Intervista

Cari  amici, vi riporto integralmente l’intervista realizzatami dall’autore e blogger Mario Borghi sul suo “Pubblica bettola, frammenti di cobalto” che si era già occupato di recensire qui il mio romanzo d’esordio “La casa dal pergolato di glicine”. Nella chiacchierata abbiamo parlato di tante cose: di piccola editoria, dei problemi incontrati dagli autori emergenti, dei miei lavori e del mio modo di concepire la scrittura.

Se ne avete piacere ve lo propongo come lettura odierna. Questo è il link per leggerlo in versione integrale

A presto

 

Quattro chiacchiere con Lucia Guida, scrittrice pescarese

22.05.14

Immagine

 

Dunque, ho convinto Lucia Guida, bravissima autrice di La casa dal pergolato di glicine, edito da Nulla Die, di cui ho parlato qui, a farsi fare un po’ di domande. Eccovela.

Ciao Lucia, grazie per la disponibilità, partiamo subito con la domanda di rito: puoi dirci nel minor numero di battute, il maggior numero di cose su di te, gossip compresi?

R- Ben risentito e grazie a te! Comincio subito: tendenzialmente non omologata, sincera ( per qualcuno “scomoda”), pasionaria, chiacchierona, impulsiva, idealista … può bastare?

Certo, ora però ti chiedo qualcosa di più. A quando risale la tua passione per la scrittura?

R- All’epoca in cui compitavo le prime lettere, errori ortografici inclusi. Mi piaceva scrivere piccole fiabe e storie su tovagliolini di carta sottili di forma quadrata (quelli di solito usati nelle pasticcerie) che, poi, regalavo a persone di famiglia perché potessero leggerle.

Quando è uscito il tuo primo lavoro “serio”?

R- Il mio primo lavoro da autrice solista “seria” è stato pubblicato nei primi mesi del 2012 dalla Nulla Die, casa editrice siciliana indipendente. È una raccolta di racconti au feminin che parla di donne a 360°. Non collocatelo, però, nelle opere “di genere”, è un’etichetta che trovo limitativa. I protagonisti dei miei racconti sono certamente “personagge” perché la loro autrice ha deciso di descrivere e dar voce a una materia che conosceva molto bene, ma sono rivolti a tutti, indistintamente. Il messaggio che volevo veicolare è che ciascuno di noi può farcela. Può, cioè, riconquistare uno stile di vita che gli è maggiormente congeniale, imparare a volersi bene se non l’ha fatto in precedenza. Un augurio di tipo universale, insomma.

Hai mai ricevuto una “stroncatura”?

R- Di recente un critico letterario mi ha fatto sapere su un forum di scrittori cui mi ero iscritta che non avrebbe mai comperato il mio libro. Si riferiva al mio romanzo d’esordio, “La casa dal pergolato di glicine”, edito sempre per i tipi della Nulla Die a settembre del 2013, di cui aveva letto una breve anteprima da me postata. Alla mia replica di come ritenessi il suo giudizio riduttivo, invitandolo a leggere il mio lavoro per intero prima di esprimere un giudizio, ha ribattuto che, comunque, i 16,00 € del prezzo di copertina non li avrebbe mai spesi per un’autrice poco conosciuta come me. Trovo desolante e deprecabile un atteggiamento pseudosnobistico come questo. Non sei abbastanza conosciuta, quindi posso eventualmente giudicarti “a gratis”. Quanto, poi, a comperare il tuo libro, non se ne parla proprio. Ed è un’opinione quanto mai invalsa. Di questo passo farsi conoscere, per quelli che pubblicano per piccoli editori, diventa un’impresa erculea. Ma del resto, di cosa meravigliarsi? Se anche fiere internazionali di tutto rispetto continuano a privilegiare le major editoriali a discapito di case editrici indipendenti? Insomma, continua a piovere sul bagnato, tra l’indifferenza generale. E al lettore viene propinato di tutto, sotto l’egida di marchi famosi, purché sia di tendenza. Una sorta di consumismo scrittorio, se così si può dire. Un fenomeno che non è certamente positivo.

Quali sono, se ci sono, i temi o i soggetti sui quali ami scrivere?

R- Mi piace scrivere di anime semplici come i bambini ma anche di anime complesse, adulte. Provare a ricamare attorno a cose o eventi all’apparenza quotidiani, forse per qualcuno scontati, storie e situazioni. Parafrasando un autore inglese, William Blake, “To See a World in a Grain of Sand”, intravvedere un mondo intero in un granello di sabbia. E poi provare a costruirci un castello, magari. Credo sia la cosa più bella e appagante che possa accadere a un autore, almeno secondo me. La realtà che ci circonda è uno scrigno inesauribile di tesori; basta, appunto, saperli riconoscere. 

Hai degli scrittori preferiti?

R- Passati e presenti? Un’infinità, scelti tra generi diversi, non esclusivamente di narrativa. Diciamo che da ragazza ho avuto ottimi maestri in tal senso. Persone di riferimento di famiglia e insegnanti che potessero darmi dritte eccellenti e che non ringrazierò mai abbastanza. Attualmente sul mio comodino c’è l’opera omnia della Munro, da centellinare pian piano, “Donne che corrono coi lupi” della Pinkola Estés, un paio di romanzi di autori emergenti che conosco personalmente. Tra i grandi del passato: T. Hardy, Colette, de Maupassant. Italiani contemporanei: Cassola, Pea, la Ginzburg … 

Come ti poni di fronte alla poesia?

R- Con una sorta di timore reverenziale. Sono convinta che per prosare occorrano ottime basi linguistiche. Per la poesia, se possibile, ne occorrono ancora di più. Ciò non significa, tuttavia, che il tecnicismo debba imbrigliare il sentimento. La poesia è arte anche attraverso la sensibilità e la profondità con cui tu provi a sfumare una sensazione, un’emozione evitando di cadere nell’ovvio.

Ci fai una carrellata delle tue pubblicazioni con una piccola didascalia per ciascuna?

R- Come autrice di racconti brevi ho pubblicato per diverse case editrici in collane di autori vari. “Succo di melagrana, Storie e racconti di vita quotidiana al femminile”, opera prima costituita da sei racconti, tre ambientati nel Novecento e tre ai giorni nostri, in cui le protagoniste provano a vivere con compiutezza maggiore la loro vita, riuscendoci. “La casa dal pergolato di glicine”, romanzo in cui do voce a Marina Federici, una donna alla ricerca della propria identità in un’epoca, il 1970, in cui scegliere una nuova stagione esistenziale era meno semplice di oggi. In entrambe queste opere da solista ho voluto trasmettere una speranza. Come anche nell’ultimo lavoro, in fase di pubblicazione, un’opera a tre mani edita da Fefè Editore, intitolata “Streghe d’Italia 2” che raccoglie tre personali punti di vista sulla figura della “magàra”, della strega vera o presunta che sia. Io credo che ciascun autore abbia precise responsabilità in merito ai contenuti, anche valoriali, che decide di trasmettere ai suoi lettori.

Che idea ti sei fatta del panorama editoriale odierno, sulla scorta delle tue esperienze di pubblicazione?

R – La stessa idea che, quando stavo per partorire la mia primogenita Roberta, mi venne in mente, dopo essere stata ricoverata, incinta di otto mesi, in ospedale, per un malessere. All’epoca avevo della gravidanza e del parto un’idea piuttosto rosea e, diciamolo pure, ingenua e poco calata nel reale. A contatto con le altre partorienti me ne sono dovuta fare un’altra, realistica e, per certi versi, più cruda. Pubblicare sempre e comunque può soddisfare l’ego di un autore ma non lo aiuta a crescere. La mia idea è quella di scegliere consapevolmente le mani editoriali cui affidarsi, che è un po’ quello che ho fatto io nel momento in cui ho deciso di fare sul serio. Per contro c’è comunque la difficoltà di pubblicizzare e propagandare quello che hai scritto, a lavoro ultimato; le piccole case editrici, pur avendo una buona distribuzione anche online, possono arrivare fino a un certo punto. Tocca, quindi all’autore, con molto olio di gomito, fare il resto. Non è semplice, specialmente quando devi fare tutto da solo e i proventi derivanti dalle tue pubblicazione sono minimi. C’è, poi, il discorso di cui parlavo poc’anzi circa la diffidenza verso gli autori esordienti/ emergenti, anche da parte degli addetti ai lavori. Imporsi in questo mare magnum non è facile. Specialmente per chi cerca di tenersi fuori da compromissioni di vario tipo, evitando di cercarsi sponsorizzazioni del tipo “do ut des” di varia provenienza.

Cartaceo o digitale?

R- Cartaceo ma anche digitale. Ben venga la tecnologia, dalla quale è assurdo prescindere, anche nel mondo della scrittura e, soprattutto, della lettura.

Qual è l’opera, tra quelle che hai scritto, che ami di più?

R- “Succo di melagrana”, decisamente. Anche se ho dovuto pensarci parecchio e farmi supportare dal fatto che buona parte dei suoi racconti aveva raccolto recensioni positive o era arrivato in finale in concorsi letterari nazionali. Io la chiamerei l’insicurezza dello scrittore esordiente. Un male necessario, comunque, che ti aiuta senz’altro a mantenere i piedi per terra e a non montarti la testa.

Che ruolo deve avere, secondo te, una scrittrice, nella società? Pensi che esista una differenza sostanziale tra scrittore e scrittrice?

R- Delle responsabilità implicite ed esplicite contenute in un atto scrittorio ho già parlato. La differenza sostanziale tra scrittore e scrittrice risiede per me in una sensibilità espressa differentemente e in modo complementare. A ogni modo entrambi sono portati a ricoprire, oggi, un ruolo che è necessariamente mediatico e che è inutile e poco onesto negare. Mi spiego: il lettore che ti ha scelto come autore ha la necessità di conoscerti “live”, di sapere come la pensi anche in questioni di quotidianità. Io credo nell’idea di un’arte fruibile e non in quella di una torre d’avorio in cui trincerarsi. Apprezzo dei grandi artisti la loro capacità di relazionarsi costruttivamente col pubblico, ricercando il giusto equilibrio con la necessità di preservare comunque il proprio spazio intimo, privato.

Hai dei progetti nel cassetto?

R- Tanti e non tutti di natura scrittoria. Per il resto non sono un’autrice esageratamente prolifica; scrivo quando mi va e quando ne ho la possibilità, tempo e impegni vari permettendo. Sono per lo slow writing, per la scrittura che porta fuori il meglio di te, a dispetto di mode o tendenze che non ti appartengono e che, per tale ragione, lasciano il tempo che trovano. Il lettore ha bisogno, per certi versi, di identificarsi in te scrittore, passare da un genere all’altro lo manda in confusione.

Cosa vuoi fare “da grande”?

R- Continuare a essere felice delle piccole e grandi cose della mia vita. Per me è stata una conquista raggiunta da “ragazza cresciuta” nel momento in cui ho cominciato a volermi bene sul serio

E ora la terribile domanda, che fa arrabbiare molti scrittori: perché scrivi?

R- Potrei dire che la scrittura ha ricoperto, nella mia via, ruoli diversi. All’inizio è stata, come blogger, terreno di conferme ma anche terapeutica. Poi è diventata piacere di scrivere fine a se stesso. Voglia di ringraziare i lettori che hanno creduto in te e che si aspettano di rileggerti ancora. Certamente mai imposizione o qualcosa di preconfezionato. Scrivere così richiede tantissimo tempo ma io non mi lamento. E aspetto che arrivi l’ispirazione giusta, quella che fa la differenza. Grazie per questa bellissima chiacchierata.

Grazie Lucia per il tempo che ci hai regalato e a buon ri-leggerci.

Mario Borghi

 

Presentazioni d’autore: “I profumi del cedro” di Catia Napoleone

“I profumi del cedro” è il secondo romanzo di Catia Napoleone, autrice esperta in comunicazione, edito, per i tipi della Demian Edizioni di Teramo, nel marzo del 2014. Ho avuto il piacere di conoscere Catia in occasione dell’intervista da lei rivoltami per conto di Rosa TV, emittente televisiva digitale, nella trasmissione “Leggiamo insieme”, realizzata nella primavera scorsa in cui parlavo della mia silloge di racconti “Succo di melagrana”.

E’ appena il caso di dire che sono davvero contenta di essere tra i primi a recensire questo suo secondo figlio scrittorio.

Buona lettura

 

Il romanzo

 

I profumi del cedro è la storia di Giulia, una ragazza calabrese che ha imboccato una strada decisa da altri per lei, sforzandosi di percorrerla per buona parte della sua vita per seguire con estrema malleabilità i dettami di un’educazione parentale e familiare antichi e consolidati, prima di decidere di scardinarli e riappropriarsi della propria esistenza, della propria identità di Donna e di Persona.

Elemento catalizzante assume nella storia, narrata in prima persona, il ricordo profondo e radicato del nonno di Giulia, padrone di una cedriera in Calabria, e delle sue riflessioni che ha voluto trasmettere alla sua nipotina, portandola a passeggio tra i filari della sua proprietà e spiegandole con semplicità, da uomo concreto e gran lavoratore, le piccole e grandi verità della vita sino al giorno della sua morte, avvenuta quando la ragazza è ancora un’adolescente.  Il paradosso è proprio quello; da un lato l’arrendevolezza di Giulia, ben pronta ad accontentare i suoi genitori rispondendo alle aspettative da questi riversate sulle sue scelte di vita adulta, e dall’altro l’impossibilità di prescindere dagli insegnamenti saggi e pacati di questa figura maschile così preponderante nella sua vita che, per contro, la invita a osare, a sognare.

Un matrimonio male assortito sin dall’inizio e tuttavia condotto con pacata e amichevole indifferenza da entrambi i suoi protagonisti, ambientato in una provincia in cui ogni cosa ha un senso se opportunamente collocata e sancita dall’approvazione della comunità di appartenenza. Da lì Giulia potrà, comunque, svincolarsi per una questione dovuta al caso o al destino, se così si può dire: il trasferimento della sua famiglia in Abruzzo, deciso dal marito che ha desiderio anch’egli di liberarsi da un retaggio familiare che sente sempre di più per se soffocante. Una decisione subìta ma che le aprirà uno spiraglio e la spingerà a guardarsi attorno, realizzando l’aspirazione di laurearsi e di rendersi donna libera, quanto meno culturalmente, da un marito che non ha nessun piacere a mostrarla nella sua cerchia di amicizie se non in situazioni istituzionalizzate come cene di lavoro o iniziative benefiche in cui tutto appare piuttosto che essere.

Di questo Giulia soffre silenziosamente, riuscendo soltanto nella dimensione onirica ad affrancarsi; nei suoi sogni, infatti, spesso popolati dall’immagine di nonno e dalle sue sagge indicazioni, la ragazza trova assai spesso rifugio per raccontarsi e spiegarsi molte cose della sua quotidianità che comincia sempre più a trovare ingombrante.

Saranno l’amore per Luca, suo figlio, e l’ammirazione e l’affetto per Alessandro B., professore universitario a cui Giulia si è mostrata per quella che è veramente, a darle lo slancio finale per recidere con un taglio netto il cordone ombelicale che la lega a una vita che non le è mai appartenuta. Il suo paese in Calabria e l’immagine delle cedriere colte nel momento in cui gli ebrei vi si recano per la ricorrenza del Sukkoth, oltre a una riconquistata autostima, (grazie anche, finalmente, alla tardiva ma incondizionata accettazione delle sue scelte di vita da parte di sua madre e di suo padre) caratterizzeranno la sua nuova stagione esistenziale, questa volta ricca di speranze e di sogni a cui non manca nulla perché diventino realtà.

Catia Napoleone narra la sua storia mantenendosi in bilico tra il genere diaristico, in cui trovano posto pensieri volanti ma anche brani di conversazioni passate e presenti, e quello propriamente narrativo in una sorta di “stream of consciousness” interrotto spesso, tuttavia, dalla concreta possibilità di Giulia di consigliare il lettore, forte del traguardo raggiunto, al meglio. Così come a suo tempo nonno aveva inteso fare, con la determinazione e la caparbia di guidare fino a quanto gli fosse stato possibile, quella nipote pulita daveru, immolata alla tranquillità familiare dei suoi genitori ma destinata a ben altre scelte.

 

L’autrice

Catia Napoleone è nata a La Louvière (Belgio) nel 1973.

Si occupa di comunicazione. Ha pubblicato il suo primo romanzo, intitolato “Per un atomo d’amore”  per Youcanprint nel 2012.

 

 

Catia Napoleone, I profumi del cedro, ISBN: 9788895396873, € 13,00 

 

 

 

Luglio

Dodicidio è una collection letteraria, un romanzo noir in dodici capitoli realizzato da me e da alcuni membri del F.I.A.E. Ha contribuito alla giusta causa dello  I.O.V.Art di Padova attraverso la donazione delle royalties derivanti dalla sua vendita.

Nasce da un’idea degli scrittori Fabio Musati e Amneris Di Cesare ed è stato pubblicato dalle Edizioni La Gru nel luglio 2013

Questa è la sua quarta di copertina:

Un uomo sui cinquant’anni, un contabile, fissato con i numeri e i calcoli. Uno che si confonde tra la folla, che non si fa notare, che non vuole farsi notare. Fa bene il suo noioso lavoro; onesto, pignolo, puntuale, preciso. Un brav’uomo. Un Grigio, insomma. Prima di Natale viene licenziato e il suo mondo frana improvvisamente. A farlo crollare è l’Ingegnere, padrone dell’azienda in cui lavora, uomo influente, di successo, introdotto negli ambienti che contano nella piccola cittadina dove vivono entrambi; lui diviene il nemico da abbattere, da eliminare. Da anonimo uomo di provincia, e da neo disoccupato, eccolo quindi diventare il Protagonista, eccolo trasformarsi in eclettico serial killer che medita con precisione, e minuziosa pedanteria, il delitto perfetto. Gli autori: Fabio Musati, Amneris Di Cesare, Luca Fadda, Francesca De Logu, Francesca Montomoli, Falconiere Del Bosco, Luciana Ortu, Valerio Piga, Fabrizio Colonna, Lucia Guida, Cristiana Pivari, Cristina Lattaro, Massimiliano Mistri.

 

Per voi, oggi, in lettura il mio piccolo contributo. A presto

 

LUGLIO*

 

La guida è giovane e carina, avrà circa vent’anni. Forse è una studentessa di Architettura che ha deciso di arrotondare le sue magre entrate da universitaria. Finge di darsi un contegno, ma in realtà ha una paura fottuta. Fortuna che il giro di visite che guiderà, è composto da poca gente. I turisti più accorti sono tutti in piazza, sotto le nuvole evanescenti degli evaporatori, all’ombra di ampi tendoni chiari.

La ragazza scruta i suoi compagni di sventura, pentita di aver indossato, per un po’ di frescura in più, quegli shorts che lasciano ben poco all’immaginazione. Riceve conferma della propria avventatezza dallo sguardo famelico di un padre di famiglia in bermuda, sandali da frate e t-shirt stile make-love-not-war. Lui le gira attorno lasciandole poco respiro; porta la guida-radio noleggiata all’ingresso al collo e un voluminoso libricino intitolato all’imponente Palazzo Ducale di Mantova in cima al borsello portato a mo’ di cartucciera a tracolla.

La ragazza sospira con insofferenza, valutando desolatamente lo sguardo di puro odio della moglie dell’uomo: una tizia bionda, capelli alla maschietto, piatta e magra come un chiodo, chiaramente esasperata tanto dal machismo del marito, quanto dal ragazzino di una decina d’anni, certamente loro progenie, arrampicato con sguardo assassino sulla transenna di metallo all’ingresso delle stanze museali.

Di fronte a lei c’è una coppia di turisti orientali. Con irritazione la ragazza pensa che le toccherà sfoderare il suo inglese scolastico. Del resto il tour promette pomposamente una visita guidata della durata di mezzora con la possibilità di ricevere informazioni in lingua. Che giornata! Dà un’ultima sbirciata all’orologio da polso: ancora cinque minuti allo start. Cinque minuti di attesa snervante, appena attenuata dal fresco garantito dagli spessi muri di quella casa patrizia, vanto e fiore all’occhiello della città oggi deserta.

Il nostro uomo, oggi in versione globetrotter, sogghigna per la fortuna di essere capitato al Palazzo Ducale proprio in questo sonnacchioso pomeriggio domenicale. Un momento reso ancor più propizio dalla distrazione di quella specie di Barbie occhialuta che non si è nemmeno accorta della sua sparizione, intenta com’è a messaggiare col suo smartphone. Sarà che di matti al mondo ce n’è a iosa, ma di sprovveduti ce n’è almeno il doppio. Superare la transenna fatiscente è stato un gioco da ragazzi, e lo è stato altrettanto proseguire silenzioso, sulle morbide suole delle sneakers, per gli ampi corridoi. Scarpe fantastiche sui cui lui è intervenuto creando una leggera ombra sul dorso limando la mina di una matita e applicando poi la polvere usando un batuffolo di cotone. L’effetto è perfetto. Si ferma un attimo solo, giusto per individuare il pannello di controllo delle telecamere a circuito chiuso, e per manometterne qualcuna, tanto per cancellare ogni traccia di sé, se mai ne dovessero restare. Nello zainetto ha tutto ciò che gli occorre per lavorare in modo pulito e professionale in qualsiasi circostanza. Bastano pochi minuti per allentare i tasselli e i fermi che tengono ancorato alla parete l’imponente arazzo, protetto da una pesante teca di vetro, riportato con tanta fedeltà sulla copertina della guida turistica.

Una scena silvestre in cui c’è tutto quello che gli serve: l’orrore della dama che si copre con una mano gli occhi per non vedere i tre caprioli inondati di sangue ai piedi del trionfatore, il cacciatore impavido. Un arazzo dal sapore profetico e per lui beneaugurante. Pronto a cedere rovinosamente al battito d’ali di una farfalla.

Luglio si veste di novembre se non arrivi tu. Luglio sarebbe

un grosso sbaglio non rivedersi più.

Alla comitiva, intanto, si sono aggiunti un uomo sulla cinquantina in polo di piquet, pantaloni color kaki e mocassini ai piedi, e un tipo con uno zainetto in spalla e un ridicolo berrettino da baseball americano unto e bisunto. La famigliola, la coppia di cinesi di Shangai e i due uomini seguono la guida per le stanze. Lei si impegna sfoderando un italiano fluido e un inglese accettabile nel descrivere i particolari che sa a memoria. Sogna un ghiacciolo alla menta e una doccia tiepida.

Mancano ancora un paio di sale da vedere.

Il ragazzino ricomincia a dare di matto. Probabilmente gli mancherà la playstation. La guida è certa che la scelta dei suoi genitori di andare per palazzi d’epoca sia stata dettata dalla necessità di sopravvivere alla cappa di calore insopportabile. Il marito le dà più l’impressione di un frequentatore di YouPorn che quella di un cultore d’arte, mentre la sua compagna è intenta a chiacchierare al telefono con un’amica. I due cinesi sembrano gli unici interessati al contenuto delle teche polverose. Il globetrotter, con le cuffie della guida-radio in testa, poco si cura delle sue spiegazioni.

Poco male.

La Barbie occhialuta procede con buona volontà negli approfondimenti, mentre l’ingegnere con i pantaloni kaki si premura di controllare che questi corrispondano alla virgola a quanto riportato nel suo libricino. Il globetrotter non può evitare di osservare con disgusto il suo dannato ex capo, fiscale e bacchettone persino nei momenti di relax. In un paio di circostanze l’ingegnere si spinge a correggere la guida, guadagnandosi un’alzata di spalle di quest’ultima, incurante della sua spocchiosa meticolosità.

Mancano circa dieci minuti alla fine del giro e la ragazza non vede l’ora di terminarlo. A passo spedito entra nella grande sala da pranzo, portando il suo gruppo al cospetto dell’arazzo. Il globetrotter si asciuga il sudore dalla fronte. I cinesi osservano rapiti i corpi dei caprioli straziati dai colpi del cacciatore. Persino il maniaco padre di famiglia e l’ingegnere si avvicinano incuriositi all’enorme pannello per osservarlo meglio. Il bambino tira fuori da una tasca una hot wheels. Vuole farla passare tra le gambe del distinto professionista che è impegnato in un’interminabile discussione con la guida, visibilmente scocciata. L’uomo insiste nel voler oltrepassare il sottile cordone di protezione per ammirare da vicino.

Il bambino sta per lanciare la macchinina, ma sua madre lo afferra per la collottola, esasperata dalle sue intemperanze, e lo strattona via.

La hot wheels cade al suolo. Il globetrotter la raccoglie, senza essere visto, e la scaglia contro l’arazzo davanti al quale la guida e l’ingegnere discutono animatamente attirando l’attenzione di tutti i presenti che si sono avvicinati ai due. Poi, silenziosamente, l’uomo si distacca dal gruppo e guadagna l’uscita. In sottofondo sente un fragore celestiale  e le urla di paura e dolore dei visitatori.

Aiutata dai due cinesi, la ragazza cerca di estrarre il corpo del padre di famiglia martoriato dai frammenti di vetro della teca. La moglie, basita, regge per un braccio il ragazzino finalmente ridotto al silenzio.

L’unico a non battere ciglio è l’ingegnere, stizzito per questa fastidiosa interruzione.

Ormai giunto in strada, il globetrotter si frega le mani soddisfatto. Stavolta è andata. Con audacia si nasconde dietro un capannello di curiosi prontamente accorsi, per ascoltare i primi commenti sull’accaduto. Una scarica gli attraversa il corpo quando vede avvicinarsi una sagoma a lui familiare. È lui! Possibile che…? Possibile che sia ancora vivo? Possibile sì, accidenti!

Luglio ha ritrovato il sole non ho più freddo al cuore

perché tu sei con me…

Maledetta schifosissima canzone.

 

Lucia Guida

 

“Luglio” in A.A.V.V. (2013) Dodicidio, Padova, Edizioni La Gru