Succo di melagrana

 

 

 

“Succo di melagrana” è un mio componimento poetico in versi sciolti da cui prende il nome la mia prima opera da solista, una silloge di  sei racconti in cui narro storie di donne in bilico tra passato e presente, pubblicata dalle edizioni Nulla Die di Piazza Armerina a principio del 2012.

E’ un ritratto al femminile di ciò che ciascuna donna potrebbe diventare a un certo punto del cammino intrapreso grazie alla consapevolezza acquisita in itinere.

La melagrana, agrodolce e succosa, poco appariscente ma in realtà scrigno dell’essenza femminile per antonomasia, viene da me indicata come frutto privilegiato per rappresentarci a tutto tondo al mondo intero

Buona lettura

 

 

Succo di melagrana

 

Mi chiedi come sono

e insisti per saperlo.

Io sono io

e non so spiegarlo

talvolta neanche a me.

Sono tessuto leggero di

pashmina del Kashmir,

morbida e avvolgente dal

disegno piccolo e ricercato,

e non pezza di velluto di seta

sfrontatamente

impositiva;

sono argento indiano

lavorato con turchese o

ametista

e non trilogy di brillanti

in elegante confezione regalo.

Sono sottobosco d’autunno

dorato

e non esplosione di verde rigoglio

Sono tramonto che sfuma nel blu violetto della sera

o alba che tinge appena di luce e colori

tenui l’orizzonte

e non mezzogiorno accecante

e torrido.

Felice di essere così,

A volte anche senza parole,

mai più senza speranze

o amore verso me stessa.

Con una piantina

da crescere sul mio balcone,

o un fiore da curare,

in un goccio d’acqua

in un vaso di vetro

colorato

in camera

da me.

Succo agrodolce

di melagrana

che ti disseta

con discrezione

lasciando traccia

vermiglia

indelebile

sulla tua mano.

 

L. Guida *

“Succo di melagrana” in Guida, L. (2012) Succo di melagrana, Storie e racconti di vita quotidiana al femminile, Piazza Armerina (EN), Nulla Die

 

in foto immagine di Persefone presa dal web

Il volo dell’aquilone

“ll volo dell’aquilone” segna il mio esordio letterario come autrice di racconti brevi, classificandosi, nel 2008, tra i dieci racconti finalisti del XII Concorso bandito dalla Biblioteca Poggio dei Pini di Capoterra (CA).

E’ un testo a cui sono particolarmente legata e ha segnato per me il passaggio da blogger a scrittrice di racconti brevi, una strada intrapresa a piccoli passi.

Confesso che avrei comunque amato Valerio e il suo desiderio caparbio e tenero di far volare quell’aquilone così faticosamente costruito anche senza i riconoscimenti ufficiali ricevuti. Spero sia così anche per voi  

Buona lettura e a presto

 

Il volo dell’ aquilone 

Valerio era il terzo di quattro figli. Era arrivato in sordina all’ alba di  un mattino di dicembre, terzogenito di una tipica famiglia di una città di provincia come tante. Una famiglia in cui spiccavano il rigore di un padre che si era fatto da sé  e la docilità di una madre che si era sposata per sistemazione e forse con poco amore. Valerio era stato accolto con la naturalezza con cui si accoglievano tutti i figli nati sotto la solidità di un tetto coniugale; sua madre gli si era dedicata con la dovuta devozione, quella che ci si aspetta da una brava madre, crescendolo con affetto contenuto alternato a momenti di tenerezza estrema in cui lui diventava centro del suo fragile universo femminile e fulcro verso cui pareva si accentrassero  tutte le aspettative di moglie palesemente insoddisfatta. Quindi, inaspettatamente, a distanza di circa quattro anni era nato Tancredi, spodestandolo del privilegio di piccolo di casa e portando con sé altri elementi destabilizzanti nella serenità e nelle certezze, poche, di quella “ donna del dovere “.

Valerio aveva gestito con apparente piena accettazione la nascita di quel bimbo. A lui era subito sembrato troppo piccolo e un po’ bruttino, inspiegabilmente circondato dalle cure continue della zia paterna, ufficialmente giunta in quella casa per dare una mano ma in realtà anche per aggiungere  il peso della propria autorità a quella paterna, appesantendo l’animo di quella mamma già greve di stanchezza non solo fisica. I suoi fratelli maggiori, invece, avevano preso l’intera faccenda con disposizione diversa; Alberto con la leggerezza che stemperava in tutte le cose che faceva e le iniziative che intraprendeva,  Maria Paola  con il giudizio e la saggezza che la caratterizzavano da sempre e la rendevano figlia prediletta in modo indiscusso del papà. Al bimbo non era rimasto altro che dissimulare un profondo e antico dolore con l’ apparente pacatezza che pareva tutti si aspettassero da lui. In quella famiglia, simile ad una compagnia di guitti, a ciascuno era richiesto di ricoprire un ruolo ben preciso e costante nel tempo; e il suo, appunto, era quello di figliolo incredibilmente disponibile e buono, pronto a modellarsi al canovaccio necessario al momento riproponendo comportamenti pregressi già con successo sperimentati senza improvvisazioni di sorta.

Le sue giornate di bimbo sensibile e creativo procedevano sempre nello stesso modo, segnate dal carattere burbero di quel padre dalla personalità ingombrante e dall’apparente duttilità di quella donna  affannosamente presa dalle mille incombenze proprie del ruolo che le era stato chiesto di impersonare; in un sottofondo dai colori tendenti al cupo, delineato dall’irruenza dei modi paterni, fatto di tempeste vere o presunte e mai mitigato dalla vivacità di un arcobaleno femminile che potesse addolcirlo.

A un certo punto della sua giovanissima vita aveva scoperto le infinite potenzialità racchiuse in una matita e una manciata di colori,  prendendo a dare sfogo, attraverso disegni complicatissimi e ricchi di particolari minuziosamente tratteggiati, a quel groviglio di sentimenti inespressi presente nel suo cuore infantile che mai nessuno aveva pensato di portare in superficie con parole amorevolmente invitanti al dialogo. Immagini vivaci e coloratissime avevano assunto infinite forme nello spazio quadrettato di un foglio, contribuendo a rasserenare i suoi momenti più critici e sublimando energie vitali che altrimenti sarebbero andate a sfociare in frustrazione, impotenza e rabbia. Sua madre aveva notato questo cambiamento, soffermandosi per un po’ sulle cause che lo avevano prodotto. Concludendo, infine, velocemente le sue riflessioni con una carezza lieve e distrattamente conciliante. Un’ abitudine, quella di pasticciare con le matite, che portava talvolta Valerio al punto di dimenticare perfino di mangiare per dedicarsi a quel nuovo passatempo da lei giudicato oltre modo singolare con stupore e meraviglia e assecondato con materna indulgenza. Assai diverse, naturalmente, le conclusioni cui era giunto suo padre; il disegno era da quest’ ultimo sempre stato giudicato un’arte minore, superflua, minimale. Ben altro rispetto alla letteratura, alla matematica o alla storia. Forme d’espressione o discipline di maggior spessore, assolutamente non paragonabili per consistenza a pittoreschi ghirigori colorati. Ma stavolta Valerio aveva tenuto duro, riaffermando silenziosamente la sua volontà di esternazione e all’ austero genitore non era rimasto che brontolare per un periodo limitato di tempo circa l’ inutilità di coltivare precocemente simili passioni, per poi terminare con l’allinearsi, sia pure partendo da diversi presupposti, alla tollerante posizione materna. E si era giunti a quella fatidica data, a quel primo ottobre che avrebbe sancito il suo ingresso ufficiale nel mondo degli adulti con la sua entrata nella scuola elementare. Il padre l’ aveva accompagnato in silenzio in quell’ aula gremita di banchi con la pedana e segnata dai singhiozzi di qualche bambino incapace di contenere la propria paura del nuovo, lasciando che quel maestro dall’ aspetto severo, da lui conosciuto e stimato personalmente come persona integerrima e di autorità,  attribuisse a quel nuovo scolaro il posto che gli sarebbe toccato per tutto l’anno scolastico. Per un istante, un solo istante, Valerio aveva chiuso gli occhi trattenendo il fiato per evitare di indulgere in  quelle che sarebbero state considerate, ne era certo, esagerate manifestazioni emotive. Un solo istante che, però, racchiudeva un mondo di pensieri, primo tra tutti quello dell’ aquilone di carta di seta da lui confezionato il giorno precedente e che non aveva potuto far volare per la pioggia, piangendo silenziosamente e di nascosto nella rimessa per liberarsi della frustrazione di quel piccolo piacere negatogli dalle circostanze della vita.

Ci aveva lavorato con lena per ben due giorni, cercando di addolcire in tal modo il pensiero dei doveri scolastici prossimi a venire. In un cassetto del tavolino da cucito della madre aveva scovato diversi fogli di carta da modello chiedendole il permesso di utilizzarli per quella nuova impresa ed ottenutolo vi aveva riversato con impeto e passione tutta la sua energia creativa, decorandolo pazientemente e amorevolmente con le sue matite e facendo ampio uso di colla di farina e acqua. Al contadino che curava l’ orticello di casa aveva sottratto delle asticelle sottili di bambù destinate alla coltivazione degli ortaggi, incrociandole con precisione ingegneristica e legandole con lo stesso spago con cui  aveva assicurato l’ aquilone ad un rocchetto di legno.

E poi aveva atteso che una giornata di sole e tepore annunciasse il mattino successivo.

Ma così non era stato, e un imprevisto maltempo aveva segnato il suo risveglio assieme alla proibizione assoluta di recarsi nei campi ormai fangosi e pieni di pozze d’ acqua piovana.

A lui non era rimasto che sperare inutilmente che  il tempo si rimettesse al bello, col visetto appiccicato al vetro della portafinestra del tinello. Il miracolo non si era però compiuto.

Con incredibile forza d’ animo aveva terminato di pranzare spiluzzicando distrattamente e attirandosi i commenti poco piacevoli del fratello maggiore. Ma a pasto ultimato e non appena tutti  avevano smesso di dedicargli un’ attenzione in quel frangente davvero indesiderata e scomoda, era scappato in cortile e corso via nel suo rifugio segreto. Per dare finalmente libero sfogo al suo dolore immenso.

Consapevolmente privo del conforto lieve e dell’ empatia gentile di una voce adulta qualsiasi che gli spiegasse come quella domenica era soltanto principio di autunno e non castigo divino per improbabili colpe precedentemente commesse.

Eppure a un tratto era stato proprio il pensiero di quel mancato divertimento a tirarlo su di morale e a rendere sopportabile quella giornata di pura sofferenza.  Come un viandante assetato in un deserto inospitale  cerca di scorgere in lontananza l’immagine rarefatta dell’ oasi per rinfrescare il proprio spirito affranto, l’ idea di quell’ aquilone in paziente attesa e tuttavia pronto a  spiccare il volo in qualsiasi momento, condotto dalla sua manina e da un vento gentile e favorevole, aveva avuto il potere di rasserenarlo e di dargli speranza nuova. Portandolo con sé ed in alto, con benevolenza,  verso una concreta e possibile via di fuga, a distanza di anni luce da quel presente di così poche soddisfazioni e di molti affanni.

Lucia Guida

 

 

“Aquiloni”, dipinto di Cesare Cassone