Celebrating Women

Mala tempora currunt per le Donne italiane. Ciascuna di noi avverte la sofferenza segreta di far parte di una categoria a rischio, molto più a inizio di questo millennio che in precedenza. E’ come se la lunga strada percorsa da tantissime donne ( e da me avvertita con un brivido di vitalità nuova negli anni della mia adolescenza, vissuti all’ombra delle lotte quotidiane delle tante femministe che cercavano anche per me, allora poco più di una bambina, orizzonti migliori) si fosse a un certo punto interrotta e qualcuno ci avesse intimato con voce decisa di tornare indietro sui passi compiuti.

Sembra quasi un paradosso, ma di Donne si ha ancora la necessità di parlare. Ben vengano, allora, occasioni come il Festival Rosadonna, celebrato nelle giornate del 23, 24, 25 e 26 maggio 2013 a Pescara presso il  Circolo Aternino di piazza Garibaldi. Ideatrice poliedrica del festival Cinzia Maria Rossi, presidente provinciale dell’ANFE.

Nell’ambito della rassegna editoriale, venerdì 24  maggio 2013 ho parlato, attraverso i miei racconti, delle mie storie di donne in un clima di inclusività al femminile e al maschile. Chiudendo il mio breve intervento con questa poesia, scritta un paio di anni fa in occasione dell’8 marzo e recitata in più di una circostanza, per ricordare a tutti come il Rispetto verso la Donna non possa essere soltanto mera celebrazione episodica ma debba scaturire, piuttosto, da progetti educativi consapevoli, rinnovati da noi tutti nella quotidianità più spicciola come anche nelle grandi eventualità.

Non regalateci mimose

Non regalateci mimose

comperate da fiorai distratti,

vaporosi ed effimeri

pegni di risarcimento

di amori trascurati e delusi:

dureranno una manciata di pensieri

in un giorno isolato

che non ci farà sbocciare

esplodendo di vita piena.

Non riempite il vaso del vostro rimorso

con splendidi fiori recisi di serra;

quel dito d’ acqua che li terrà vitali per poche ore

non potrà sostituire

la terra grassa e bruna

di un campo all’ aria aperta.

Offriteci, invece, una pianta d’ ulivo;

minuscola

ma con radici ben piantate al suolo

sferzata dal vento

blandita dalla pioggia

accarezzata dal sole.

E’ quello di cui noi donne

più abbiamo bisogno:

bellezza infinita

che traspare da sembianze semplici

e cura costante degli elementi,

l’ abbraccio forte, vero

e fragile

di un uomo che è verità, forza

e fragilità.

Questo e questo soltanto

ci necessita

e non già vetro trasparente di serra

mentre fuori imperversa

la bufera.

Lucia Guida

 Immagine

“Ulivo pugliese”, Eva Evita 

Dagherrotipi emotivi

La maternità vista da una prospettiva privilegiata, quella di una neonata di pochi giorni.

La mia proposta di lettura per voi di oggi è “Dagherrotipi emotivi”, racconto breve contenuto in ” I volti delle donne “, parte di Oro e Argento, Piccola Enciclopedia di Autori Contemporanei a cura di Vera Ambra per le Edizioni Akkuaria

 

 

Dagherrotipi emotivi

Mi sveglio e riconosco appena le cose che mi circondano. Ma la mia è solo un‘ impressione momentanea dettata forse dalle ultime ombre che ancora mi avvolgono.

So perfettamente dove sono.

Sono al centro di un enorme letto e voltando il capo posso percepire con chiarezza i tanti elementi che oramai, anche se da pochissimo, fanno parte della mia quotidianità: il comò bianco laccato, la specchiera ovale, una finestra perennemente schermata che permette a pochissima luce di filtrare all’ interno di questa camera quando ci sono anch’ io.

Sono in attesa di lei. Ne percepisco già l’odore, sento che arriverà presto, è il mio istinto che parla. Lei non può mancare perché io e lei siamo legate a stretto filo.

Mi giro lentamente e la mia guancia  si strofina delicatamente contro il lenzuolo bianco di cotone. Non sono ancora disinvolta nei movimenti e qualsiasi inversione di rotta mi costa una fatica enorme. La fatica di chi si è schiuso da poco al mondo esterno e non sa ancora remare con decisione in mare aperto. Oltre al suo odore, forte e penetrante, che ha impregnato in profondità le fibre del tessuto su cui sono stata poggiata e i miei stessi indumenti, riesco a percepire la sua voce gentile attraverso la parete. Tra pochi istanti quella porta di legno scuro si aprirà e lei sarà tutta per me. Siamo una sola cosa, io e lei: lei è parte di me e io sono parte di lei, in un legame che è vincolo di affetto e di sangue per il resto della vita di entrambe, nel bene e nel male, attraverso una quotidianità scandita nell’ ordinario e nello straordinario dal fluire incessante del tempo.

Sono abbastanza tranquilla e non è il caso di abbreviare la nostra momentanea separazione con un richiamo che lei sarebbe capace di riconoscere tra mille, nella foresta più intricata e selvaggia come in una moltitudine urbana presa da mille affanni. Di questo sono certissima, e lo sono sin da quando la mia vita ha deciso di prendere forma in lei annunciandosi con movimenti lievissimi e infinitesimali accennati con decisione e vitalità.

Attraverso il tono della sua voce riesco anche a comprendere il suo umore del momento. So individuare emozioni e stati d’ animo dai suoi gesti, dalle  espressioni silenziose ma eloquenti del suo volto, dal modo che ha di stringermi a sé  e cullarmi rendendomi parte del suo microcosmo.

In fondo lei è mia madre e io sono la sua creatura.

Io sono Immagine e Somiglianza dei suoi sogni e delle sue paure, delle sue speranze di riscossa futura e del rimpianto per tutto ciò che è oramai inesorabilmente parte del passato e non può più ritornare. Patto indissolubile e promessa di eternità concretizzati in carne e sangue, in cuore e mente. In me.

Eccola. Mi guarda per accertarsi che io stia ancora dormendo e quando ha la percezione chiara di come io non lo stia più facendo da tempo alza leggermente il tono di voce per seguitare a parlare al cellulare con qualcuno che non è qui con noi, elemento estraneo in questo istante perfetto e perfettibile ma tuttavia in perfetta armonia, all’ oggi fonte del suo star bene e quindi anche del mio. La sua voce lambisce le pareti, accarezzandole, e a volute si spande sottile nella stanza in penombra, accompagnando il suo sguardo vigile e tuttavia perso in un desiderio lontano. Ancora per un attimo, prima che lei decida di poggiare il telefono ai lati del letto che mi contiene nel  cono di luce di un abat-jour, stendendosi lentamente accanto a me. La guardo. Ci guardiamo entrambe a lungo negli occhi riconoscendoci lentamente come sempre, prima che io decida di reclamare con garbo il necessario per nutrirmi e che lei, docilmente, accetti di adeguarsi alle mie esigenze.

Succhio da lei latte, amore e senso di beatitudine, consapevole di trasmetterle altrettanto benessere. La osservo rapita e lei per un attimo socchiude gli occhi continuando comunque a stringermi a sé e a ninnarmi in una stretta che è mille canzoni insieme e forse più. Cedere alle lusinghe di Morfeo è cosa inevitabile, circondata da una tenerezza che è anche tepore e morbidezza di braccia che ti stringono premurosamente, trasmettendoti energia vitale senza avvilupparti troppo; il necessario per farti respirare con ampiezza senza soffocarti. A volte  di notte avverto il tocco gentile della sua mano sul mio petto per controllare che il mio battito, delicatissimo come ali di farfalla, ci sia ancora. Se potessi proverei già da ora a regalarle un sorriso per questo amore che è pura osmosi tra di noi, in uno scambio continuo che è gara incessante giocata in fairplay, arricchimento per entrambe, ma non ne sono ancora capace. Spero, un giorno, di poterlo fare e di potermi ricordare di tutte queste sensazioni che empiono il mio cuore spalancando di stupore continuo i miei occhi già avidi di vita.

Per ora mi accontento di fluttuare in una zona di luce e d’ ombra che mi riporta indietro, nei momenti che hanno preceduto la mia nascita, quando non c’ era alternanza alcuna di giorno e di notte e tutto era ovattato dallo sciabordio del liquido che mi conteneva e ricopriva nel grembo di mia madre, modellando al suo passo e ai suoi ritmi di veglia e sonno i miei. Con estrema ed essenziale semplicità, in una forma di dipendenza naturale come quel funicolo che mi assicurava sostentamento e che era ancora sicura alla sua vitalità e prova tangibile dell’ avermi voluta.

Ora sono nuovamente sola in questa stanza ma avverto con nitidezza la sua presenza a breve da me, in una comunione di spazio e tempo che durerà ancora a lungo, ne sono certa, né mi sfiora minimamente la paura che lei possa scomparire nel nulla. E’ il mio istinto a congiungermi biunivocamente a lei fortificando la sua vocazione di madre attraverso vibrazioni impercettibili e fortissime che  oramai da mesi raggiungono il nucleo delle nostre emotività, rinnovandolo e vivificandolo di continuo.

L’altro giorno ho sentito con chiarezza un mutamento d’ aria, una sfumatura d’ accento, un refolo di vento meno mite del solito avvertendo in lei una tristezza infinita attraverso lacrime contenute e compresse in gesti più misurati del dovuto. Mi ha stretta a sé quasi a colmare un vuoto che la scavava e non ha saputo, quella volta, sorridermi a tutto tondo.

Io l’ho guardata muta attraverso il mio velo di nebbia, confortata dal suo odore di madre e ho sussultato piano, con discrezione solidale e appena un cenno d’ insofferenza, da lei prontamente captato. Allora pervasa da nuova energia si è sforzata di essere nuovamente faro della mia esistenza facendomi nel contempo punto di riferimento imprescindibile della sua. E tutto ha riacquistato  proporzione e senso. Quelli ancestrali che legano indissolubilmente da subito il cucciolo all’ animale che l’ha generato attraverso la propria carne e il proprio sangue gratuitamente e senza alcuna riserva.

Non so se in futuro conserverò memoria di questi miei primi pensieri rubandoli al tempo e alla sua ferma propensione, nel suo poderoso balzo in avanti, a cancellare eventi e cose affiorati alla coscienza per  trasformarli in sequenze ordinate, algoritmiche e routinarie catalogate con certosina pazienza  e precisione ma prive della fragranza che le ha generate.

Ho tuttavia speranza che in avvenire questo miracolo possa ripetersi.

Magari in una creatura che porterò in grembo con vincoli di sangue e di cuore o,  se ciò non potrà accadere, nel sorriso di mille bambini incontrati per le vie del mondo. In un altro tempo, in un altro luogo o dimensione, chissà.

Rinnovando con consapevolezza questo dagherrotipo affettivo di immagini simili e angoli di prospettiva diversi generati tuttavia da medesimi sentimenti.

Ho all’improvviso un enorme bisogno di dormire. Voglio sedimentare attraverso la dolcezza e la immaterialità di questi miei primi momenti di vita queste esperienze per palesare un giorno la mia essenza, a oggi segretissima e misteriosa ma tuttavia presente e  già delineata in nuce, di figura compiuta di donna.

Ma non è ancora il tempo, e il mio cammino è al momento ammorbidito dal passo accorto e  lungimirante di mia madre che spiana per me, sua figlia, qualunque impercettibile  asperità del sentiero.

Saprò trasformarmi da crisalide in farfalla leggera che si disfa del suo bozzolo setoso con entusiasmo, con fatica. E’ scritto nel mio destino. Percepito, sognato, immaginato da entrambe con lievità pensosa, in fiduciosa attesa.

In una cornice che adesso è profumo di borotalco, luce soffusa e musica lieve di carillon ma che sarà anche, in avvenire, odore di brezza marina rigenerante e fresca, sottile, oppure onda vigorosa di maestrale, greve  e umida di salmastro all’ alba imperiosa del giorno che con tenacia si rinnova. *

Lucia Guida

Dagherrotipi emotivi in A.A.V.V.,” I volti delle donne “, Catania, Edizioni Akkuaria, 2012

 

i volti delle donne