Al SalTo otto anni dopo

Ci sono posti privilegiati che ti prendono così tanto da farti a volte temere che ritornarvi possa spezzare l’incantesimo, quella magia di colori, suoni, sensazioni che rendono indelebile la tua “prima volta”. È forse per questo che in generale raramente torno sul luogo del delitto, anche se si tratta di una fiera libraria importante, kermesse imprescindibile e gioia e dolori per tanti lettori e autori. Stavolta ho glissato su questa mia legge di vita per una buona causa, il mio ingresso in Arkadia, mia nuova casa editrice per la quale in estate nascerà il mio ultimo figlietto di carta, un romanzo di narrativa contemporanea. Nel mio cuore resta comunque un’immensa gratitudine per Amarganta, la prima ad avermi fortemente voluta al SalTo nel 2016 dopo aver creduto nelle mie capacità scrittorie dando alle stampe con entusiasmo e competenza il mio secondo romanzo.

Lucia

I libri pesano tanto: eppure, chi se ne ciba e se li mette in corpo, vive tra le nuvole

Luigi Pirandello, Il fu Mattia Pascal.

Torino ha un’anima complessa. Torino città operaia. Torino città della Fiat. Torino con la tradizione di città capitale. Torino città italiana, anzi romana, ma anche città alpina, che guarda alla Francia e all’Europa. Torino di Gobetti, di Einaudi, di Bobbio, di Gramsci e dell’«Ordine nuovo», Torino comunista e Torino liberale. Torino col suo carattere, la sua sobrietà, la sua serietà, che non si apre e non si dà tanto facilmente, ma che ti accetta quando si convince che impersoni i suoi stessi valori: l’impegno nel lavoro, una forte cultura civica, un senso del dovere che ti compete, per la parte che hai nella vita della città.

A. Levi

Arrivare di sera a Torino, dopo aver perso la coincidenza a Milano e aver traccheggiato in stazione aspettando di ripartire. Essere accolti da un’aria leggera e mite di venerdì sera nel cuore della città pronta ad aprirsi al fine settimana en plein air sotto un cielo ancora chiaro a cui io non sono abituata ma che mi è sempre piaciuto per le enormi potenzialità che con generosità concede sempre alla Luce.

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Adoro le case che hanno il privilegio di ergersi a tetto del mondo aprendo le loro finestre verso l’alto e verso il cielo, di qualsiasi colore esso sia. Per me questo è un chiaro invito ad andare oltre, sorvolando sui tanti sassolini nella scarpa che la quotidianità ci costringe ad accumulare nostro malgrado. Svegliarsi al mattino senza essere costretti a guardare verso il basso è una grandissima consolazione e un invito a pensare al bello e al buono malgrado tutto e tutti, sempre.

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La mia visita al Museo Egizio non è soltanto arricchimento personale ma tributo dovuto a Christian Greco, direttore di questo straordinario presidio torinese di Cultura, che ne ha fatto un capolavoro di assoluta bellezza fruibile da parte di tutti. E i tanti visitatori che di continuano lo affollano sono prova vivente di quanto competenza e passione ben si sposino con il culto del Bello condiviso e partecipato.

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Essere nata in una città di antichissima origine mi ha portata sin da bambina ad apprezzare l’opulenza e il fasto dei palazzi d’epoca di cui anche Torino è ricca. Il mio immaginario è colpito soprattutto dalle ampie scalinate e dall’idea di  flusso continuo di umanità portatrice di pensieri, aspettative, emozioni. Un’energia vitale che si rinnova nei secoli perché è aspaziale e atemporale: è eterna e duratura.

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“Dov’è la festa?”, sembrerebbe suggerire questa immagine. Nonostante i tempi continuino a essere difficili e complessi per chi mette al centro del proprio mondo la Cultura in senso ampio, il pellegrinaggio dei tanti aficionados alla carta stampata e al potere della pagina scritta anche virtualmente è stato anche per quest’anno costante e continuo. A sprezzo  del caldo e delle tante file fatte anche per riempire una semplice bottiglietta d’acqua. Ci sono gratificazioni che non hanno concretezza di spessore tangibile ma che riempiono dentro saziando e nutrendo. Un libro è anche questo e val bene il sacrificio di questo tipo di pellegrinaggio.

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Di recente mi sono appassioinata allo studio della lingua giapponese iniziando tardivamente a occuparmi della cultura del sol levante. Un modo di concepire l’esistenza per certi versi controverso, certamente affascinante, in cui ogni cosa si contrappone spesso al suo esatto opposto invitando gli osservatori esterni come me a una riflessione puntuale, scevra da sovrastrutture, per procurarsi un’opinione personale e obiettiva. Non so se andrò mai in Giappone, ma un pezzo di questa terra è già dentro di me in un angolo protetto del mio cuore.

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Lucia Guida

NB: le foto di quest’articolo sono state interamente scattate dalla sua autrice nelle seguenti location: Quadrilatero di Torino,  Museo Egizio, Lingotto Fiere, Palazzo Barolo in Torino.

Reading Tips: “Grande Meraviglia” di Viola Ardone e “Un anno con Salinger” di Joanna Rakoff

Leggere è uno dei miei passatempi preferiti e uno dei modi che mi concedo talvolta per chiudere in bellezza le mie giornate. Per un periodo di tempo piuttosto lungo ho recensito da freelance su siti di varia tipologia con l’unico scopo di comunicare ad altri le sensazioni che leggere un libro mi dava facendolo soltanto se quella determinata opera aveva il potere di suggerirmi qualcosa.
Uno dei propositi di questo nuovo anno è quello di continuare a impegnarmi in questa impresa solo ed esclusivamente per me stessa, continuando a prediligere storie che mi colpiscano di cui parlare come lettrice senza nessun’altra pretesa. Dei semplici suggerimenti di lettura pubblicati ogni mese e mezzo da cogliere, se pensate che ne valga la pena, filtrati attraverso la mia emotività di Persona e la mia idea di Scrittura.
E ora andiamo a incominciare.

A presto

Lucia

Grande Meraviglia di Viola Ardone

Elba è un’adolescente nata in quello che chiama mezzomondo, un ospedale antecedente alla legge Basaglia in cui sua madre, una giovane tedesca, è stata internata da un marito poco propenso ad avere al suo fianco una moglie ribelle che lo ha tradito con un altro. La sopravvivenza in un universo difficile è tutta nella capacità che Elba ha di fluire, come il grande fiume di cui porta il nome, attraverso la sofferenza, le incongruenze, i non detti e le cure invasive a cui gli ospiti della struttura sono sottoposti da chi vi lavora per i quali, unendoli idealmente nel suo microcosmo, lei ha pensato a soprannomi illuminanti, non facendo distinzione alcuna tra pazienti e operatori: Gilette, Nonna Sposina, la Nuova, Mastro Lindo, Lampadina, Riccioli d’Oro .  Per Fausto Meraviglia, giovane medico di fede basagliana, Elba rappresenta il suo personale contributo (e per certi versi riscatto) nei confronti di una vita professionale ma anche personale priva di grandi slanci o successi eclatanti, condotta con qualche distrazione che gli sarà fatale. L’opportunità di prendersi cura di lei come una sorta di novello Pigmalione che il medico si è arrogato di concedersi non avrà però gli effetti sortiti perché Elba sceglierà per sé una vita diversa, più consona alle sue esigenze e alla sua sete di risposte esistenziali, lontana dal suo benefattore. Il mio personale messaggio in bottiglia è tutto nella metafora potente contenuta in queste pagine di quanto, nella vita, a volte sia importante “lasciare andare” cose, persone e situazioni su cui abbiamo, ahimè, poteri molto limitati.

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Viola Ardone, Grande Meraviglia, ISBN 9788806257620, € 18,00

Un anno con Salinger di Joanna Rakoff

Una giovane neo laureata e appassionata di letteratura di belle speranze,  (personali ma anche scrittorie, dal momento che uno dei suoi sogni è quello di diventare un giorno autrice) riceve il suo battesimo di fuoco negli spazi di un’agenzia letteraria che annovera tra gli autori niente meno che penne rinomate come Judy Blume o  J. D. Salinger, dipinto negli ultimi anni della sua vita. Jo, Buba per Don, suo partner distratto perché forse più proteso verso l’illusione di scrivere qualcosa di unico e memorabile che verso la costruzione di un rapporto efficace con la sua donna, lavora in modo indefesso per l’Agenzia, una delle più prestigiose e antiche di New York a fronte di uno stipendio assolutamente al di sotto di ciò che le occorrerebbe per vivere nella grande mela in modo dignitoso.  Stretta tra i suoi doveri professionali, le sue ferite esistenziali in cui ci sono anche un padre e una madre che non l’hanno mai gratificata abbastanza e a cui lei nasconde le sue difficoltà anche economiche, Joanna si concederà il lusso di diventare trait d’union tra Jerry, (come Salinger viene confidenzialmente apostrofato in ufficio) a insaputa di quest’ultimo e dei suoi datori di lavoro e il suo pubblico più ampio e variegato invece di confezionare per questo risposte automatiche. Continuando a indossare le sue mise raffinate e fané da ragazza bon ton impiegata in un ufficio della Quarantanovesima alle prese con i suoi compagni di lavoro, la sua Direttrice austera e strumenti di lavoro affascinanti ma più obsoleti di un McIntosh come il dittafono o la macchina da scrivere, barcamenandosi alla meno peggio in due rapporti affettivo-sentimentali, entrambi pieni di carenze, spinta dalla sua voglia di migliorarsi e di emergere agli occhi del mondo in una città stupefacente ma distaccata nei suoi confronti come nel suo primo giorno di lavoro. Riuscendo, tuttavia, a mantenere intonso il suo amore per le Lettere come unico baluardo verso un futuro che talvolta fa fatica a immaginarsi.

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Joanna Rakoff, Un anno con Salinger, ISBN 978 88 545 08682, € 17,00

Buona fine d’anno e buon principio d’anno – Enjoy the Rest of the Year and Happy New Year

Capodanno

È capodanno:
tra il cielo e la terra
inizia l’armonia.

Masaoka Shiki

da Poesie, Acquaviva ( 2004)

Col senno di poi per me il 2023 è stato un anno in cui tutto si è compiuto nella maniera migliore anche se con una lentezza disarmante. Un ritmo esistenziale troppo morbido per la Lucia impatiens che, però, ha avuto il pregio di aiutarmi a mettere a punto molte cose della mia vita che erano in bilico e che necessitavano di una sistemazione (o soluzione, se preferite) diversa e migliore. Mi sono sentita spesso come una studentessa  in procinto di sostenere un esame a porte chiuse seduta su una panca di fronte alla stanza in cui entrerà per essere esaminata. Pronta per cimentarvisi ma timorosa di farlo. Dubbiosa su parti del programma ma nel contempo ansiosa di liberarsi di un fardello che è diventato troppo pesante da portare sulle spalle. Che alla fine si è seduta di fronte al suo examiner e ha dato la stura a tutto ciò che sapeva consapevole che l’esperienza e la conoscenza (ma anche le competenze possedute) non l’avrebbero mai messa del tutto al riparo dalla propria emotività. Chi nasce tondo quadrato non muore, dura lex sed lex. E poi, una volta sostenuto l’esame ha apprezzato sé stessa per aver dato il meglio possibile, si è alzata, ha ringraziato e se n’è andata a passeggiare in riva al mare, affidando alla risacca tutto ciò che avrebbe voluto dire o fare e che alla fine più o meno scientemente ha deciso di non dire o non fare.
Anche questo blog, nato come luogo privilegiato in cui esprimermi ma nella realtà assai spesso trascurato perché sacrificato ad altre priorità ha bisogno di una mano di restyling seria ed efficace. Soprattutto perché è il momento di mettere tutte le carte in tavola: inclusa quella in cui Lucia si assume la responsabilità di mostrare anche attraverso ciò che scrive tutta sé stessa senza intermediari “altri” comodi e compiacenti di sorta.
Quindi, cari tutti, anno nuovo vita nuova.
Di più non voglio dirvi; voglio tuttavia come sempre ringraziare l’Universo e coloro che per il suo illuminato tramite mi hanno condotta sino a questo punto insegnandomi a danzare sotto la pioggia prima di condurmi al sicuro e all’asciutto su una vera e propria pista da ballo.
L’appuntamento è a breve, a brevissimo. E questa volta è una promessa solenne. Nel frattempo il mio augurio sincero e condiviso è quello di centellinare questi ultimi istanti del 2023, tenendo però bene a mente e non perdendo mai di vista il filo lucente, sottile ma robusto dell’Armonia che ciascuno di noi regge in mano e che ha contribuito a dipanare pian piano perché ha realmente voglia di tessere qualcosa. Un oggetto unico che abbia prima di tutto significato per la propria unicità. Una piccola briciola di infinito messa a disposizione di chi possiede occhi per intravederla.

Lucia

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Scatto di Robert Doisneau (1912-1994)

In Arkadia

Durante tutti questi mesi ho dedicato le mie energie a tante cose belle e creative mentre provavo a crescere un po’ scrittoriamente.
Pochi giorni fa ho firmato per Arkadia Editore che pubblicherà a fine primavera il mio quarto romanzo. Sono felicissima di questo importante tassello che mi aiuta ad ampliare i miei orizzonti di affabulatrice e di persona. Spero che questa nuova avventura mi porti verso Itaca con consapevolezza e lievità rinnovate. Io sono felice, voi siatelo per me, di cuore.

Lucia

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“At Home”, scatto di ottobre 2023

“Non isdegnare queste
Nelle spiagge di Pindo
D’erbe, e di fior conteste
Per man d’Illustri Femmine canore
Che mal grado di Morte altrui dan Vita”

Giovanni Battista Recanati (1687-1734/35)

Thinking and Writing as an English Teacher – 18th Lesson


Rampant ambition is addictive to those who practise it

 

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ph. credit: flickrdotcom

 

“L’ambizione sfrenata crea dipendenza in coloro che la praticano”

 

 

Interviste a bordo: L’intervista del martedì

Trovo sempre molto stimolante sottopormi alle domande di interviste interessanti come queste, anche quando forse si va molto in profondità fino a sondare territori inaccessibili ai più. Un grazie di cuore ad Antonio Fagnani, presidente dell’Associazione Culturale I Borghi della Riviera Dannunziana e responsabile di Arethusa, rivista  dell’Associazione medesima.

𝐋’𝐢𝐧𝐭𝐞𝐫𝐯𝐢𝐬𝐭𝐚 𝐝𝐞𝐥 𝐌𝐚𝐫𝐭𝐞𝐝𝐢̀

𝗟𝘂𝗰𝗶𝗮 𝗚𝘂𝗶𝗱𝗮

𝑑𝑖 𝑇𝑜𝑛𝑖 𝐹𝑎𝑔𝑛𝑎𝑛𝑖

• 𝐏𝐫𝐨𝐟𝐞𝐬𝐬𝐨𝐫𝐞𝐬𝐬𝐚, 𝐩𝐨𝐞𝐭𝐞𝐬𝐬𝐚 𝐨 𝐬𝐜𝐫𝐢𝐭𝐭𝐫𝐢𝐜𝐞?

  Tutte e tre le cose, visto che contribuiscono a rendermi ciò che sono nella realtà quotidiana: una donna che non si coniuga a compartimenti stagni, che ha un unico volto e un’unica parola

• 𝐏𝐞𝐫 𝐥𝐞𝐢 𝐥’𝐢𝐧𝐬𝐞𝐠𝐧𝐚𝐦𝐞𝐧𝐭𝐨 𝐞̀ 𝐮𝐧𝐚 𝐩𝐫𝐨𝐟𝐞𝐬𝐬𝐢𝐨𝐧𝐞 𝐨 𝐮𝐧𝐚 𝐩𝐚𝐬𝐬𝐢𝐨𝐧𝐞?

  Io sono figlia d’arte e rappresento la terza generazione in famiglia di donne insegnanti, facendo seguito a mia nonna materna e poi a mia madre. Spero di essere stata e di continuare a essere una professionista che sa dosare bene in ciò che fa mente e cuore amando il suo lavoro

• 𝐏𝐞𝐫𝐜𝐡𝐞́ 𝐫𝐢𝐭𝐢𝐞𝐧𝐞 𝐜𝐡𝐞 𝐞𝐬𝐬𝐞𝐫𝐞 𝐚𝐮𝐭𝐨𝐫𝐞𝐯𝐨𝐥𝐢 𝐜𝐨𝐧 𝐠𝐥𝐢 𝐚𝐥𝐮𝐧𝐧𝐢 𝐬𝐢 𝐨𝐭𝐭𝐞𝐧𝐠𝐨𝐧𝐨 𝐛𝐮𝐨𝐧𝐢 𝐫𝐢𝐬𝐮𝐥𝐭𝐚𝐭𝐢 𝐬𝐢𝐚 𝐝𝐚𝐥 𝐩𝐮𝐧𝐭𝐨 𝐝𝐢 𝐯𝐢𝐬𝐭𝐚 𝐝𝐢𝐝𝐚𝐭𝐭𝐢𝐜𝐨 𝐜𝐡𝐞 𝐝𝐚𝐥 𝐩𝐮𝐧𝐭𝐨 𝐝𝐢 𝐯𝐢𝐬𝐭𝐚 𝐮𝐦𝐚𝐧𝐨?

  Da ragazza ho avuto insegnanti severi ed esigenti e genitori che lo erano altrettanto. Ho, quindi, punti di riferimento importanti alle mie spalle cui guardare in tal senso. L’autorevolezza è un ingrediente necessario nel lavoro che faccio sempre, soprattutto per alunni della fascia d’età con cui mi relaziono (10/11 anni fino ai 14) ma anche perché viviamo in tempi in cui un NO detto con ragionevolezza da un adulto nei confronti di un minore (spiegando, cioè, il perché di quella negazione e non imponendola tout court) sta diventando merce rara. I ragazzi hanno un bisogno innato, viscerale, di poter avere di fronte a sé adulti che parlano e agiscono compiutamente: consapevoli, coerenti che chiedono loro di comportarsi con correttezza e a loro volta lo fanno con grande concretezza. Il male di questi tempi è nella superficialità con cui ci si lascia travolgere dal falso e ingannevole pensiero che un padre, una madre possano essere amici a 360° dei propri figli: non è così, i ruoli vanno ben distinti e definiti e poi proposti a un figlio che deve averne comunque e sempre gran rispetto, anche quando gli pare di non essere d’accordo con le scelte fatte da un genitore.

• 𝐂𝐨𝐦𝐞 𝐠𝐢𝐮𝐝𝐢𝐜𝐚 𝐢𝐥 𝐫𝐮𝐨𝐥𝐨 𝐝𝐞𝐢 𝐠𝐞𝐧𝐢𝐭𝐨𝐫𝐢 𝐧𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐬𝐜𝐮𝐨𝐥𝐚?

  In tutti questi decenni di docenza nella scuola pubblica statale italiana ho conosciuto moltissimi genitori. In quelli con cui mi sono più trovata in sintonia ho ravvisato in primis il massimo rispetto per il mio ruolo (rispetto da me ampiamente contraccambiato nei loro confronti) e condivisione degli stessi valori e obiettivi di tipo esistenziale. Voglio parlare soprattutto di questi genitori che hanno reso il mio compito a scuola meno complesso e gravoso di quanto a oggi non venga richiesto a noi docenti, della loro capacità di aver afferrato che una qualsiasi mia sottolineatura fosse realmente finalizzata ad accendere una luce su un aspetto che in una situazione di quotidianità familiare può andare perso per mancanza di tempo, non voglio imputarla ad altro. Viviamo in una società perennemente in corsa in cui il rischio di lasciare qualcuno indietro, anche una persona a cui teniamo molto, è assai elevato. Il suggerimento (non il giudizio, chiariamolo) di un insegnante, se ascoltato e magari ponderato, può fare a volte la differenza

• 𝐒𝐞𝐜𝐨𝐧𝐝𝐨 𝐥𝐞𝐢 𝐥𝐚 𝐦𝐚𝐥𝐢𝐧𝐜𝐨𝐧𝐢𝐚 𝐞̀ 𝐮𝐧 𝐩𝐫𝐞𝐠𝐢𝐨 𝐨 𝐮𝐧 𝐝𝐢𝐟𝐞𝐭𝐭𝐨?

  Malinconia e tristezza sono sentimenti che arricchiscono la sensibilità di tutti, anche di chi si ostina a negarli in pubblico. Pensare con un filo di malinconia o di tristezza è fisiologico; ben altra cosa lasciarsi trascinare dall’una o dall’altra a senso unico. Il ricordo e magari il rimpianto di qualcosa che non si è compiuto non possono bloccare la vita di un essere umano in un limbo infruttuoso: la vita va avanti. Per fortuna, aggiungerei

• 𝐏𝐞𝐫𝐜𝐡𝐞́ 𝐡𝐚 𝐝𝐞𝐜𝐢𝐬𝐨 𝐝𝐢 𝐧𝐨𝐧 𝐝𝐚𝐫𝐞 𝐢𝐧 𝐨𝐦𝐚𝐠𝐠𝐢𝐨 𝐢 𝐬𝐮𝐨𝐢 𝐥𝐢𝐛𝐫𝐢?

  C’è stato un tempo in cui con la generosa ingenuità degli autori emergenti ho pensato di regalare indistintamente a chi reputavo potesse gradirli qualcuno dei miei libri (a oggi cinque pubblicazioni da solista ma tantissimi contributi ad antologie di prosa e poesia di autori vari). Adesso sono più meritocratica: se capisco che la persona con cui sto interagendo potrebbe apprezzarlo magari cedo anche all’impulso di regalargli qualcosa di mio. Ci metto però più testa, come si suol dire. O forse più cuore, se guardiamo da una diversa prospettiva. Certamente pondero moltissimo se farlo o meno.

• 𝐒𝐩𝐞𝐬𝐬𝐨 𝐠𝐥𝐢 𝐚𝐮𝐭𝐨𝐫𝐢 𝐫𝐢𝐜𝐡𝐢𝐞𝐝𝐨𝐧𝐨 𝐫𝐞𝐜𝐞𝐧𝐬𝐢𝐨𝐧𝐢 𝐚 𝐩𝐚𝐠𝐚𝐦𝐞𝐧𝐭𝐨. 𝐋𝐞𝐢 𝐥𝐨 𝐫𝐢𝐭𝐢𝐞𝐧𝐞 𝐠𝐢𝐮𝐬𝐭𝐨?

  Le recensioni a pagamento vanno di pari passo con le pubblicazioni per cui si paga. La mia risposta è no a entrambe le cose, senza se e senza ma.

• 𝐋𝐚 𝐬𝐮𝐚 𝐜𝐫𝐞𝐚𝐭𝐢𝐯𝐢𝐭𝐚̀ 𝐬𝐢 𝐬𝐯𝐢𝐥𝐮𝐩𝐩𝐚 𝐚𝐧𝐜𝐡𝐞 𝐧𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐦𝐚𝐧𝐮𝐚𝐥𝐢𝐭𝐚̀ 𝐜𝐨𝐦𝐞 𝐫𝐞𝐚𝐥𝐢𝐳𝐳𝐚𝐫𝐞 𝐬𝐜𝐢𝐚𝐫𝐩𝐞 𝐨 𝐬𝐜𝐢𝐚𝐥𝐥𝐢. 𝐂𝐨𝐦𝐞 𝐞 𝐝𝐨𝐯𝐞 𝐡𝐚 𝐢𝐦𝐩𝐚𝐫𝐚𝐭𝐨?

  Da bambina da questa nonna materna, Signora di altri tempi e molto ma molto creativa. Per un sacco di tempo non ho più pensato al crochet. L’ho riscoperto qualche anno fa e devo dire che mi ha regalato conferme e certezze: una su tante, secondo me fondamentale, è quella di poter impiegare positivamente energie extra, magari filtrandole e trasformandole in qualcosa di bello e particolare. La giusta ricompensa alla fine di giornate che, magari, non sono andate così bene come ci aspettavamo. Una sorta di meditazione che alla fine porta a frutti certi. E che frutti…

• 𝐏𝐞𝐫𝐜𝐡𝐞́ 𝑆𝑢𝑐𝑐𝑜 𝑑𝑖 𝑚𝑒𝑙𝑎𝑔𝑟𝑎𝑛𝑎 𝑒 𝐿𝑎 𝑐𝑎𝑠𝑎 𝑑𝑎𝑙 𝑝𝑒𝑟𝑔𝑜𝑙𝑎𝑡𝑜 𝑑𝑖 𝑔𝑙𝑖𝑐𝑖𝑛𝑒, 𝐢 𝐬𝐮𝐨𝐢 𝐝𝐮𝐞 𝐥𝐢𝐛𝐫𝐢, 𝐬𝐨𝐧𝐨 𝐬𝐭𝐨𝐫𝐢𝐞 𝐝𝐢 𝐬𝐨𝐥𝐞 𝐝𝐨𝐧𝐧𝐞?

  Io non la metterei su questo piano. Se, cioè, Succo di melagrana, storie e racconti di vita quotidiana al femminile è prevalentemente narrazione di donne a un bivio in bilico tra passato e presente (come del resto il titolo recita con puntualità), La casa dal pergolato di glicine ma anche Romanzo Popolare e Come gigli di mare tra la sabbia sono opere che io definirei corali: si parte da vicissitudini al femminile ma c’è anche tantissimo mondo al maschile. Ci sono personaggi che agiscono non su piani paralleli che non si incontrano mai ma in situazioni di vita vissuta estremamente “di sostanza”, come si suol dire. Certo è che raccontare la Donna per me è sempre e comunque valore aggiunto in un’epoca in cui questa per qualcuno è ancora associata all’idea di oggetto da possedere e da cui non separarsi se non a sprezzo della sua vita. Una concezione deviata dell’umanità a cui non si è ancora pensato in maniera efficace. Non c’è giorno in cui le pagine di cronaca nera non riportano episodi di femminicidio. È una cosa terribile a mio avviso: ti elimino perché tu non sei più copia conforme dell’idea femminile che io mi sono fatto di te. Terribile e raccapricciante. Una mattanza continua che grida vendetta al cielo

• 𝐀 𝐜𝐡𝐞 𝐞𝐭𝐚̀ 𝐡𝐚 𝐩𝐞𝐧𝐬𝐚𝐭𝐨 𝐝𝐢 𝐝𝐞𝐝𝐢𝐜𝐚𝐫𝐬𝐢 𝐚𝐥𝐥𝐚 𝐬𝐜𝐫𝐢𝐭𝐭𝐮𝐫𝐚 𝐞 𝐚𝐥𝐥𝐚 𝐩𝐨𝐞𝐬𝐢𝐚?

  Dopo gli anni dell’adolescenza passati a scrivere come per il crochet ho sondato altri terreni per poi riapprodare alla scrittura (e a farlo in maniera palese, condividendo con terzi in web i miei pensieri in veste di blogger) dagli inizi del terzo millennio. Non avrei mai pensato di pubblicare; si immagini che dal ricevimento del primo contratto editoriale da solista (fine 2011) alla firma in calce allo stesso sono passati due mesi in cui mi sono ripetutamente chiesta se avessi realmente voglia di regalare un pezzo di me a perfetti sconosciuti.

• 𝐂𝐡𝐞 𝐝𝐢𝐟𝐟𝐞𝐫𝐞𝐧𝐳𝐚 𝐭𝐫𝐨𝐯𝐚 𝐭𝐫𝐚 𝐥𝐚 𝐬𝐮𝐚 𝐜𝐢𝐭𝐭𝐚̀ 𝐝’𝐨𝐫𝐢𝐠𝐢𝐧𝐞 𝐞 𝐏𝐞𝐬𝐜𝐚𝐫𝐚, 𝐥𝐚 𝐜𝐢𝐭𝐭𝐚̀ 𝐜𝐡𝐞 𝐥’𝐡𝐚 𝐚𝐝𝐨𝐭𝐭𝐚𝐭𝐚?

  Sono grata alla Puglia per avermi partorita e altrettanto grata all’Abruzzo per avermi accolta stabilmente, ma i miei legami con la terra che a oggi mi ospita sono precedenti alla mia nascita. Nina, la nonna citata in precedenza più volte e protagonista di un mio piccolo contributo nell’antologia “Raccontami l’Abruzzo”, volume 1, Tabula Fati, a cura di Rita La Rovere, era con suo marito e i suoi figli assidua frequentatrice della spiaggia di Francavilla al mare (CH) e ha continuato a farlo sino allo scoppio della II guerra mondiale per poi riprendere a frequentare spiagge come Pineto o Silvi Marina o luoghi di montagna come Scanno a conflitto mondiale concluso. Un po’ di Abruzzo in me c’è stato sempre, da prima che io nascessi. Alla Puglia devo forse la tenacia e la forza che mi ha accompagnata anche nei momenti meno felici; il fatto di non considerare nella mia vita nulla di scontato. Di rimettermi sempre in discussione, conservando anche nei periodi migliori la capacità di mantenermi con i piedi ben piantati per terra

• 𝐄̀ 𝐥𝐞𝐢 𝐜𝐡𝐞 𝐜𝐞𝐫𝐜𝐚 𝐥𝐚 𝐬𝐨𝐥𝐢𝐭𝐮𝐝𝐢𝐧𝐞 𝐨 𝐥𝐚 𝐬𝐨𝐥𝐢𝐭𝐮𝐝𝐢𝐧𝐞 𝐜𝐡𝐞 𝐜𝐞𝐫𝐜𝐚 𝐥𝐞𝐢?

  Io amo definirmi solitaria ma non sola e quindi posso affermare che la solitudine non mi è mai appartenuta né mi appartiene. Sono di sicuro un “cane sciolto”: non faccio parte di gruppi di scrittura e/o lettura. Non ho una tessera di partito. Non frequento comitive à la page. C’è stato un tempo in cui forse mostravo un po’ di più della mia vita pubblica fino a quando non ho capito che fondamentalmente agli altri interessa poco di ciò che faccio. Per “altri” intendo i conoscenti, non gli amici veri, pochi ma buoni, con cui mi piace condividere il mio tempo extra. Non necessariamente dandone di continuo testimonianza su una pagina social

• 𝐋’𝐮𝐨𝐦𝐨 𝐞 𝐥𝐚 𝐝𝐨𝐧𝐧𝐚 𝐩𝐨𝐬𝐬𝐨𝐧𝐨 𝐯𝐢𝐯𝐞𝐫𝐞 𝐬𝐞𝐧𝐳𝐚 𝐥’𝐚𝐦𝐨𝐫𝐞?

  Un uomo e una donna non possono vivere senza Amore con la A maiuscola. Possono, al contrario, fare a meno benissimo di sentimenti amorosi fatti di reciproca convenienza, poca o nulla trasparenza, mancanza di rispetto. Com’era quell’adagio popolare? Meglio soli che male accompagnati. Sentirsi soli al fianco di qualcuno è la cosa peggiore che possa accaderci.

• 𝐒𝐭𝐚 𝐩𝐫𝐞𝐩𝐚𝐫𝐚𝐧𝐝𝐨 𝐪𝐮𝐚𝐥𝐜𝐨𝐬𝐚 𝐩𝐞𝐫 𝐢𝐥 𝐟𝐮𝐭𝐮𝐫𝐨?

  Una cosa bella e importante di cui al momento per scaramanzia ma anche per regole contrattuali non posso dare notizia. E quindi chi ha il piacere di seguirmi può pensare che Lucia Guida continuerà a narrare storie

• 𝐈𝐥 𝐬𝐮𝐨 𝐬𝐠𝐮𝐚𝐫𝐝𝐨 𝐭𝐫𝐨𝐩𝐩𝐨 𝐬𝐞𝐫𝐢𝐨 𝐬𝐢 𝐢𝐥𝐥𝐮𝐦𝐢𝐧𝐚 𝐪𝐮𝐚𝐧𝐝𝐨 𝐬𝐨𝐫𝐫𝐢𝐝𝐞.

𝐏𝐞𝐫𝐜𝐡𝐞́ 𝐧𝐨𝐧 𝐥𝐨 𝐟𝐚 𝐩𝐢𝐮̀ 𝐬𝐩𝐞𝐬𝐬𝐨?

  Perché il sorriso è meritocratico: si regala a chi se lo merita, Antonio… Farlo su una pagina social di continuo e per posa per me ha poca importanza. Sbaglia chi pensa a torto che io sia una musona

• 𝐐𝐮𝐚𝐥𝐞 𝐯𝐢𝐚𝐠𝐠𝐢𝐨 𝐧𝐨𝐧 𝐫𝐢𝐞𝐬𝐜𝐞 𝐚 𝐝𝐢𝐦𝐞𝐧𝐭𝐢𝐜𝐚𝐫𝐞?

  Il mio primo viaggio a Lisbona, una città dal fascino sottile, discreto. Forse per qualcuno un po’ malinconica, ma di una malinconia potente, quella di fasti appartenenti al suo passato di città a capo di un impero coloniale. Ci tornerei o ci andrei addirittura a vivere, potendo

• 𝐋𝐞𝐢 𝐡𝐚 𝐩𝐚𝐫𝐭𝐞𝐜𝐢𝐩𝐚𝐭𝐨 𝐚𝐥 𝐩𝐫𝐢𝐦𝐨 𝐧𝐮𝐦𝐞𝐫𝐨 𝐝𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐫𝐢𝐯𝐢𝐬𝐭𝐚 𝐀𝐫𝐞𝐭𝐡𝐮𝐬𝐚. 𝐇𝐚 𝐪𝐮𝐚𝐥𝐜𝐡𝐞 𝐬𝐮𝐠𝐠𝐞𝐫𝐢𝐦𝐞𝐧𝐭𝐨 𝐩𝐞𝐫 𝐦𝐢𝐠𝐥𝐢𝐨𝐫𝐚𝐫𝐥𝐚?

  Io credo che Arethusa vada bene così come è stata concepita dai suoi ideatori: uno sguardo rapido ma ampio a opere di varia consistenza e natura che la compongono. Una vetrina essenziale ma completa che deve invitare il lettore ad approfondire la conoscenza di chi l’ha scelta per proporsi

• 𝐀 𝐜𝐡𝐢 𝐝𝐞𝐝𝐢𝐜𝐚 𝐪𝐮𝐞𝐬𝐭𝐚 𝐢𝐧𝐭𝐞𝐫𝐯𝐢𝐬𝐭𝐚?

  Ai miei figli, Roberta ed Emanuele, che nati in Abruzzo ora vivono da expat all’estero nella Svizzera tedesca dove hanno portato (lo dico immodestamente e in maniera compiaciutissima da madre!) la nostra italianità migliore unita a competenza, bravura e determinazione personale. A lei, Antonio, grazie per quest’intervista bella e stimolante.

L’intervista originale è qui 

foto estiva Lucy
i miei libri

Perché non regalerò più libri scritti da me

Tempo fa mi è capitato di leggere nel gruppo Meta di Ultima Pagina – Editoria, Libri e Scrittura, fonte per me infinita di ispirazione per riflessioni scrittorie e di vita in senso più ampio, un post in cui si parlava dell’opportunità di regalare a terzi copie di libri scritti da noi. Sulla scia di questo input ho ripensato a quando in questa casistica sono rientrata anch’io. Ovviamente non sto parlando delle copie inviate per essere recensite, segnalate o partecipare a premi di scrittura: quelle sono da mettere in conto come dovute, poiché non a tutti piace leggere tout court il pdf dell’ultimo impaginato editato. Mi riferisco all’insana voglia che a volte mi ha presa mio malgrado (fortunatamente non spessissimo) portandomi a omaggiare chi mi aveva già letta con un gesto di riguardo che non ha però sempre sortito gli effetti sperati. Di questi doni raramente ho avuto riscontri successivi: un commento qualsiasi, nel bene o nel male  a titolo di mero feedback. Non volevo recensioni entusiastiche, avrei accettato anche sottolineature di altro genere. E invece nulla, il vuoto più totale. E il dubbio che qualcosa non avesse funzionato. Oppure, molto più banalmente, che quel libro fosse finito nel dimenticatoio e che gli apprezzamenti in precedenza da me ricevuti fossero stati un semplice esercizio di cortesia diplomatica. A mia parziale discolpa aggiungo che generalmente ho ceduto un mio libro a persone che conoscevo in carne e ossa, fisicamente. Non ho mai inviato copie in cartaceo e/o digitale a personaggi famosi a vario titolo in web o incontrati nel corso di eventi artistico-letterari: almeno lì ho avuto la consapevolezza piena che sarebbero con molta probabilità finiti in uno scantinato per disfarsi in ambienti umidi e polverosi. Oppure, peggio, in un cassonetto di raccolta differenziata della carta.  

Con la consapevolezza di qualche anno di pubblicazioni alle spalle posso con tranquillità affermare che un autore che regala un suo libro  a titolo completamente gratuito a qualcun altro (senza aver ricevuto sollecitazioni da parte di questi) fa una cosa inutile e fortemente dannosa: non aggiunge nulla né lo motiva a invitarlo e/o continuare a seguirlo nelle cose che scrive. Meglio lasciare che i tempi si compiano; che il neo lettore decida, cioè, di sua volontà se leggerti/continuare a leggerti oppure rivolgersi altrove.
Donare un libro che ti è costato fatica, impegno e magari anche più di un qualche amichevole scambio di opinioni con l’editor che ti ha aiutata a confezionarlo in modo ottimale per la pubblicazione non è MAI una buona idea. È come regalare un pezzo di te a un perfetto sconosciuto: può accadere che lo apprezzi ma è altrettanto probabile (forse di più) che lo consideri un extra poco gradito, semplicemente perché non è stato lui a prefigurare di acquistarselo. E non è di conforto ripeterti a mo’ di mantra che un regalo è sempre un regalo. Darlo gratuitamente a chi ti ha già apprezzata come autrice è egualmente poco funzionale; serve, però, alla grande allo scopo di capire se i complimenti che ti erano stati rivolti fossero autentici oppure no. Se non riceverai repliche di nessun genere vuol dire che quella persona si è limitata a fare una cosa che nel mondo dei social è assai diffusa: mettere un like sotto un post in maniera seriale e non dedicata, e quindi per te del tutto vana, per mantenersi con te aperta una porta per eventuali sue future occorrenze.
Esiste un’eccezione alla regola? Probabilmente sì. A patto di ricordare che un’eccezione è cosa da e per pochi, non per tutti. Spargere amore a piene mani, incondizionatamente, non ha mai portato bene a chi lo fa se questi non è in odore di santità o ha il dovere di agire in tal senso verso una persona che ha scelto per la vita di legare a sé (ad esempio un figlio). Ma queste sono forse altre storie, ben al di là dell’ambito scrittorio. Imparare a essere meritocratici anche nella veste di autori è un modo come un altro per dirsi e dire in seconda battuta al mondo “io mi voglio bene”. Un imperativo categorico che dovremmo ripeterci in varie prospettive di sicuro di continuo.

Lucia Guida

Manet, Donna che scrive

“Femme écrivant”, Édouard  Manet

Chi legge scrive (e vive) bene

Come è nata in Lucia la voglia di scrivere? Provo a sintetizzarlo in poche righe tornando indietro nel tempo con occhi proiettati sulla “me” di oggi.

Arrivare a marzo 2023 per pubblicare qualcosa su questa pagina non significa affatto che io nel frattempo non abbia avuto niente da dire e da trasmettere a terzi attraverso le mie parole. Significa aspettare l’occasione giusta per farlo: in questo caso l’invito di Umberto Braccili, tra i fondatori dell’Associazione “Gigino Braccili”, intitolata a suo padre, uomo di lettere e gran bella persona come suo figlio, provando a  mettere nero su bianco pensieri sparsi di vita ma anche di scrittura.
Per il mio esordio sulla piattaforma dell’Associazione avevo parlato di slow life, della capacità di assaporare la vita a piccoli sorsi godendo di piccole cose, magari per qualcuno infinitesimali e di gusto trascurabile, che per altri, invece, rappresentano quel granello di sale (o di zucchero?) extra che fa la differenza nel traghettarci da una sponda all’altra o semplicemente nell’aiutarci a procedere col giusto ritmo. Un passo attento, consapevole ma calibrato a nostra misura. Che è, forse, la cosa migliore che ciascuno di noi possa augurare a sé stesso.
A rileggerci presto

Chi legge scrive ( e vive) bene 

Mi piace pensare che per un autore scrivere non rappresenti un dovere quanto piuttosto un piacere da centellinare pian piano e soprattutto da assaporare quando si ha realmente qualcosa da comunicare al prossimo.

Perché, allora, continuare a scrivere e pubblicare in un’epoca in cui si legge pochissimo e, per contro, si è accerchiati da una marea infinita di libri dati alle stampe a ritmo continuo? Ci sono giorni in cui me lo chiedo con insistenza anch’io. Da quel lontano 2007 in cui da blogger cominciai in una community virtuale a scrivere su una pagina dedicata i primi post su suggerimento di una persona di famiglia con un intento probabilmente forse più terapeutico rispetto al desiderio di mettermi alla prova come affabulatrice.

Non è che di prodromi in tal senso non ce ne fossero già stati, chiariamo. I miei ricordi d’infanzia sono connotati a macchia di leopardo con le immagini sbiadite dal tempo di Lucia che si diverte a scrivere mini fiabe sui tovagliolini monovelo delle pasticcerie (perché erano forse il foglio più a portata di mano accanto a un bignè alla crema che era la mia passione di allora). Ero piccolissima e talvolta avevo difficoltà a discriminare l’uso corretto delle doppie o la correttezza ortografica nelle parole con consonanti sonore e sorde ma avevo già voglia di narrare.

Storie fantastiche, possibilmente a lieto fine, in cui l’happy ending strizzava l’occhio a cavalieri e dame. O a una fanciulla salvata da un prode cowboy, scampata a un rapimento di una tribù di indiani pellerossa grazie a un felice baratto (una cassa di fucili per la vita della fragile donzella). Prove ingenue ma piene di entusiasmo e di poesia. Ricordo poi il periodo delle agende rilegate in similpelle o velluto, rubate dalla scrivania di mio padre e riempite di poesie vergate con forza a mano con stilografiche di colore blu, meno serioso dell’inchiostro nero, acquistate nell’emporio di fronte casa che le vendeva assieme ai cioccolatini sfusi e alle caramelleripiene al gusto di crema.

A seguire il periodo dei romanzi scritti in punta di adolescenza: quelli con una storia che si dipanava e poi cambiava direzione sull’onda delle sensazioni del momento: la descrizione del primo bacio o del primo tormento d’amore, sorrisi e pianti a dirotto che si alternavano con la sistematicità con cui ci barcameniamo tra una giornata di sereno e un acquazzone estivo.
Poi nella mia vita un periodo lunghissimo di latenza scrittoria. Unico elemento costante il perdurare della lettura di tantissimi libri di argomenti e autori quanto mai vari; qualcuno lo prendevo in prestito, di nascosto, dalla biblioteca paterna o del nonno materno ed era forse un po’ fuori tempo e aveva un gusto precoce per una ragazzina curiosa e avida di vita, quanto meno letteraria, come me.

C’è stato anche il periodo delle letture disimpegnate e sarebbe ipocrisia negarlo, ma lì c’era la vita col suo orologio biologico e la sete di leggerezza a farla da padrone e a ispirarmi. Poi, all’improvviso, il ritorno alla pagina bianca, cartacea o virtuale, e l’esigenza rinnovata di raccontarmi attraverso la narrazione di storie pescate dal mio immaginario ma anche da tanta vita realmente vissuta e trasformate in racconti e romanzi.

Qualche poesia in versi sciolti perché la metrica non è mai stata il mio forte ma l’urgenza di esprimere al mondo il mio sentire, quella sì, non si è mai attenuata. Continuando a leggere moltissimo, quasi ai ritmi della mia adolescenza con la consapevolezza adulta e cresciuta che il proprio mondo interiore (e di scrittura) hanno necessità di confrontarsi col mondo altrui e non semplicemente per scoprire dove stiamo andando ma perché una pagina scritta bene può essere la chiave di volta della propria e altrui conoscenza avendo il potere concreto di svelare a noi stessi anche ciò che con abilità più o meno consapevole a noi stessi celiamo. Facendolo riaffiorare pian piano, portandolo con forza alla nostra attenzione.

Affinandone gli angoli e trasformandolo in uno di quei ciottoli levigati che ci piace raccogliere in riva al mare e portare via attratti dalla lucentezza imprevista dovuta all’acqua salmastra che lo ha lambito: una componente semplice ma necessaria per valorizzare quella striatura iridescente di cui diversamente forse non ci saremmo mai accorti.

Lucia Guida

L’articolo originale è qui  

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Bloggheggiando alla fine di quest’anno – di partenze, pit stop e ripartenze

Quattro mesi di latitanza da questo blog di autrice sono davvero troppi anche se non me ne sono stata con le mani in mano. E quindi è per me piacevolmente d’obbligo fare il punto della situazione a pochi giorni dalla fine dell’anno.
“Come gigli di mare tra la sabbia”, Alcheringa (2021), mio ultimo romanzo pubblicato ha debuttato nell’universo/metaverso (io lo chiamo così perché è talmente variegato da dedicare una sottolineatura sui generis) dei concorsi letterari nazionali e internazionali ottenendo segnalazioni e visibilità, cosa non indispensabile ma incoraggiante per la sua creatrice.  Nel frattempo ho continuato a stilare recensioni librarie e filmiche sul portale di  Arte Libri Cinema Musica “Cyrano Factory”; dei miei piccoli contributi scrittorii in un’antologia di AAVV, nella rivista letteraria Arethusa, e con la mia minibio in un’opera collettiva dedicata a molti autori abruzzesi vi avevo già parlato.
Sempre a livello editoriale in pentola bolle qualcosa di nuovo di cui, però, mi riservo al momento giusto di parlare con maggiore ampiezza. Continuo a scrivere, questo sì, ma senza l’assillo di un’imminente pubblicazione. Coltivo la mia sfaccettatura social con i miei appunti di viaggio su Meta; lavoro a crochet e realizzo progetti unici e speciali pensando a me in primis e non semplicemente a chi li indosserà. Sogno di moltiplicare il tempo che ho a disposizione (meno di quello che mi servirebbe, ma questo è un altro discorso) per fare solo ciò che mi fa star bene. Ho dalla mia parte pochissime amicizie realmente sentite e disinteressate che coltivo e cerco di restare al bordi della pista da ballo in altre dimensioni per salvaguardare il mio libero diritto di farmi e perseguire un’opinione personale con coerenza.
Vivo la mia “Vita da Lucia”, insomma. Quella che mi sono creata poco a poco a mia immagine e somiglianza, che mi gratifica e appaga, che mi permette a gambe incrociate di ammirare in riva al mare tramonto e luna che sorge ma anche alba senza perdermi il suono armonioso della risacca e il profumo intenso della salsedine.

Auguri di cose speciali a chi passerà di qui. Prodighiamoci perché i nostri desiderata si avverino senza mettere limiti alla provvidenza ma con un briciolo di sano egoismo, continuando a volerci bene.
Noi ci rileggiamo presto, promesso.

Lucia

lucypost

Di pit stop, ripartenze e prosiegui

“Ogni volta, ogni maggese, che ritorna
 A dar vita a un seme
 Sarà vita nuova anche per me”

“Maggese”, C. Cremonini (2005).

 

È da tempo che non pubblico qualcosa in questa specie di canovaccio/diario di bordo che è la mia pagina WP di autrice aggiornandola davvero con assai poca sistematicità. E allora provvedo subito in tal senso.
Il 2022 si è annunciato nei primi mesi (e a conclusione di un 2021 dal punto di vista personale e familiare impegnativo) moderatamente complesso. Intanto sto cercando di capire cosa fare della mia vita scrittoria. Passione ce n’è, tempo anche, bisogna vedere che intenzioni ho nel prosieguo della mia “crescita”. Nel frattempo ho portato avanti oltre alle mie riflessioni nero su bianco social un po’ di promozione di “Come gigli di mare tra la sabbia” ma senza l’urgenza di arrivare a traguardi certi nel minor breve tempo possibile.

Il mio ultimo romanzo si è così classificato tra i finalisti del II Premio internazionale Samnium e ha avuto menzioni d’onore nel Premi Internazionali Cygnus Aureus e Navarro.

Un mio piccolo cameo in compagnia di tanti altri contributi autorevoli è presente nella AAVV Storie di cibo curata da Gino Primavera per i tipi di Tabula Fati e una mia minibio di autrice è stata inserita nell’opera collettiva Nei territori della parola, gli scrittori abruzzesi si raccontano di imminente pubblicazione per  Teaternum Edizioni.

Continua la mia collaborazione con la piattaforma Cyrano Factory di Teatro Cinema Musica Arte Libri Eventi Scritture per la rubrica estiva di “Letture sotto l’ombrellone” in cui leggo e recensisco libri scelti in maniera estremamente estemporanea ed emotiva.

Tempo fa è infine nata la pagina Meta “Vita da Crocheteuse” in cui cerco di parlare a tutto tondo di creatività poiché, almeno per ciò che mi riguarda dal mio punto di vista le Lucia autrice, Donna e Persona e Crocheteuse si equivalgono alla perfezione.

In cantiere c’è molto altro di cui per scaramanzia non dico nulla. Si procede per  piccoli passi ma questa nuova (per me, almeno) attitudine è un’occasione formidabile per potermi guardare intorno con calma godendo delle pause di meritato riposo e delle piccole cose di vita spicciola che fanno grande il mio presente attuale.

A presto

Lucia

 

Non innamorarti di una donna intensa, ludica,
lucida, ribelle, irriverente.
Che non ti capiti mai di innamorarti di una donna così.
Perché quando ti innamori di una donna del genere, che rimanga con te oppure no, che ti ami o no, da una donna così, non si torna indietro.
Mai.

(cit.)

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ph. credit: ritratto di Vivien Leigh courtesy of Sasha/Getty Images