melodia e interpretazione di K. Yonezu




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ph. credits: una scena del lungometraggio e una delle locandine filmiche reperibili su luckyreddotit

Buona fine d’anno e buon principio d’anno – Enjoy the Rest of the Year and Happy New Year

Capodanno

È capodanno:
tra il cielo e la terra
inizia l’armonia.

Masaoka Shiki

da Poesie, Acquaviva ( 2004)

Col senno di poi per me il 2023 è stato un anno in cui tutto si è compiuto nella maniera migliore anche se con una lentezza disarmante. Un ritmo esistenziale troppo morbido per la Lucia impatiens che, però, ha avuto il pregio di aiutarmi a mettere a punto molte cose della mia vita che erano in bilico e che necessitavano di una sistemazione (o soluzione, se preferite) diversa e migliore. Mi sono sentita spesso come una studentessa  in procinto di sostenere un esame a porte chiuse seduta su una panca di fronte alla stanza in cui entrerà per essere esaminata. Pronta per cimentarvisi ma timorosa di farlo. Dubbiosa su parti del programma ma nel contempo ansiosa di liberarsi di un fardello che è diventato troppo pesante da portare sulle spalle. Che alla fine si è seduta di fronte al suo examiner e ha dato la stura a tutto ciò che sapeva consapevole che l’esperienza e la conoscenza (ma anche le competenze possedute) non l’avrebbero mai messa del tutto al riparo dalla propria emotività. Chi nasce tondo quadrato non muore, dura lex sed lex. E poi, una volta sostenuto l’esame ha apprezzato sé stessa per aver dato il meglio possibile, si è alzata, ha ringraziato e se n’è andata a passeggiare in riva al mare, affidando alla risacca tutto ciò che avrebbe voluto dire o fare e che alla fine più o meno scientemente ha deciso di non dire o non fare.
Anche questo blog, nato come luogo privilegiato in cui esprimermi ma nella realtà assai spesso trascurato perché sacrificato ad altre priorità ha bisogno di una mano di restyling seria ed efficace. Soprattutto perché è il momento di mettere tutte le carte in tavola: inclusa quella in cui Lucia si assume la responsabilità di mostrare anche attraverso ciò che scrive tutta sé stessa senza intermediari “altri” comodi e compiacenti di sorta.
Quindi, cari tutti, anno nuovo vita nuova.
Di più non voglio dirvi; voglio tuttavia come sempre ringraziare l’Universo e coloro che per il suo illuminato tramite mi hanno condotta sino a questo punto insegnandomi a danzare sotto la pioggia prima di condurmi al sicuro e all’asciutto su una vera e propria pista da ballo.
L’appuntamento è a breve, a brevissimo. E questa volta è una promessa solenne. Nel frattempo il mio augurio sincero e condiviso è quello di centellinare questi ultimi istanti del 2023, tenendo però bene a mente e non perdendo mai di vista il filo lucente, sottile ma robusto dell’Armonia che ciascuno di noi regge in mano e che ha contribuito a dipanare pian piano perché ha realmente voglia di tessere qualcosa. Un oggetto unico che abbia prima di tutto significato per la propria unicità. Una piccola briciola di infinito messa a disposizione di chi possiede occhi per intravederla.

Lucia

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Scatto di Robert Doisneau (1912-1994)

Thinking and Writing as an English Teacher – 18th Lesson


Rampant ambition is addictive to those who practise it

 

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ph. credit: flickrdotcom

 

“L’ambizione sfrenata crea dipendenza in coloro che la praticano”

 

 

Perché non regalerò più libri scritti da me

Tempo fa mi è capitato di leggere nel gruppo Meta di Ultima Pagina – Editoria, Libri e Scrittura, fonte per me infinita di ispirazione per riflessioni scrittorie e di vita in senso più ampio, un post in cui si parlava dell’opportunità di regalare a terzi copie di libri scritti da noi. Sulla scia di questo input ho ripensato a quando in questa casistica sono rientrata anch’io. Ovviamente non sto parlando delle copie inviate per essere recensite, segnalate o partecipare a premi di scrittura: quelle sono da mettere in conto come dovute, poiché non a tutti piace leggere tout court il pdf dell’ultimo impaginato editato. Mi riferisco all’insana voglia che a volte mi ha presa mio malgrado (fortunatamente non spessissimo) portandomi a omaggiare chi mi aveva già letta con un gesto di riguardo che non ha però sempre sortito gli effetti sperati. Di questi doni raramente ho avuto riscontri successivi: un commento qualsiasi, nel bene o nel male  a titolo di mero feedback. Non volevo recensioni entusiastiche, avrei accettato anche sottolineature di altro genere. E invece nulla, il vuoto più totale. E il dubbio che qualcosa non avesse funzionato. Oppure, molto più banalmente, che quel libro fosse finito nel dimenticatoio e che gli apprezzamenti in precedenza da me ricevuti fossero stati un semplice esercizio di cortesia diplomatica. A mia parziale discolpa aggiungo che generalmente ho ceduto un mio libro a persone che conoscevo in carne e ossa, fisicamente. Non ho mai inviato copie in cartaceo e/o digitale a personaggi famosi a vario titolo in web o incontrati nel corso di eventi artistico-letterari: almeno lì ho avuto la consapevolezza piena che sarebbero con molta probabilità finiti in uno scantinato per disfarsi in ambienti umidi e polverosi. Oppure, peggio, in un cassonetto di raccolta differenziata della carta.  

Con la consapevolezza di qualche anno di pubblicazioni alle spalle posso con tranquillità affermare che un autore che regala un suo libro  a titolo completamente gratuito a qualcun altro (senza aver ricevuto sollecitazioni da parte di questi) fa una cosa inutile e fortemente dannosa: non aggiunge nulla né lo motiva a invitarlo e/o continuare a seguirlo nelle cose che scrive. Meglio lasciare che i tempi si compiano; che il neo lettore decida, cioè, di sua volontà se leggerti/continuare a leggerti oppure rivolgersi altrove.
Donare un libro che ti è costato fatica, impegno e magari anche più di un qualche amichevole scambio di opinioni con l’editor che ti ha aiutata a confezionarlo in modo ottimale per la pubblicazione non è MAI una buona idea. È come regalare un pezzo di te a un perfetto sconosciuto: può accadere che lo apprezzi ma è altrettanto probabile (forse di più) che lo consideri un extra poco gradito, semplicemente perché non è stato lui a prefigurare di acquistarselo. E non è di conforto ripeterti a mo’ di mantra che un regalo è sempre un regalo. Darlo gratuitamente a chi ti ha già apprezzata come autrice è egualmente poco funzionale; serve, però, alla grande allo scopo di capire se i complimenti che ti erano stati rivolti fossero autentici oppure no. Se non riceverai repliche di nessun genere vuol dire che quella persona si è limitata a fare una cosa che nel mondo dei social è assai diffusa: mettere un like sotto un post in maniera seriale e non dedicata, e quindi per te del tutto vana, per mantenersi con te aperta una porta per eventuali sue future occorrenze.
Esiste un’eccezione alla regola? Probabilmente sì. A patto di ricordare che un’eccezione è cosa da e per pochi, non per tutti. Spargere amore a piene mani, incondizionatamente, non ha mai portato bene a chi lo fa se questi non è in odore di santità o ha il dovere di agire in tal senso verso una persona che ha scelto per la vita di legare a sé (ad esempio un figlio). Ma queste sono forse altre storie, ben al di là dell’ambito scrittorio. Imparare a essere meritocratici anche nella veste di autori è un modo come un altro per dirsi e dire in seconda battuta al mondo “io mi voglio bene”. Un imperativo categorico che dovremmo ripeterci in varie prospettive di sicuro di continuo.

Lucia Guida

Manet, Donna che scrive

“Femme écrivant”, Édouard  Manet

Bloggheggiando alla fine di quest’anno – di partenze, pit stop e ripartenze

Quattro mesi di latitanza da questo blog di autrice sono davvero troppi anche se non me ne sono stata con le mani in mano. E quindi è per me piacevolmente d’obbligo fare il punto della situazione a pochi giorni dalla fine dell’anno.
“Come gigli di mare tra la sabbia”, Alcheringa (2021), mio ultimo romanzo pubblicato ha debuttato nell’universo/metaverso (io lo chiamo così perché è talmente variegato da dedicare una sottolineatura sui generis) dei concorsi letterari nazionali e internazionali ottenendo segnalazioni e visibilità, cosa non indispensabile ma incoraggiante per la sua creatrice.  Nel frattempo ho continuato a stilare recensioni librarie e filmiche sul portale di  Arte Libri Cinema Musica “Cyrano Factory”; dei miei piccoli contributi scrittorii in un’antologia di AAVV, nella rivista letteraria Arethusa, e con la mia minibio in un’opera collettiva dedicata a molti autori abruzzesi vi avevo già parlato.
Sempre a livello editoriale in pentola bolle qualcosa di nuovo di cui, però, mi riservo al momento giusto di parlare con maggiore ampiezza. Continuo a scrivere, questo sì, ma senza l’assillo di un’imminente pubblicazione. Coltivo la mia sfaccettatura social con i miei appunti di viaggio su Meta; lavoro a crochet e realizzo progetti unici e speciali pensando a me in primis e non semplicemente a chi li indosserà. Sogno di moltiplicare il tempo che ho a disposizione (meno di quello che mi servirebbe, ma questo è un altro discorso) per fare solo ciò che mi fa star bene. Ho dalla mia parte pochissime amicizie realmente sentite e disinteressate che coltivo e cerco di restare al bordi della pista da ballo in altre dimensioni per salvaguardare il mio libero diritto di farmi e perseguire un’opinione personale con coerenza.
Vivo la mia “Vita da Lucia”, insomma. Quella che mi sono creata poco a poco a mia immagine e somiglianza, che mi gratifica e appaga, che mi permette a gambe incrociate di ammirare in riva al mare tramonto e luna che sorge ma anche alba senza perdermi il suono armonioso della risacca e il profumo intenso della salsedine.

Auguri di cose speciali a chi passerà di qui. Prodighiamoci perché i nostri desiderata si avverino senza mettere limiti alla provvidenza ma con un briciolo di sano egoismo, continuando a volerci bene.
Noi ci rileggiamo presto, promesso.

Lucia

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Impressioni di un agosto salentino

Chi mi segue da tempo sa che a me piacciono gli scatti emotivi, quelli impregnati di umoralità e colore  caratterizzati da piccoli particolari all’apparenza insignificanti. È quello che ho cercato di trasmettere anche attraverso quest’ultimo reportage fotografico emotivo-sentimentale  in un breve interludio salentino, terra da cui mancavo da ben diciotto anni.
Lascio, quindi, commentare i miei pensieri alle immagini, limitandomi a fornire brevissime didascalie laddove reputo ce ne sia bisogno. Il resto tocca a voi: incontrarsi a metà strada serve a questo, a raccogliere ciottoli di mare sulla battigia privilegiando quelli che più ci hanno colpiti per portarli via con noi
A presto

Lucia

“Anche noi, come l’acqua che scorre, siamo viandanti in cerca di un mare”
Juan Baladán Gadea, citazione letta sulla litoranea verso Tricase di Castro Marina (Le)

Andare alla ricerca di acqua limpida (o di fresche, dolci acque, se preferite) è il tormentone che mi assale vivendo in una città di mare dalla movida ammiccante e variegata ma ahimè dalle spiagge “pettinate” per bene in cui poco è lasciato alla creativa rivisitazione del turista e troppo alla pianificazione di chi vuole che tu ti diverta di default. Il Salento in questo lascia la libertà di scegliere se affollare località vacanziere come Gallipoli o preferire cittadine dal flusso turistico un po’ più contenuto. In comune, tuttavia, c’è la qualità delle acque certamente di grado superiore sia di giorno che al calar del sole che ti invitano a fare un bagno rinfrescante accarezzata da lu ventu  che soffia a ogni ora sotto forma di brezza, tramontana, scirocco o ponente.

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Thinking and Writing as an English Teacher – 17th Lesson

You cannot write in a dignified manner if you have not fed and are not feeding more than abundantly on good reading

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“Milano non è mai stata una città di ricordi” (cit.) – appunti di viaggio in visita alla Pinacoteca di Brera

Milano è la seconda città che ho iniziato a scoprire per ragioni di tipo familiare grazie a mio figlio Emanuele che lì vive e lavora dai tempi dell’università. Per tale ragione è meta frequente di weekend all’insegna dell’arte, di iniziative culturali a vario titolo e di scoperta delle infinite possibilità che offre. A me che da relativamente poco la sto conoscendo appare simile a un prisma di cristallo: luminosa, dalle tante sfaccettature, in movimento perenne. Sospesa in un ideale presente permeato da un passato importante e protesa irreversibilmente verso un futuro che è cambiamento continuo e divenire incessante.
Com’è di consueto per me condividerò qui alcuni scatti emotivi presi alla Pinacoteca di Brera frutto delle mie impressioni di visitatrice curiosa e affascinata dalla ricchezza artistica che contraddistingue da sempre questo importante luogo della memoria.
Buona visione a tutti

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Rispondere alle esigenze del tempo proprio e altrui è sinonimo di grande consapevolezza. È questo che il museologo e critico d’arte Franco Russoli sembra voler comunicare a chiunque, per dovere o per diletto, cerchi di entrare in sintonia con la città di Milano

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Una giornata di sole, un cielo pulito prigioniero della copertura in rete a maglie strette che sovrasta il cortile interno della Pinacoteca sembrano suggerire come la Bellezza, oggi forse che più in passato, abbia necessità di essere protetta con amorevolezza e assertività per continuare a svolgere la sua funzione salvifica.

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Il tempo scorre con la stessa risolutezza di sempre quasi a voler sottolineare con la propria intransigenza il bisogno di ciascuno di noi di farne uso prezioso di nutrimento dell’anima

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La figura femminile trova ampio spazio nelle sale della Pinacoteca, tanto nelle numerose madonne con bambino quanto in ritratti di nobildonne o popolane. Quello che colpisce è la pacatezza dell’espressione immortalata dagli artisti che si sono occupati di raffigurarle: che siano affrante dal dolore, pensose, turbate da una notizia poco felice appena ricevuta o semplicemente illuminate dall’ombra di un sorriso queste Donne cercano di dare di loro stesse un’immagine pacata quasi a prefigurare attraverso di essa il destino che le segnerà nel corso dei secoli sino ad oggi. Quel segno di forza che non le abbandonerà mai e a cui attingeranno a mani piene nella buona e nella cattiva sorte e che le aiuterà a risorgere sempre a nuova vita.

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Anche una finestra schermata per evitare che troppa luce distolga il visitatore e danneggi i capolavori oggetto della sua ammirazione diventa opera d’arte attraverso il chiaroscuro che lascia intravvedere e la luminosità che stempera con sapienza

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Un lucernario artistico può a ragione contribuire alla luminosità discreta di uno scrigno prezioso a mo’ di pennellata sapiente 

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"Intérieur à la baie", M. Estève

Una vita a piccoli punti

Ci sono molti modi di fissare nel tempo pensieri e parole. Di recente, complice la situazione emergenziale in cui siamo oramai da più di un anno immersi, io ne ho scelto uno antico, da crocheteuse, in cui riesco a coniugare in maniera ideale tantissime cose. La mia voglia di creare, che non manca mai, e quella di poter toccare in concreto il frutto della mia costruttività. Il poter pensare e riflettere sulle cose della vita e del mondo in silenzio, tenendo tuttavia ben presente l’oggi. Chiedete cosa può succedere a chi è impegnato in un progetto di ricamo, cucito, di lavorazione ai ferri o all’uncinetto se indulge in divagazioni mentali troppo ampie: vi risponderà subito che il rischio che capiti un intoppo nel lavoro è altissimo. E che in quel caso minuti, ma anche giornate intere, potrebbero sparire in pochi secondi: quelli occorrenti a sfilare, (con una buona dose di rimpianto, vi assicuro) il lavoro certosino di ore e ore impiegate con esercizio infinito di pazienza.
Già, la pazienza. Una virtù di cui la vita non mi ha dotata a piene mani ma che ho appreso col passare degli anni a esercitare con buona dose di resilienza imparando a non dispiacermi del molto tempo impiegato se quest’ultimo è funzionale alla realizzazione ottimale di un progetto: di vita, di scrittura, di lavoro. Una pazienza da crocheteuse che si cimenta quotidianamente in un’opera fatta di piccoli punti messi in fila, uno dopo l’altro. Lavorati con la speranza segreta di riuscire a elaborare una riga sola, un disegno più complesso, un manufatto che abbia senso indossare a pelle ad altezza di cuore. Stringendo a sé un’infinità di nanosecondi tutti uguali che hanno fruttato alla perfezione: realizzare in maniera tangibile un qualcosa di irripetibile, intriso di manualità, tanta, ma di altrettante riflessioni. Il giusto connubio tra teoria e pratica.

Ero io quella

Ho letto e riletto questo libro, fino a consumarlo, nell’età sfumata dell’adolescenza, in un’epoca in cui per me e tanti come me tutto e il contrario di tutto avevano la stessa valenza nel giro di pochi secondi e c’erano momenti in cui passavo dal pianto al riso con la facilità con cui scartavo una caramella o provavo a fare un tiro dalla sigaretta rubata dal pacchetto di mio padre.

Ricordo il giorno in cui in classe alle superiori me lo allungarono da un banco all’altro durante una lezione di matematica; non so dirvi se ero annoiata o se la voglia di leggere un libro della mia autrice preferita di allora aveva prevalso sul mio senso del dovere tralasciando di seguire la spiegazione del professore con la giusta attenzione. Il panico mi prese nell’istante in cui mi resi conto che il mio maldestro tentativo di celare in qualche modo il mio oggetto del desiderio non era passato inosservato. Fu questione di attimi e il prof fu accanto a me, disseppellendo la copia di “Ero io quella” da un paio di quaderni. Chiusi gli occhi aspettandomi il peggio che sorprendentemente non accadde. Il prof guardò incuriosito me e la mia compagna di classe che me lo aveva dato pochi minuti prima «Ma leggete Brunella Gasperini?»

E senza aspettare la nostra replica continuò «È un’autrice impegnativa, non è sempre scontato capirla»
Poi lo poggiò con delicatezza sul mio banco mentre io tiravo un sospiro di sollievo. Sentendomi gratificata dall’apprezzamento silenzioso per ciò che leggevo da un uomo notoriamente burbero che incredibilmente aveva deciso di non rimproverarmi.

Da qualche sera “Ero io quella” nella ristampa a cura di GAEditori e le pagine con le vicende dolceamare di Nicoletta e Raf mi aiutano a terminare le mie giornate. Con un briciolo di tenerezza in più: per quella che un tempo ero e per ciò che adesso, da ragazza ‘cresciuta’ sono.