luciaguida

Au Feminin Thinking and Writing and Not Only

Categoria: di scrittura e scritture

Chi legge scrive (e vive) bene

Arrivare a marzo 2023 per pubblicare qualcosa su questa pagina non significa affatto che io nel frattempo non abbia avuto niente da dire e da trasmettere a terzi attraverso le mie parole. Significa aspettare l’occasione giusta per farlo: in questo caso l’invito di Umberto Braccili, tra i fondatori dell’Associazione “Gigino Braccili”, intitolata a suo padre, uomo di lettere e gran bella persona come suo figlio, provando a  mettere nero su bianco pensieri sparsi di vita ma anche di scrittura.
Per il mio esordio sulla piattaforma dell’Associazione avevo parlato di slow life, della capacità di assaporare la vita a piccoli sorsi godendo di piccole cose, magari per qualcuno infinitesimali e di gusto trascurabile, che per altri, invece, rappresentano quel granello di sale (o di zucchero?) extra che fa la differenza nel traghettarci da una sponda all’altra o semplicemente nell’aiutarci a procedere col giusto ritmo. Un passo attento, consapevole ma calibrato a nostra misura. Che è, forse, la cosa migliore che ciascuno di noi possa augurare a sé stesso.
A rileggerci presto

Chi legge scrive ( e vive) bene 

Mi piace pensare che per un autore scrivere non rappresenti un dovere quanto piuttosto un piacere da centellinare pian piano e soprattutto da assaporare quando si ha realmente qualcosa da comunicare al prossimo.

Perché, allora, continuare a scrivere e pubblicare in un’epoca in cui si legge pochissimo e, per contro, si è accerchiati da una marea infinita di libri dati alle stampe a ritmo continuo? Ci sono giorni in cui me lo chiedo con insistenza anch’io. Da quel lontano 2007 in cui da blogger cominciai in una community virtuale a scrivere su una pagina dedicata i primi post su suggerimento di una persona di famiglia con un intento probabilmente forse più terapeutico rispetto al desiderio di mettermi alla prova come affabulatrice.

Non è che di prodromi in tal senso non ce ne fossero già stati, chiariamo. I miei ricordi d’infanzia sono connotati a macchia di leopardo con le immagini sbiadite dal tempo di Lucia che si diverte a scrivere mini fiabe sui tovagliolini monovelo delle pasticcerie (perché erano forse il foglio più a portata di mano accanto a un bignè alla crema che era la mia passione di allora). Ero piccolissima e talvolta avevo difficoltà a discriminare l’uso corretto delle doppie o la correttezza ortografica nelle parole con consonanti sonore e sorde ma avevo già voglia di narrare.

Storie fantastiche, possibilmente a lieto fine, in cui l’happy ending strizzava l’occhio a cavalieri e dame. O a una fanciulla salvata da un prode cowboy, scampata a un rapimento di una tribù di indiani pellerossa grazie a un felice baratto (una cassa di fucili per la vita della fragile donzella). Prove ingenue ma piene di entusiasmo e di poesia. Ricordo poi il periodo delle agende rilegate in similpelle o velluto, rubate dalla scrivania di mio padre e riempite di poesie vergate con forza a mano con stilografiche di colore blu, meno serioso dell’inchiostro nero, acquistate nell’emporio di fronte casa che le vendeva assieme ai cioccolatini sfusi e alle caramelleripiene al gusto di crema.

A seguire il periodo dei romanzi scritti in punta di adolescenza: quelli con una storia che si dipanava e poi cambiava direzione sull’onda delle sensazioni del momento: la descrizione del primo bacio o del primo tormento d’amore, sorrisi e pianti a dirotto che si alternavano con la sistematicità con cui ci barcameniamo tra una giornata di sereno e un acquazzone estivo.
Poi nella mia vita un periodo lunghissimo di latenza scrittoria. Unico elemento costante il perdurare della lettura di tantissimi libri di argomenti e autori quanto mai vari; qualcuno lo prendevo in prestito, di nascosto, dalla biblioteca paterna o del nonno materno ed era forse un po’ fuori tempo e aveva un gusto precoce per una ragazzina curiosa e avida di vita, quanto meno letteraria, come me.

C’è stato anche il periodo delle letture disimpegnate e sarebbe ipocrisia negarlo, ma lì c’era la vita col suo orologio biologico e la sete di leggerezza a farla da padrone e a ispirarmi. Poi, all’improvviso, il ritorno alla pagina bianca, cartacea o virtuale, e l’esigenza rinnovata di raccontarmi attraverso la narrazione di storie pescate dal mio immaginario ma anche da tanta vita realmente vissuta e trasformate in racconti e romanzi.

Qualche poesia in versi sciolti perché la metrica non è mai stata il mio forte ma l’urgenza di esprimere al mondo il mio sentire, quella sì, non si è mai attenuata. Continuando a leggere moltissimo, quasi ai ritmi della mia adolescenza con la consapevolezza adulta e cresciuta che il proprio mondo interiore (e di scrittura) hanno necessità di confrontarsi col mondo altrui e non semplicemente per scoprire dove stiamo andando ma perché una pagina scritta bene può essere la chiave di volta della propria e altrui conoscenza avendo il potere concreto di svelare a noi stessi anche ciò che con abilità più o meno consapevole a noi stessi celiamo. Facendolo riaffiorare pian piano, portandolo con forza alla nostra attenzione.

Affinandone gli angoli e trasformandolo in uno di quei ciottoli levigati che ci piace raccogliere in riva al mare e portare via attratti dalla lucentezza imprevista dovuta all’acqua salmastra che lo ha lambito: una componente semplice ma necessaria per valorizzare quella striatura iridescente di cui diversamente forse non ci saremmo mai accorti.

Lucia Guida

L’articolo originale è qui  

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Bloggheggiando alla fine di quest’anno – di partenze, pit stop e ripartenze

Quattro mesi di latitanza da questo blog di autrice sono davvero troppi anche se non me ne sono stata con le mani in mano. E quindi è per me piacevolmente d’obbligo fare il punto della situazione a pochi giorni dalla fine dell’anno.
“Come gigli di mare tra la sabbia”, Alcheringa (2021), mio ultimo romanzo pubblicato ha debuttato nell’universo/metaverso (io lo chiamo così perché è talmente variegato da dedicare una sottolineatura sui generis) dei concorsi letterari nazionali e internazionali ottenendo segnalazioni e visibilità, cosa non indispensabile ma incoraggiante per la sua creatrice.  Nel frattempo ho continuato a stilare recensioni librarie e filmiche sul portale di  Arte Libri Cinema Musica “Cyrano Factory”; dei miei piccoli contributi scrittorii in un’antologia di AAVV, nella rivista letteraria Arethusa, e con la mia minibio in un’opera collettiva dedicata a molti autori abruzzesi vi avevo già parlato.
Sempre a livello editoriale in pentola bolle qualcosa di nuovo di cui, però, mi riservo al momento giusto di parlare con maggiore ampiezza. Continuo a scrivere, questo sì, ma senza l’assillo di un’imminente pubblicazione. Coltivo la mia sfaccettatura social con i miei appunti di viaggio su Meta; lavoro a crochet e realizzo progetti unici e speciali pensando a me in primis e non semplicemente a chi li indosserà. Sogno di moltiplicare il tempo che ho a disposizione (meno di quello che mi servirebbe, ma questo è un altro discorso) per fare solo ciò che mi fa star bene. Ho dalla mia parte pochissime amicizie realmente sentite e disinteressate che coltivo e cerco di restare al bordi della pista da ballo in altre dimensioni per salvaguardare il mio libero diritto di farmi e perseguire un’opinione personale con coerenza.
Vivo la mia “Vita da Lucia”, insomma. Quella che mi sono creata poco a poco a mia immagine e somiglianza, che mi gratifica e appaga, che mi permette a gambe incrociate di ammirare in riva al mare tramonto e luna che sorge ma anche alba senza perdermi il suono armonioso della risacca e il profumo intenso della salsedine.

Auguri di cose speciali a chi passerà di qui. Prodighiamoci perché i nostri desiderata si avverino senza mettere limiti alla provvidenza ma con un briciolo di sano egoismo, continuando a volerci bene.
Noi ci rileggiamo presto, promesso.

Lucia

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Di pit stop, ripartenze e prosiegui

“Ogni volta, ogni maggese, che ritorna
 A dar vita a un seme
 Sarà vita nuova anche per me”

“Maggese”, C. Cremonini (2005).

 

È da tempo che non pubblico qualcosa in questa specie di canovaccio/diario di bordo che è la mia pagina WP di autrice aggiornandola davvero con assai poca sistematicità. E allora provvedo subito in tal senso.
Il 2022 si è annunciato nei primi mesi (e a conclusione di un 2021 dal punto di vista personale e familiare impegnativo) moderatamente complesso. Intanto sto cercando di capire cosa fare della mia vita scrittoria. Passione ce n’è, tempo anche, bisogna vedere che intenzioni ho nel prosieguo della mia “crescita”. Nel frattempo ho portato avanti oltre alle mie riflessioni nero su bianco social un po’ di promozione di “Come gigli di mare tra la sabbia” ma senza l’urgenza di arrivare a traguardi certi nel minor breve tempo possibile.

Il mio ultimo romanzo si è così classificato tra i finalisti del II Premio internazionale Samnium e ha avuto menzioni d’onore nel Premi Internazionali Cygnus Aureus e Navarro.

Un mio piccolo cameo in compagnia di tanti altri contributi autorevoli è presente nella AAVV Storie di cibo curata da Gino Primavera per i tipi di Tabula Fati e una mia minibio di autrice è stata inserita nell’opera collettiva Nei territori della parola, gli scrittori abruzzesi si raccontano di imminente pubblicazione per  Teaternum Edizioni.

Continua la mia collaborazione con la piattaforma Cyrano Factory di Teatro Cinema Musica Arte Libri Eventi Scritture per la rubrica estiva di “Letture sotto l’ombrellone” in cui leggo e recensisco libri scelti in maniera estremamente estemporanea ed emotiva.

Tempo fa è infine nata la pagina Meta “Vita da Crocheteuse” in cui cerco di parlare a tutto tondo di creatività poiché, almeno per ciò che mi riguarda dal mio punto di vista le Lucia autrice, Donna e Persona e Crocheteuse si equivalgono alla perfezione.

In cantiere c’è molto altro di cui per scaramanzia non dico nulla. Si procede per  piccoli passi ma questa nuova (per me, almeno) attitudine è un’occasione formidabile per potermi guardare intorno con calma godendo delle pause di meritato riposo e delle piccole cose di vita spicciola che fanno grande il mio presente attuale.

A presto

Lucia

 

Non innamorarti di una donna intensa, ludica,
lucida, ribelle, irriverente.
Che non ti capiti mai di innamorarti di una donna così.
Perché quando ti innamori di una donna del genere, che rimanga con te oppure no, che ti ami o no, da una donna così, non si torna indietro.
Mai.

(cit.)

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ph. credit: ritratto di Vivien Leigh courtesy of Sasha/Getty Images

Thinking and Writing as an English Teacher – 17th Lesson

You cannot write in a dignified manner if you have not fed and are not feeding more than abundantly on good reading

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“Milano non è mai stata una città di ricordi” (cit.) – appunti di viaggio in visita alla Pinacoteca di Brera

Milano è la seconda città che ho iniziato a scoprire per ragioni di tipo familiare grazie a mio figlio Emanuele che lì vive e lavora dai tempi dell’università. Per tale ragione è meta frequente di weekend all’insegna dell’arte, di iniziative culturali a vario titolo e di scoperta delle infinite possibilità che offre. A me che da relativamente poco la sto conoscendo appare simile a un prisma di cristallo: luminosa, dalle tante sfaccettature, in movimento perenne. Sospesa in un ideale presente permeato da un passato importante e protesa irreversibilmente verso un futuro che è cambiamento continuo e divenire incessante.
Com’è di consueto per me condividerò qui alcuni scatti emotivi presi alla Pinacoteca di Brera frutto delle mie impressioni di visitatrice curiosa e affascinata dalla ricchezza artistica che contraddistingue da sempre questo importante luogo della memoria.
Buona visione a tutti

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Rispondere alle esigenze del tempo proprio e altrui è sinonimo di grande consapevolezza. È questo che il museologo e critico d’arte Franco Russoli sembra voler comunicare a chiunque, per dovere o per diletto, cerchi di entrare in sintonia con la città di Milano

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Una giornata di sole, un cielo pulito prigioniero della copertura in rete a maglie strette che sovrasta il cortile interno della Pinacoteca sembrano suggerire come la Bellezza, oggi forse che più in passato, abbia necessità di essere protetta con amorevolezza e assertività per continuare a svolgere la sua funzione salvifica.

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Il tempo scorre con la stessa risolutezza di sempre quasi a voler sottolineare con la propria intransigenza il bisogno di ciascuno di noi di farne uso prezioso di nutrimento dell’anima

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La figura femminile trova ampio spazio nelle sale della Pinacoteca, tanto nelle numerose madonne con bambino quanto in ritratti di nobildonne o popolane. Quello che colpisce è la pacatezza dell’espressione immortalata dagli artisti che si sono occupati di raffigurarle: che siano affrante dal dolore, pensose, turbate da una notizia poco felice appena ricevuta o semplicemente illuminate dall’ombra di un sorriso queste Donne cercano di dare di loro stesse un’immagine pacata quasi a prefigurare attraverso di essa il destino che le segnerà nel corso dei secoli sino ad oggi. Quel segno di forza che non le abbandonerà mai e a cui attingeranno a mani piene nella buona e nella cattiva sorte e che le aiuterà a risorgere sempre a nuova vita.

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Anche una finestra schermata per evitare che troppa luce distolga il visitatore e danneggi i capolavori oggetto della sua ammirazione diventa opera d’arte attraverso il chiaroscuro che lascia intravvedere e la luminosità che stempera con sapienza

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Un lucernario artistico può a ragione contribuire alla luminosità discreta di uno scrigno prezioso a mo’ di pennellata sapiente 

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"Intérieur à la baie", M. Estève

Vita da autrice

Ogni tanto è bene fare il punto della situazione anche nella scrittura. Fondamentale è essere sinceri con sé stessi. Fino all’ultimo briciolo di obiettività.


Non sono un’autrice che respira, si nutre e si rigenera solo ed esclusivamente in odor di linee vergate con quotidiana sistematicità. Non ho una stanza tutta per me e per le mie storie. Sono una donna e un’insegnante prestata al mondo della scrittura. Da bambina mi piaceva, come a mille altre bambine, scrivere poesiole che dilettavano i miei genitori. Sono stata un’adolescente solitaria che preferiva chiudersi in camera a leggere un libro o a scribacchiare su vecchie agende romanzi in punta di cuore. Attraverso gli anni ho mantenuto il primato di “Lucia che scrive bene, chiediamole di elaborare qualche riga per questo biglietto augurale”. A più di metà del cammin di mia vita mi sono scoperta blogger grazie all’intuizione di mio fratello Angelo e poi ho ripiegato sui social per seguire con discrezione i miei figli e le loro mille acrobazie di crescita. Scrivo solo se ne ho voglia e se sento di poter comunicare qualcosa agli altri; non sono compulsivamente spinta a farlo. Le mie pagine, ora, crescono con la stessa lentezza consapevole che metto nell’elaborazione dei capi all’uncinetto con cui concludo le mie giornate o degli ingredienti insoliti con cui personalizzo una ricetta di cucina: perché mi rilassa farlo e mi garba, mi dà il senso concreto della mia manualità e creatività. Rinforza il mio senso di autostima di Persona. Mi fa sentire viva; senza costrizioni dall’alto e libera di seguire, se e quando lo desidero, quelle che sono le mie naturali inclinazioni, la mia essenza più profonda.

Lucia Guida, ottobre 2021

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Il sale caduto non si raccoglie mai del tutto (proverbio spagnolo) – scatti emotivi di una vacanza nella Sicilia occidentale

Quando ad aprile ho progettato questa vacanza con una figlia di continuo super impegnata ma altrettanto disponibile a trascorrere qualche giorno di vacanza con me, non avrei mai pensato a un epilogo così suggestivo. In palio c’era una settimana a Favignana (bellissima ma ad agosto, com’era prevedibile, troppo affollata per i miei gusti) e una giornata di stop a Trapani in attesa di riprendere l’aereo per casa.
Le saline di Nubia hanno rappresentato il giusto compromesso per riconciliarmi con luoghi e paesaggi che avrebbero, forse, meritato di essere visitati in un periodo più incline alla riflessione silenziosa e a temperature più dolci e miti.
Non rinnego nulla della mia vacanza ma aggiungo le Egadi alla mia wishlist vacanziera “di ritorno”: con una promessa ben precisa, soggiornare a Marettimo per godermi il sussurro del mare nella maniera più incontaminata e autentica possibile

salina con mulino

Tutto ha avuto inizio in questo edificio ora adibito a museo e un tempo operoso di vita reale e di lavoro incessante dal sapore amaro di sale

in foto, Museo/Mulino del Sale di Nubia (Tp)

coppi sul sale

Una tegola può proteggere dal sole, dalla pioggia, dalla calura. Nella vita di ciascuno di noi non dovrebbe mai mancare un posto speciale in cui rifugiarci

in foto, veduta delle saline di Nubia dal terrazzo dell’edificio museale

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Non c’è vento che tenga se non sai dove andare e cosa raggiungere

in foto l’antico mulinu a stidda, il mulino a stella, in legno, pietra e zinco

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Nihil esse utilius sale et sole

(cit.)

In foto, mucchi di sale nella parte finale del percorso di visita di parte della Riserva Naturale Orientata Saline di Trapani e Paceco

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Saper guardare oltre è un artificio di vita e resilienza che non dobbiamo mai farci mancare

in foto la Torre di Nubia con le isole Egadi che le fanno da sfondo

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A ben vedere la felicità è una cosa semplice

(cit.)

foto di Lucia di uno scorcio del borgo di Marettimo, Egadi (Tp), Italia

On the Road – Strada facendo

Pubblicare un libro non è un traguardo da raggiungere ma un punto di partenza da cui procedere magari lentamente ma possibilmente senza fermarsi. Ponderando le tappe da colmare ma mantenendo una certa continuità e sistematicità. 
Ecco cosa è successo nell’arco di tempo di un mese dall’uscita del mio romanzo.

 “Come gigli di mare tra la sabbia”, Alcheringa, presentazione dell’opera nella Sala degli Alambicchi dell’Aurum di Pescara a cura di Arianna Di Tomasso e dell’autrice – 5 giugno 2021.

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17 giugno 2021, presentazione virtuale  sulla pagina fb della libreria Booklet di Ozieri (SS) a cura di Mario Borghi, libraio e autore

 

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8 luglio 2021,  presentazione nell’ambito della rassegna “Gelati Letterari” patrocinata dal gruppo editoriale Tabula Fati – Terrazza de La Playa, Pescara.
Ph. credit: F. De Dominicis

gelati letterari

 

21 luglio 2021, presentazione nell’ambito della rassegna letteraria “MARZIANI on the beach”, Stabilimento Balneare Aretusa di Pescara

 

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26 luglio 2021, presentazione nell’ambito del Primo Cammino Letterario Italiano patrocinato da Masciulli Editore, Riserva Naturale Regionale Sorgenti del Pescara

 

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11 settembre 2021, presentazione nell’ambito dell’evento artistico-letterario “Ciliegi, Immagini e Parole” ,  Country House Il Borgo dei Ciliegi di Grottammare (Ap)  

 

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19 novembre 2021, FLA2021 Festival di Libri ed  Altre Cose
Museo delle Genti d’Abruzzo

 

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23 agosto 2022, Salotti Letterari della Casina dei Tigli, Chieti

 

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Contributi rassegna stampa

“Come gigli di mare tra la sabbia”, incontro con la scrittrice Lucia Guida, intervista di Ilaria Grasso aka Emma Geddon

Interviste: Lucia Guida, conversazione con Annamaria Lucchese aka Babette Brown

Lucia Guida: “Come gigli di mare tra la sabbia”, recensione a cura di Antonio Frisa su Mentinfuga  

“Come gigli di mare tra la sabbia di Lucia Guida (Alcheringa)”, recensione a cura di Patrizia Debicke  su Libroguerriero 

“Come gigli di mare tra la sabbia”, videorecensione a cura di A. Fresa per Letture per Lettori

“Come gigli di mare tra la sabbia”, Alcheringa, segnalato su Cyrano Factory 

“Come gigli di mare tra la sabbia”, Alcheringa, presentazione video su youtube a cura di ErreVu Videoart 

“Come gigli di mare tra la sabbia, il romanzo di Lucia Guida: finestre su un presente fragile, articolo a cura di Fabio Iuliano su The Walk of Fame

“Come gigli di mare tra la sabbia”, articolo a cura di Fabio Rosica su La Dolce Vita Magazine

“Lo strano condominio di Lucia Guida”, articolo pubblicato da Fabio Iuliano sulla pagina regionale di spettacolo e società del quotidiano “Il Centro” in data 23.09.21

“Come gigli di mare tra la sabbia” al minuto 18:01 della rubrica “Parole d’Autore” di Antimo Amore in Buongiorno Regione di giovedì 30 settembre 2021 e al minuto 17,44 dell’edizione delle ore 14,00 del TGR Abruzzo di sabato 2 ottobre 2021

“Come gigli di mare tra la sabbia, Storia di riscatto su quattro piani dalla penna di Lucia Guida”, articolo pubblicato sulla piattaforma Virtù Quotidiane a cura di F. Iulian

La  recensione di Stefano Carnicelli sulla piattaforma SulmonaPost:

Come gigli di mare tra la sabbia

e sul sito Il Cielo Capovolto:

Come gigli di mare tra la sabbia
“Come gigli di mare tra la sabbia”, Alcheringa, nel palinsesto del FLA 2021 per la sezione L.o.c.

 

 

“The best books (…) are those that tell you what you know already.”
G. Orwell, 1984

Come gigli di mare tra la sabbia

Partecipazione

È nato “Come gigli di mare tra la sabbia”, terzo romanzo di Lucia Guida edito da Alcheringa per la collana le Ossidiane.

Ne dà l’annuncio commossa e felice l’autrice assieme a tutti coloro che in questo lungo periodo di gestazione l’hanno supportata e sopportata fornendole ottimi consigli, sostegno morale e anche materiale a base di caffè e tisane relax, amicizia disinteressata.

Lucia è grata a Lina Anielli, direttrice editoriale ed editor di Alcheringa, e a Eva Martinez Olalla, creativa e artefice della bellissima copertina, per l’ottimo lavoro in sinergia compiuto insieme.
Ringrazia, infine, di cuore sin da ora chi avrà la bontà di accompagnarla nelle varie tappe di questo nuovo viaggio lungo “per viandanti pazienti” (cit.).
Tra qualche giorno “Come gigli” debutterà sul sito della casa editrice che lo ha scelto e sulle pagine delle principali librerie online

Copertina jpg di Come gigli di mare di Lucia Guida

Piccole cose di pessimo gusto

Tempo fa in una delle mie gironzolate in web sono arrivata a conoscenza della presenza del mio primo libro edito, una silloge di racconti intitolata “Succo di melagrana, Storie e racconti di vita quotidiana al femminile”, Nulla Die (2012), in formato pdf ma anche epub ed emobi previo registrazione su più di un sito straniero. Ovviamente nessuno mi ha chiesto il permesso di poterlo inserire né lo ha fatto con l’editore. Non saprei dirvi neanche se alla fine tutto questo possa essere ricondotto a un’operazione molto più elementare, finalizzata alla mera raccolta dei dati sensibili di coloro che, attratti dalla promessa di poter scaricare gratuitamente materiale di varia natura, accettano di loggarsi inserendo i propri dati.
Ho, però, pensato di proporvi qualcuna delle sei storie della raccolta ancora inedite quanto meno virtualmente. Mai, cioè, diffuse da me a mezzo digitale.
La mia prima proposta di lettura è una storia intitolata “Piccole cose di pessimo gusto”, scritta e arrivata in finale in un concorso letterario di un po’ di anni fa prima di essere data alle stampe. È la storia di Celeste, attempata proprietaria di un negozio di articoli usati e di modernariato che dalla prospettiva privilegiata delle sue vetrine guarda al suo personale microcosmo e ai personaggi che lo popolano con leggerezza, ironia e grande indulgenza. Accanto a lei Willy, compagno inseparabile delle sue giornate, e il fluire lento ed equilibrato della vita  “come acqua di fiume che va al mare”.


Piccole cose di pessimo gusto

Il mio tè al bergamotto corteggiata da Willy che mi gira intorno aspettando paziente di ricevere come di consueto il suo pasticcino è il primo piacere della giornata. Davanti alla porta finestra del tinello, lo sguardo attento al viavai discreto che anima di prima mattina questo corso di provincia, intervallato simmetricamente a destra in banca da platani secolari, ora ricoperti di fogliame e inflorescenze grazie a una primavera prodiga che non ha mancato al suo appuntamento. Seminascosta da un ramo più folto degli altri c’è la mia botteguccia di piccole cose di pessimo gusto. Attraverso le maglie larghe della serranda si lascia intravedere con ingenua sfrontatezza tra le saracinesche massicce dei negozi che la circondano, dotate di sofisticatissimi antifurto e di altrettanto imponenti chiusure interrate. Scegliere di proteggerne la vetrina con questa sorta di armatura non è stata decisione facile; la percezione di forzare quasi, con questa imposizione, gli infissi una volta laccati d’azzurro, ora sbiadito celestino, e la stessa insegna di legno dipinto che non ho mai aggiornato, una di quelle che una volta usava difficili ora da trovare in giro, mi ha perseguitata a lungo. Eppure ho dovuto arrendermi al progresso e alla necessità; la mia unica consolazione è che ben tirata in alto scompare quasi nell’intercapedine del muro e almeno fino all’ orario di chiusura serale posso fingere che questa bottega sia rimasta la stessa di 30 anni fa, quando volendo imprimere una svolta decisiva nella mia vita ho deciso di aprirla, rilevandola dagli eredi impazienti di un robivecchi passato serenamente a miglior vita. Quasi le sette e trenta. Rebecca, zainetto semivuoto in spalla, attraversa la strada diretta alla fermata dell’autobus. Senza motorino, come a volte capita. Sua madre deve essere fuori città altrimenti tra una reprimenda e l’altra non avrebbe mancato di darle un passaggio. Ed ecco sopraggiungere a ritmo serrato il ragionier Romoletti, volpino al seguito virgola di corvée già di primo mattino. Per poter scorgere anche la biondissima Ewa Ruslanova, terzo piano interno sei, e completare quindi l’appello dei miei beneamati coinquilini dovrò aspettare ancora un po’. Afferro le mie cose e mi appresto a scendere in negozio, cercando di fare mente locale ordinando per priorità le tante incombenze che mi aspettano. Willy mi precede con sveltezza, avendo di tanto in tanto il buon gusto di voltarsi per accertarsi che lo segua. Abito in questo palazzo dalla nascita, avvenuta un po’ di che decenni fa ma sfido chiunque a indovinare la mia età. Tutti mi conoscono come la signorina Celeste dell’interno due del secondo piano; una sorta di istituzione, amata e al contempo cordialmente detestata per la controversa abitudine che ha di farsi gli affari altrui. Accanto a me Rebecca e la sua famiglia. In realtà la loro è più che altro una triade che si scompone e ricompone a ondate, quando il capofamiglia, uomo in carriera giacca, cravatta e cellulare di ultima generazione alla mano, viene deposto davanti al portone dai pesanti battenti di bronzo da uno dei tanti taxi gialli cittadini. Il tempo di trattenersi qualche giorno inframmezzando la propria comparsa con performance sportive all’alba in tuta al vicino parco e inviti a cene di rappresentanza con sua moglie Agata. Fino alla prossima partenza da quello che probabilmente per lui è diventato una sorta di box ove ricevere assistenza e cure essenziali prima di riprendere a gareggiare in pista. Da tempo Rebecca, loro unica figlia, ha deciso di non seguirli più e può capitare che da brava diciassettenne esca per proprio conto, a volte trasgressivamente abbigliata in compagnia di amici automuniti o sul suo scooter, casco ben calzato ma non allacciato sui capelli ricci, lunghi e ramati. Evidente che sia la ricerca di un baricentro che le permetta di contrastare vittoriosamente una forza di gravità spietata e invasiva. A spasso col mio Willy qualche tempo fa l’ho vista rientrare ora tarda a bordo di una di quelle macchinette inconsistenti simili ad automobiline in circolo sulla pedana della giostra di un’antica fiera di paese. Ci ha messo un po’ a scendere in bilico su tacchi vertiginosi stretta in un tubino nero e luccicante. L’ho udita ridere sonoramente ma non con gli occhi. Un ragazzo, sceso con lei, l’ha abbracciata con troppa cordialità prima di essere respinto scherzosamente ma con decisione. Pochi secondi per sfuggire anche un bacio preteso a tutti i costi con l’ultimo barlume di disinvoltura residua e un saluto blando con la mano. Poi la necessità di appoggiarsi pesantemente al muro color ocra del palazzo per una manciata di minuti, quasi a cercare sostegno, prima di frugare nella borsina per le chiavi e sparire inghiottita dall’androne buio di casa. L’ultimo riflesso dei lampioni sferici dalla luce aranciata me l’ha mostrata pallidissima sotto il trucco forte e pronunciato. Il giorno dopo Agata, tailleur e tacchi a spillo, è riemersa al mattino in solitudine, parlottando concitatamente al cellulare prima di saltare in macchina e partire a razzo. Lavora in un importante ditta ed è addetta alla selezione del personale. Dicono che sia molto brava in questo. Le chiamano cacciatrici di teste e forse lo sono davvero. Lampante che per lei il lavoro sia ben più che una fetta dell’esistenza; Certo è che come madre non credo riscuota ultimamente lo stesso successo E altrettanto chiaro è che ciò le dia enormemente fastidio. Rebecca in t-shirt e slip l’ha osservata a lungo allontanarsi nel traffico dai vetri del soggiorno minimal chic. Poi, guardando in basso, si è accorta forse della mia insistenza nel pulire la vetrina del mio negozietto e si è ritirata, sparendo dietro la confortante penombra di pesanti tende oscuranti sino al pomeriggio. Appena in tempo per evitare con un’uscita davvero tempestiva il rientro di sua madre assieme un ulteriore sequela di presumibili noiosissime recriminazioni. La mia vera spina nel fianco è tuttavia Maria Rinaldi in Romoletti, icona del peggior matriarcato che possa oggi sopravvivere con assurdo paradosso in una società in cui è e spesso bieco maschilismo e non altro a prevalere nel contrastato mondo delle relazioni interpersonali. Chiedo venia se non riesco a nutrire nei suoi confronti la benché minima ombra di indulgenza. Sposata con un figlio che di rado visita il lucidissimo quartierino al terzo piano in cui si è da tempo immemore insediata, ben presidiato da un paio di kentia fiorenti al lato del portoncino e da un penetrante odore di cera che ti avviluppa con forza già nell’attimo in cui varchi il portone d’entrata al pianterreno. Sarà forse una spiccata allergia al succitato prodotto, o più verosimilmente una sola intolleranza verso una moglie così intransigente a far trascorrere a suo marito, in pensione ormai da un paio d’anni, buona parte del proprio dilatatissimo tempo altrove? Giustificato ampiamente da un succedersi trafelato di commissioni di vario tipo interrotte tuttavia da ritirate regolamentari coincidenti con l’orario dei pasti. Certo è che i paramenti della sala da pranzo sono in continuo movimento, come agitati da un venticello dispettoso, nel sorvegliare di continuo entrate e uscite dei condomini da mane a sera. Manco a dirlo, io e Maria Romoletti da tempo navighiamo su imbarcazioni separate in un mare di costante bonaccia, impegnate a mantenere una sorta di tregua perenne in cui non vi è più posto come in passato per rivendicazioni veementi e scaramucce quotidiane. Lei sembra aver accettato il mio stato consolidato di singletudine; credo perfino abbia archiviato il ricordo di alcune mie discutibili e disdicevoli frequentazioni maschili pregresse. Tornare a essere donna onesta mi ha riabilitata al suo poco lungimirante sguardo placando la sua sete di gossip a buon mercato. Grazie anche a Ewa. Ewa che riceve nel suo appartamento distintissimo uomini in giorni feriali e festivi dedicati al relax pomeridiano, alla messa domenicale, allo spettacolo di varietà televisivo del sabato sera. Ewa biondissima e dalla silhouette invidiabile che nulla ha a che vedere con la sua pettoruta e panciuta dirimpettaia infagottata in abiti strizzatissimi che sfortunatamente lasciano pochissimo all’immaginazione mostrando più del dovuto i segni e lo sfacelo del tempo trascorso. Il fatto è che Maria si è messa in testa di competere con la giovane escort nell’istante in cui ha percepito (sia pure tardivamente!) un bagliore luccicante sospetto negli occhi nerissimi e mobili del suo consorte al passaggio della “signora delle camelie”, espressione quanto mai indicativa del climax di disdegno e pruderie da lei in merito raggiunti. Non so se Ewa sia al corrente di tanta palese disapprovazione. So soltanto che i suoi sorrisi sono tutti per Amedeo Romoletti e che quest’ultimo farebbe carte false anche solo per invitarla a prendere un caffè alla Premiata Pasticceria dell’angolo, se soltanto l’attività continua di pressing della sua ingombrante metà gli concedesse un po’ di sosta.
Ho conosciuto Ewa in un sonnolento pomeriggio estivo in cui la calura aveva suggerito a molti miei colleghi di non aprire bottega. Io ero la presa con abat-jour anni 50 che proprio non ne voleva sapere di sposarsi con un nuovo paralume di stoffa, tra i guaiti del povero Willy, infastidito dai miei sbuffi continui, e l’ansimare sofferente di un vecchio ventilatore che non mi decido mai a buttar via impegnato con decorosa fatica ad assicurarci un po’ di frescura e a sollevare anche un bel po’ di pulviscolo tutt’intorno. Lei ci aveva osservati a lungo dall’esterno oltre a rimirare le tante mercanzie disposte in artistico disordine sulle mensole di legno in vetrina; poi, presa da una sorta di impulso irrefrenabile aveva sospinto con decisione la porta d’entrata facendone tintinnare sgomento il campanello. Al mio benevolo assenso a vagabondare tra cumuli di anticaglie e oggetti di modernariato, la sua attenzione si era alla fine focalizzata su una tazzina da cioccolata disseminata di delicatissimi roselline dal tenue colore racchiusa in una teca con cui generalmente proteggo i miei tesori più preziosi. Il suo viso, quel giorno insolitamente prima del trucco sapiente a cui ci aveva abituati, si era di colpo rasserenato. Per un bel po’ avevamo conversato di samovar e tè preparati all’orientale e all’occidentale; della sua vita di bambina solitaria trascorsa in un casermone alla periferia di Kiev, di sua madre abbruttita dalle lunghe ore di lavoro in fabbrica e di un padre che non riusciva a liberarsi della curiosa abitudine di bersi tutta la paga settimanale in vodka il venerdì sera. Aveva rimarcato coraggiosamente ma con una forma di pudore latente quest’ultimo particolare della sua vita passata, per poi riprendere  vigore e consistenza nel dichiararmi con orgoglio di essere in possesso di una laurea in materie umanistico-letterarie con cui era arrivata in Italia prima di considerare di far fortuna in modo più veloce come accompagnatrice di lusso (in realtà si era definita disinvoltamente hostess e io e Willy, incantati da quel flusso interminabile di frasi, avevamo bonariamente avallato questa versione). Di punto in bianco a metà di un’altra complicatissima narrazione dei tempi andati mi aveva chiesto a bruciapelo il prezzo della porcellana. Pretendendo di non volere resto dalla banconota di grosso taglio poggiata con noncuranza sul vecchio registratore di cassa. Alla fine eravamo arrivate a un compromesso: la tazzina fiorata con piattino e un minuscolo sole di ottone beneaugurante che proprio quella mattina avevo terminato di lucidare a specchio con molto olio di gomito. Sarà stato un caso forse no, ma il lunedì successivo uno dei tre avvocati dello studio legale associato al primo piano, quello di fronte la compagnia assicurativa, aveva sospinto la porta del mio negozietto con garbo, chiedendomi di procurargli, se non mi era di troppo disturbo, un grammofono de “La voce del padrone”, naturalmente se non ne avessi già uno lì disponibile. Rispondendo negativamente alla sua seconda richiesta, gli avevo tuttavia assicurato che ne avrei fatto lo scopo primario del mio successivo giro domenicale per fiere di paesi e vecchi negozi di rigattiere. Poi gli avevo regalato a mo’ di anticipazione un disco in vinile inciso solo da un lato di un famoso tenore italiano. Una ghiottoneria da gourmet. Lui ne aveva a lungo accarezzato la copertina sbrindellata e ingiallita dal tempo e con un sorriso che gli aveva disteso il giovane viso abbronzato incorniciato da capelli neri precocemente brizzolati era andato via con passo più lieve ripromettendosi di ripassare a breve. Durante le nostre interminabili conversazioni telefoniche notturne, tipiche di tutte le persone che a un certo punto della loro vita cedono al vezzo di stentare ad addormentarsi, Norina mi ripete spesso che forse dovrei andare anch’io a vivere in campagna. Norina è mia sorella. Dopo essere rimasta vedova ha scoperto di avere una profonda vocazione per la preparazione di manicaretti gustosissimi, confetture marmellate di frutta, torte, pasticci in crosta e pane ammassato lievitato naturalmente. Ottenuto il placet di sua nuora si è stabilita nell’agriturismo aperto da suo figlio, prendendo a curare erbette e polli con una dimestichezza davvero insospettabile per una signora sino a poco tempo prima dedita unicamente alla coltura di gerani e calendule da balcone e alla cura di inoffensivi canarini in gabbia. A volte confesso di pensarci seriamente. Ci ho riflettuto a lungo mesi addietro dopo aver ricevuto a orario di chiusura una strana e inquietante visita; due personaggi singolari, a cui le mie cose di poco gran conto non avrei mai creduto potessero interessare, sono entrati nonostante avessi diligentemente posto il cartello in cui annunciavo che per quella giornata le vendite erano terminate. Hanno preso a gironzolare svogliatamente nel poco spazio libero non occupato dalle tante merci affastellate, alcune da me riportati al loro splendore originario altre semplicemente in attesa che me ne prendessi cura. Il più alto ha lasciato che fosse il suo amico a terminare quell’esame sommario, restando con le braccia conserte a scrutare i pochi passanti di quella brumosa serata di gennaio. Quest’ultimo, capelli abbondantemente cosparsa di brillantina o qualcosa di simile, a un certo punto mi ha sorriso in modo strano e, accendendo un cerino, l’ha lasciato cadere sul pavimento ai miei piedi, provocando l’abbaiare furioso del mio Willy che non avrebbe mancato di avventarsi indignato se soltanto io glielo avessi permesso invece di tenerlo stretto tra le mie braccia, batticuore contro batticuore. Alla fine con una smorfia mi ha salutata annunciandomi che loro sarebbero certamente ripassati prima di dileguarsi in strada. Fortunatamente l’episodio non ha avuto strascichi di sorta. Probabilmente la mia merce non ha risvegliato abbastanza la loro cupidigia o forse qualcosa li ha, almeno per il momento, spinti a cambiare idea.So come possono andare a finire certe cose. Il negozio di ferramenta di Remo, le pareti annerite dal fumo e  dalle fiamme a meno di un isolato più in là, è stato per tutti gli abitanti del quartiere un segnale forte e chiaro. Come dimenticare lo sguardo di sua moglie Elena, umido e sofferente, nell’atto di appendere un cartello di fittasi sull’unica vetrina rimasta integra dopo il fattaccio? È stato un vero miracolo che nessuno ci abbia rimesso più del dovuto E che soprattutto Remo si sia doverosamente ricordato di rinnovare la polizza antincendio scaduta soltanto alcuni giorni prima, lui così incline a procrastinare per atavica pigrizia e scarsa memoria incombenze di tal fatta. L’unica percezione chiara riguardo alla mia vita è ,tuttavia, almeno per ora, quella di continuare a vivere in questo quartiere una volta così brulicante di vita e di umanità fino a quando sarà ancora possibile farlo. Non mi sento talea come Norina; io al mio vasetto di coccio minuscolo, forse obsoleto e un po’ vetusto ci tengo ancora e non ho voglia di abbandonarlo per provare ad attecchire in terreni nuovi magari più fertili ma così lontani da questo microcosmo tagliato su misura addosso a me come una seconda pelle. So che l’acqua di fiume va al mare e che non è in potere di nessuno arrestarla o talvolta semplicemente deviarne il corso. Tuttavia può capitare di imbattersi in pezzi di legno o rami levigati dall’impeto della corrente o addirittura scavati e scolpiti mirabilmente. Veri e propri tesori della natura disseminati con apparente noncuranza dal destino sul nostro percorso perché ciascuno di noi possa, volendo, apprezzarli portandoli via con sé. Per rimirarli in compagnia di altri o semplicemente per accarezzarli con gli occhi alla fine di quelle giornate che molto hanno delle guerre di trincea combattute zolla dopo zolla con lo sguardo fisso all’orizzonte. Giorni addietro mi sono procurata un fantastico fonografo a valigetta per l’avvocato dal viso stanco. Ho anche pensato di regalarli l’altra tazzina da cioccolata compagna di quella decorata a minuscole rose azzurre che conservo nel retrobottega con cura. E farò in modo che Ewa sappia che c’è un’altra persona al mondo altrettanto degna di aspirare come lei a cose uniche e grandi. Forse è con lo stesso scopo recondito che ho nascosto un piccolo cristallo di rocca nel pacchetto dell’agendina in pelle acquistata da Rebecca per il compleanno di sua madre. Le terrà compagnia discreta allontanando da lei pensieri negativi e ombre minacciose, riportandola con levità ai primi soli di questa bella stagione, ancora una volta di ritorno, pur se con qualche incertezza, per rallegrarci con semplicità. Confesso di non aver studiato abbastanza il caso del povero Romoletti; credo che il suo sia un affare ben più complicato di quanto di primo acchito non appaia. Sarebbe bello chiudere sua moglie con la sua aria boriosa di ostentata sicurezza in una gigantesca bolla di sapone e, soffiando con dolcezza, spingerla lontano sino al punto di non ritorno chiedendo al vento di portarla via con sé definitivamente. Credo purtroppo che ciò non sia al momento possibile. Ma la speranza, vi ricordo, è l’ultima dea. E il nostro scirocco invernale, che soffia dal mare sino a raggiungere con un sospiro il profilo della Bella Dormiente, con le sue folate possenti e purificatrici, capaci di far piazza pulita delle nuvole più ostinate anche nelle giornate di grigio uniforme, resta pur sempre un formidabile e unico alleato.

Lucia Guida

La moglie del mercante (Boris Michajlovič Kustodiev, 1918)