An Excerpt from ” Succo di melagrana – Storie e racconti di vita quotidiana al femminile “: Bella bella bella

Sara si svegliò di colpo desiderando di poter chiudere gli occhi per riaprirli in un tempo indefinito, lontano da qualsivoglia affanno presente. Ma sapeva che non era possibile; non in quel periodo dell’anno, per lei sempre molto impegnativo, e non di mercoledì, giorno fulcro della sua settimana lavorativa. Il panorama dalla finestra della camera da letto le rimandò la distesa a perdita d’occhio di tetti di varia foggia tipica dell’ assetto urbano di quella piccola città di provincia in cui la sua esistenza scorreva lenta e senza scosse oramai da più di un lustro.Vi si era trasferita per amore, inseguendo un sogno sentimentale sfumato repentinamente dopo pochissimi mesi, lasciando il paese in collina in cui era nata e cresciuta a cui aveva, tuttavia, scrupolosamente continuato a fare ritorno a scadenze fisse, ricorrenza dopo ricorrenza, per visitare con diligente senso del dovere la propria famiglia. Decidendo di stabilirvisi definitivamente a sprezzo di quella storia andata male, nell’ incapacità di salpare per altri lidi più lontani, grata alla piccola nicchia fatta di quotidianità rassicurante che lì era riuscita a ricavarsi: un lavoro accettabile, una cerchia di amici-conoscenti con cui trascorrere i fine settimana e i momenti di relax che le erano concessi, una casetta sufficientemente comoda cui far ritorno dopo l’ufficio. Sara aveva appena oltrepassato i quaranta ma sembrava che la cosa la toccasse marginalmente; era quello che ripeteva spesso con un sorrisetto a chi, ammirato, davvero non glieli attribuiva. Pur avvertendo ultimamente, suo malgrado e con un brivido interno, un profondo senso di inadeguatezza, quasi di fastidio alla comparsa dei primi segni del tempo. La sua silhouette aveva nel complesso conservato la fisionomia di adolescente alta e longilinea di una volta grazie anche alla cura ossessiva e sistematica dedicatagli nello spasmodico sforzo verso una perfezione formale sempre troppo lontana da raggiungere che la impegnava di continuo senza concederle tregua.La sua vita era stata costellata di incessanti tappe obbligate da coprire nella recherche infinita in cui si era lanciata iniziando con la frequenza sistematica di palestre e centri di bellezza perché altri potessero guidarla nel delineare il suo corpo a immagine e somiglianza di un ideale femminile dai contorni ben definiti stampati prima nella sua mente di bimba e poi in quella di adolescente.A poco più di vent’anni aveva deciso di cambiare colore dei capelli scegliendo una nuance di biondo che sentiva maggiormente propria e più in armonia con i suoi occhi verdi. Aveva, quindi, coscienziosamente proseguito imparando trucchi ed artifici del maquillage e una volta appropriatasi della materia non se n’ era più separata, truccando il suo viso impeccabilmente 24 ore su 24, incapace di farne a meno, per sua stessa ammissione, tanto in situazioni di banalissima routine, come ad esempio un acquisto veloce nel supermercato all’angolo della strada, quanto in occasioni specialissime e intime in cui era prevista anche la compagnia maschile. A trent’anni aveva stabilito di migliorare il suo sorriso affidandosi alle cure di un famoso ortodontista ottenendone una dentatura perfetta e smagliante. Possedeva un metabolismo da ragazzina ma badava a non eccedere mai nel cibo. Scherzando era solita raccontare a tutti di nutrirsi di schifezze, attribuendo a ciò i disordini alimentari cui era spesso soggetta. Pur vantandosi di possedere un robusto appetito, in riunioni conviviali era solita spilluzzicare come un uccellino, lamentando una subitanea sensazione di pienezza a giustificazione di pietanze appena assaggiate. Nella scelta dell’ abbigliamento amava destare sensazione e suscitare ammirazione; anche in quest’ ambito nulla nei suoi atteggiamenti e nel suo modo di presentarsi era lasciato al caso, risultando al contrario frutto di un’accurata pianificazione finalizzata a mettere in risalto il meglio di sé. I suoi progetti di vita erano piuttosto circoscritti e subordinati a questo amore sviscerato per l’immagine di donna gelosamente e esasperatamente coltivata nel suo intimo, il cui mantenimento richiedeva uno sforzo continuo e al tempo stesso terribile, reso mastodontico dal fluire inesorabile del tempo e dalla frequenza maggiore con cui cominciavano a emergere piccole falle e impercettibili crepe bisognose ora più che mai di essere appianate con ogni mezzo a disposizione. Un po’ come per un giardino certosinamente curato e abbellito da un giardiniere in costante tensione nel mantenere ordine e rigore a fronte di una natura dispettosa e ribelle, sempre pronta a riaffermare il proprio pieno diritto a esistere e a sovrastare, divertendosi a infestare di erbe spontanee aiuole graziosamente acconciate e ben delineate. Per qualche istante osservò compiaciuta e con occhio da intenditrice le sue natiche ancora ben conformate, ripromettendosi di indossare presto la brasiliana consigliatale dalla commessa del suo negozio di intimo preferito. Un attimo, però, di brevissima durata, spazzato via da un’ impercettibile smorfia della bocca, perfetta e ammodo anche quella. Il suo cruccio più recente era al momento il seno, giudicato troppo piccolo e, forse, in procinto di mostrare segni di cedimento. Sara lo osservò con cipiglio riflessa nel lungo specchio basculante che occupava un angolo della sua camera e a cui affidava di solito la supervisione d’ensemble di se stessa appena abbigliata. Non era affatto rispondente ai suoi canoni estetici, necessitava al più presto di essere rimodellato da un bravo chirurgo estetico. Avrebbe come al solito provveduto al meglio e con sollecitudine.Questo pensiero le dette subitaneamente un senso di sollievo. Offrire di se stessa un’ immagine più che gradevole era lo scopo della sua vita, l’ unico aspetto che sentiva assolutamente di poter fronteggiare con una certa sicurezza, plasmandolo secondo quanto la facesse star meglio.

Peccato, tuttavia, che quel controllo sistematico e intransigente non potesse essere esteso ad altri ambiti. La sua vita affettiva, per esempio, vissuta con insoddisfazione perenne e costellata indelebilmente da esperienze dolorose che preferiva non ricordare. Lì veniva fuori tutta la sua insicurezza di bambina incompresa e trascurata da una madre troppo frettolosa e da un padre cronicamente assente. Si innamorava sempre di uomini che la conducevano alla sofferenza. Uomini a cui immolava tutta se stessa, a cui si dedicava anima e corpo. Uomini rincorsi disperatamente a cui chiedere di continuo conferme. Uomini che puntualmente scappavano lontano da lei a dispetto della sua disponibilità estrema e incondizionata. Compagni per cui aveva recitato con discrezione all’inizio, con disperazione alla fine, un ruolo femminile di autentica, totale dedizione. Che finivano con lo scegliere donne dall’aspetto, a suo avviso, quanto meno improbabile e discutibile. Donne comuni, ordinarie, incredibilmente poco avvezze alla cura di se stesse. Figure femminili della porta accanto, da mercatino rionale più che da bottega per gourmet. Che tristezza, lei pensava, e che profonda ingiustizia nei confronti del santuario pluridecennale da lei eretto a imperitura adorazione di una bellezza narcisistica idealmente e affannosamente ricercata e inseguita per tutti quegli anni.

Immersa in queste riflessioni non piacevolissime si riscosse e, dopo l’ ultimo sguardo alla sua immagine riflessa, raccattò pochette e foulard finalmente pronta per la sua giornata di lavoro. Decentemente a posto. Chiuse con cura l’uscio affrettandosi per le scale; l’ultima sbirciata l’avrebbe data all’enorme specchio posizionato nell’ androne del sobrio ed elegante condominio in cui viveva a mo’ di ulteriore e finale conferma per sentirsi a tono , perfetta come sempre, elemento costante in un algoritmo temporale fatto di settimane e giorni tutti uguali e in fila, l’ uno dopo l’ altro. Questo era ciò che lei si augurava di cuore: resistere stoicamente al fluire incessante e frenetico dell’ esistenza secondo un ritmo uniforme privo di variazioni in tema percepito tuttavia come rasserenante e indispensabile alla propria sopravvivenza fisica e mentale.

L’ improvvisa pioggerella fina la colse per strada di sorpresa costringendola a tirarsi sul viso il cappuccio dell’impermeabile e ad affrettarsi con tono sbarazzino sui tacchi alti verso un taxi fortunatamente posteggiato a breve distanza. Spiando velocemente nel minuscolo specchietto ditartaruga sempre a portata di mano fece per constatare danni inesistenti cui porre eventuale rimedio, concludendo che, davvero!, la vita era una battaglia continua. Poi si appoggiò al sedile ceduto al peso dei tanti clienti di passaggio e la sua attenzione fu tutta per quella variegata umanità celata sotto decine di ombrelli disseminata per le vie del centro. Una moltitudine irresistibile ma troppo lontana, sfumata dal suo respiro simile a quello di una bambina cresciuta troppo in fretta, appannato sulla trasparenza del vetro di un’ auto pubblica in corsa nel grigiore argentato di una giornata di pioggia. *

*  “Bella bella bella”  in Guida, L. (2012) Succo di melagrana – Storie e racconti di vita quotidiana al femminile, Piazza Armerina (EN), Nulla Die

Presenting “Succo di melagrana”, My Collection of Short Stories

ImageCircolo Culturale OliS, 29th January 2012, Montesilvano (PE), Italy

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Museo Casa Natale di G. D’annunzio, 10th March 2012, Pescara, Italy

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Feltrinelli Bookshop, 17th March 2012, Pescara, Italy

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De Luca Bookshop, 14 April 2012, Chieti, Italy

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Sala ” Figlia di Iorio “, Palazzo della Provincia, 18th  April 2012, Pescara, Italy.

” Primo Vere ” Fair Trade Emporium in Pescara,  Italy, 1st June 2012

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” Indro Montanelli ” Secondary School in S. Marco in Lamis (FG), Italy.
29th November 2012

 

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“Più Libri Più Liberi 2012” Bookfair, Rome, 6th December 2012

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Rosadonna Festival 2013

Circolo Aternino in Pescara,  Friday 24th May 2013

 

” Presentare il proprio libro per un autore è come aprire al mondo intero la porta della propria dimora.”

” For an author presenting publicly his book  is like opening his home’s door to the entire world “

L. Guida


An Interview

http://www.sottoifioridililla.com/2012/04/intervista-lucia-guida-scrittrice.html?spref=fb

Carolina Venturini is interviewing me on her blog “Sotto i fiori di lillà”

A Nice Interview by Carolina Venturini on her blog “Sotto i fiori di lillà” on Blogspot Platform. Talking of my way of telling stories, everyday life, literary contests in Italy today

INTERVISTA A LUCIA GUIDA

  1. Docente di lingua inglese e scrittrice. Lucia Guida e la letteratura paiono un unicum significativo. E’ così? Quanta linfa creativa e scrittoria trai dai classici della letteratura inglese e qual è il tuo maestro o la tua stella maestra, fra i Grandi della tua materia di studio?

Hai detto bene, studiare Lingue non è soltanto conoscere e parlare con fluency l’Inglese ma anche approcciarsi alla letteratura di un popolo e al suo modus vivendi per questo tramite privilegiato. Credo che la letteratura inglese, ma anche quelle francese e italiana!, da me studiate e/o approfondite all’università, abbiano decisamente influenzato il mio stile letterario. Senza trascurare nessuno degli autori da me conosciuti o riscoperti ricordo in particolare Thomas Hardy, Jane Austen, T.S. Eliot ma anche Colette, Simone de Beauvoir, Pea, Natalia Ginzburg e Cassola…

  1. “Succo di melagrana” è la tua creazione letteraria più recente. Com’è nata questa silloge e qual è il messaggio che speri di essere riuscita a trasmettere attraverso i racconti?

La silloge è nata poco alla volta, alla fine di un percorso di crescita personale e letteraria durata qualche anno. Da alcune esperienze nel mondo dei concorsi letterari nazionali e dalla mia voglia di confrontarmi con Donne e Uomini in materia di sentimenti. Il messaggio che ho cercato di trasmettere è stato appunto un messaggio di mediazione, di complementarietà in una società come quella italiana in cui, spesso, convivono con grande difficoltà situazioni estreme nelle relazioni interpersonali tra i due sessi. Complicate da stereotipi o tipizzazioni, a oggi ben radicati, che non aiutano affatto a smussare gli angoli. Della donna si ha un’immagine cristallizzata che non cresce e non aiuta a crescere, nelle piccole cose della quotidianità come nelle grandi cose della straordinarietà. A volte mancano il necessario rispetto o la stima per tutto ciò che è parte dell’universo femminile. Io credo che sia fondamentalmente un problema di educazione e che dipenda principalmente da un imprinting familiare distorto. Mi piacerebbe che ci si ritrovasse a lottare insieme e non da parti opposte della barricata. La unicità di Uomo è Donna è qualcosa di imprescindibile: riconoscerla e prendervi spunto per andare avanti nel riconoscimento l’uno del valore dell’altra sarebbe un buon punto di partenza …

  1. Qual è la tua opinione riguardo la nuova editoria digitale e come ti ci confronti, in qualità di autrice e lettrice?

Io credo che l’e-book sia un  mezzo di diffusione della cultura e della lettura fantastico. Rifiutarsi di        riconoscerne il gran merito è come tentare di fermare il corso naturale delle cose. Fortunatamente la mia casa editrice ne ha ammessa l’importanza proponendo molte sue pubblicazioni anche in formato digitale. Mi piacerebbe che anche la mia raccolta conquistasse popolarità tale da essere proposta anche in questa veste. Naturalmente continuo ad adorare le librerie come da bambina: il profumo della carta stampata è ancora tra le mie “fragranze” preferite!

  1. Il mondo dei concorsi letterari è ricco e variegato. Avrai sicuramente sentito parlare del Festival dell’Inedito e del ritiro del patrocinio da parte del Comune di Firenze in seguito alle tante petizioni e proteste nate anche dal web. Che idea ti sei fatta della vicenda e che cosa ne pensi riguardo la tassa di iscrizione dal costo proibitivo superiore ai 400,00€?

Io penso che i premi letterari ( e ovviamente sto parlando di quelli che offrono una certa garanzia di serietà! ) possano costituire per qualsiasi scrittore esordiente un buon banco di prova. E ne sono convinta proprio perché anch’io nel 2008 ho mosso i primi passi in tal senso: partecipando a un concorso letterario bandito da una biblioteca sarda, quella di Capoterra (CA). Non ho vinto nessun premio ma sono riuscita a classificarmi in finale con un racconto intitolato “Il volo dell’aquilone”. Credo che la cosa mi abbia dato la carica giusta per continuare in tal senso. All’epoca credo che non fosse prevista nessuna quota partecipativa. Devo, tuttavia, dire che ho sempre diffidato dei concorsi letterari che imponevano cifre spropositate come “tasse di lettura” o “contributo di partecipazione”. E leggendo nel web nei vari forum letterari di tante vicissitudini, soprattutto a carico di giovani autori, credo che alla fine  gli organizzatori del Festival dell’Inedito abbiano preso la decisione giusta: non avrebbe certo giovato all’immagine di una tale iniziativa l’idea che si potesse ”fare cassa” sulle aspirazioni letterarie di tanta gente …

  1. Per essere la scrittrice che sei, quanta importanza ha avuto il tuo percorso di vita nel forgiare la tua penna e la profondità, l’ottica, l’approccio alle difficoltà insite in ogni storia?

Tantissima. La mia idea è che in ciò che ciascun autore scrive ci sia sempre un fondo autobiografico. Specialmente in materia di sentimenti, di moti d’animo, di sensazioni che sono alla base di molte  delle mie storie

  1. Come prepari  – se la prepari – la storia che hai in mente, prima di scriverla?

Per una cultrice delle “piccole cose “ del quotidiano a volte può bastare un profumo, un oggetto, un’immagine isolata. Poi le vie della narrazione sono “infinite”:  quando hai la giusta ispirazione non sa mai dove andrai a parare, quale sarà la strada che ti si presenterà davanti. Puoi provare a buttare giù un canovaccio, senza avere la pretesa di rispettarlo sino in fondo perché a volte accade proprio l’esatto contrario …

  1. Quanto è importante, nella tua scrittura, il viaggio dell’eroe, inteso come quel viaggio di evoluzione che spinge in avanti l’azione e, al contempo, permette il cambiamento nei personaggi?

Se per “viaggio dell’eroe” si intende la consapevolezza di fondo di un personaggio che prende corpo con il procedere della vicenda, caratterizzandone, quindi, gli esiti finali, confesso di essere in tal senso “fatalista” piuttosto che “determinista”. Ma fatalista in senso spiccatamente positivo, intendiamoci. Nelle mie storie c’è poco posto per la rassegnazione e molto  per l’esercizio di buone e costruttive pratiche esistenziali. Ciascuno rimane sempre e comunque artefice del proprio destino

  1. Un detto dice: “Non si finisce mai di imparare”. Anche per la scrittura vale lo stesso?

Potrei affiancare al tuo adagio anche quello di “ sapere di non sapere “; nella vita, e quindi nella scrittura come metafora riflessa della vita, conservare i piedi ben piantati per terra aiuta sicuramente a crescere e a migliorarsi

  1. Che cosa significa, per te, essere una scrittrice? Quanto ti ci senti e come questo condiziona la tua vita e alle storie delle persone che ti circondano?

Io credo di essere rimasta essenzialmente quella che ero prima: madre, docente, scrittrice “per passione”. Chi mi conosce a fondo condivide appieno questa affermazione, dal momento che la mia vita spicciola è rimasta nella gran parte quella di una volta.  Mi piacerebbe poter avere molto più tempo per coltivare quello che al momento resta ancora un passatempo. Potrei girare la domanda ai miei due figli: a mia figlia Roberta, mia editor di fiducia, credo che questa mia “evoluzione” esistenziale non abbia creato particolari problemi. Mio figlio Emanuele, invece, farebbe volentieri a meno di un po’ di pubblicità, a cominciare dalla dedica riportata in una delle prime pagine del mio “Succo” …

  1.  Nei tuoi anni di maturazione come scrittrice, qual è stato l’errore “scrittorio” che ringrazi ancora oggi?

Il ricordo, tenerissimo, delle doppie ahimè mancate!, che infarcivano le mie prime produzioni letterarie di bimba. Storie di eroine e di eroi scritte su tovagliolini di carta sottilissimi proposte poi in lettura a mio padre a casa. I suoi brontolii ( mio padre era anch’egli prof! ) per i miei errori ortografici e la mia voglia di migliorarmi nella forma. Non li ho più dimenticati!

Aprile 2012, Carolina Venturini, blogger e social media analyst

The Beginning

L’idea, peregrina, mi era balenata in mente a fine agosto, periodo per me piuttosto sonnacchioso dal punto di vista lavorativo. Cominciando un po’ per gioco e un po’ sul serio a fare zapping sulle varie piattaforme per autori esordienti, sovrabbondanti di indicazioni, ricette, dritte per pubblicare bene. La mia idea regina era di rivolgermi a una casa editrice che potesse farlo gratuitamente, unendo l’utile al dilettevole. Rifiutando di “pagare per lavorare”, ( e cioè rivolgermi a edizioni EAP, a pagamento) ma anche non disdegnando di ricevere ulteriori conferme sulla mia scrittura.

In realtà il discorso era già stato avviato perché tra i tanti concorsi letterari nazionali cui avevo partecipato me n’era capitato qualcuno che tra le altre cose aveva messo in palio la pubblicazione dei racconti brevi arrivati in finale. Ma è risaputo che cantare “in coro” richieda una forma di coraggio diversa che farlo da “solista”. Aspettare l’esito delle tante mail inviate con il mio manoscritto in formato digitale  mi ha messa nella stessa prospettiva di una donna incinta che ha la possibilità, nei nove mesi della gravidanza, di abituarsi gradualmente alla creatura che porta in grembo. Con amore e tenerezza, con preoccupazione e ansia, trepidando sino al parto: perché si sa, una gravidanza è sempre e comunque un punto interrogativo, dal concepimento alla nascita.

A metà ottobre la notizia ricevuta dalla Nulla Die di essere pronta a pubblicarmi con riserva: a patto, cioè, che io come autrice non facessi troppe bizze, troppi capricci da primadonna perché talvolta è così che capita. A un passo dalla pubblicazione ci si reputa novelli Hemingway, pretendendo l’impossibile e oltre.
Non è stato il mio caso. Probabilmente per l’educazione ricevuta di stampo piuttosto puritano o forse per la consapevolezza di essere rientrata nel gioco per una sorta di coincidenze fortunate e fortuite. Dalla mia parte la mia scrittura da affabulatrice apprendista: senza scuole di scrittura creative da vantare in un curriculum letterario ma particolare, “graffiante” secondo la definizione di qualcuno. Influenzata da una passione per la lettura corposa, nata precocemente in un’età in cui ogni genere di imprinting ricevuto è per la vita.

Ho lasciato sedimentare la mail della Nulla Die per dieci giorni. Un periodo di riflessioni, di ripensamenti, di valutazioni contrastanti. Prima di armarmi di nuovo coraggio e rispondere positivamente, avviando un processo meraviglioso quanto irreversibile che mi ha portata a pubblicare sei racconti brevi, sei storie di donne tra passato e presente in cui la mia creatività si è confrontata con la vita spicciola da me esperienzata, vissuta, agita, metabolizzata.

Mente chi afferma di scrivere senza sottofondi autobiografici: se la scrittura è vita riflessa, trasposta nero su bianco, anche una fragranza, un’immagine, una sfumatura sono necessariamente connotate emotivamente dalla personalità di chi le ha pensate e date alla luce.

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A piedi nudi nel parco

Cinque mesi per abituarmi a questa nuova dimensione parallela ma concidente. Un libro pubblicato a gennaio alla sua prima ristampa. La necessità di farmi conoscere dagli addetti ai lavori ma anche dal grande pubblico stando bene attenta a scegliere modalità ottimali, incisive ma non invasive. A farlo lavorando con intelligenza, con un briciolo di cuore.

Un po’ come rispondere  a un invito a camminare a piedi nudi nel parco: davanti a te un tappeto di erba verdissima, invitante, pronta per essere calpestata  con garbo, con accortezza. E tu altrettanto pronta a farlo, stando bene attenta a scansare ciottoli  o pietruzze aguzze, ostacoli laceranti o semplicemente fastidiosi. Procedendo in avanti, con coraggio e risolutezza.

In un mondo che spesso non ha le sembianze di un giardino ma quello di un bosco. Un bosco magico, certamente, ma pieno di incantesimi, di luci e ombre.

Andiamo avanti, indietro non si può più tornare. E’ tempo di diventare sentieri.

“ Nessuna paura
  che mi calpestino.
  Calpestata, l’erba
  diventa sentiero”

 

Blaga Dimitrova, 1974