Agenzia matrimoniale

Ci sono tanti modi di concepire e costruire un incontro d’amore. Adela, la titolare di un’agenzia matrimoniale del terzo millennio, cerca di unire in tal senso l’utile al dilettevole divertendosi a combinare i desiderata dei suoi clienti per creare nuove coppie a tavolino, in un gioco di specchi in cui molte cose non sono ciò che sembrano.

E’ questa in sintesi la storia di “Agenzia matrimoniale”, racconto breve di qualche anno fa, pubblicato nel mio primo blog Springfreesia

Buona lettura

Agenzia matrimoniale

Adela si sfilò lentamente gli occhiali dalla montatura colorata e dalle lenti non graduate, unico vezzo in un look estremamente classico e rassicurante. Sapeva quanto l’occhio avesse voce in capitolo in certe circostanze ed era decisa a far uso sapiente di questa consapevolezza.

In qualità di unica intestataria dell’agenzia matrimoniale “Cuori solitari” aveva trasformato in necessità lavorativa la virtù posseduta da bambina di favorire il buon esito delle cotte adolescenziali delle sue amiche, offrendosi di buon grado come mediatrice ora come allora. La sua era un’agenzia rigorosamente tradizionale, con pochissimo spazio concesso all’informatizzazione e in cui i profili dei suoi clienti erano ordinatamente conservati in faldoni dalla copertina dal colore diverso che ne individuava la categoria di appartenenza: rossa per i casi di facile collocazione, bianca per quelli di incerta risoluzione, nera per quelle situazioni inquadrate come impossibili o quasi, grigia per le schede di clienti che non era riuscita a mettere bene a fuoco lasciandoli in standby nella speranza che capitasse per loro qualche occasione felice in futuro. Possedeva un ufficio anonimo quanto bastava per dare la giusta idea di privacy a tutti quelli che, nella ricerca del vero amore, quello per la vita, a dispetto di chatlines per single o siti di incontri che imperversavano nel web, continuavano a ricorrere ad approcci più tranquilli e tradizionali, fidandosi del suo buon intuito procacciandosi incontri amorosi scelti sui suoi cataloghi come un tempo avrebbero ordinato un abito o un oggetto acquistandolo per corrispondenza.

Le due sale d’aspetto, una piuttosto piccola e l’altra di ampiezza maggiore, si allineavano a quel tipo di prospettiva; essenziali, completate da piante artificiali, le stesse di un qualsiasi studio notarile o medico, qualche rivista abbandonata su un tavolinetto basso per ingannare l’attesa che poteva a volte rivelarsi lunga prima di un consulto con la titolare.

Il contrasto di quei due ambienti con il suo ufficio era palese. Nella sua stanza tutto trasudava confidenza e familiarità, dal pc sempre spento, alle foto di famiglia sulla scrivania popolata di oggettini tipicamente femminili: fermacarte vivacemente istoriati, cuori di vetro soffiato, una piantina vera. Sulle pareti trovavano posto alcune stampe d’autore, illuminate indirettamente da una piantana relegata in un angolo tra un’altra poltroncina bassa e l’ennesimo tavolinetto. Di fronte alla sedia imbottita di similpelle, riservata agli ospiti, c’era un piattino ben rifornito di cioccolatini alla portata di chiunque avesse voluto servirsene.

In genere l’iter era quello di un colloquio informale in cui lei prendeva scrupolosamente nota dei desiderata della gente, occhiali ben inforcati e solitario ben in mostra all’anulare sinistro. Poi c’era lo spoglio delle schede alla ricerca di una fisionomia che potesse ben combinarsi accompagnato da uno scambio di frasi amichevoli, pronunciate con pertinenza improntate su situazioni di condivisione e complicità, in cui le sue capacità di psicologa dell’animo umano avevano il sopravvento e contribuivano all’impostazione di un clima empatico e partecipativo che rasserenava l’interlocutore predisponendolo positivamente ad accettare l’incontro suggeritogli.

E naturalmente, a fine conversazione, ciliegina sulla torta, il resoconto gustoso, affettivamente colorato, dei rendez-vous sfociati in vere e proprie love story dall’ happy ending, in un crescendo di fiduciose aspettative articolato con maestria dissimulata da malcelata modestia.

Quella sera avrebbe chiuso il suo bilancio giornaliero con una certa soddisfazione. L’incontro tra il medico ospedaliero cinquantenne in cerca di una compagna e l’infermiera trentenne di studio medico associato disillusa da amori veloci e poco appaganti pareva essersi concluso con la promessa da parte dei due di dare un seguito a quella conoscenza. Entrambi le avevano assicurato di tenerla al corrente di ciò che al momento poteva solo immaginare, ne era sicura. Sapeva per certo che non c’è collante maggiore di una solitudine vissuta come pesante zavorra e non più come anticamera di libertà, per legare due persone a stretto filo, dal momento che la convenienza  e l’opportunità hanno, talvolta e per alcuni, lo stesso sapore afrodisiaco e gratificante di una passione genuina. Un po’ come avvolgere in carta preziosa un regalo di media qualità offrendolo a chi si è convinto di trovarvi dentro, una volta apertolo, qualcosa di unico e di raro.

Chiuso il portoncino a doppia mandata, entrò nell’ascensore che la portò con qualche sussulto al pianterreno.

Fuori l’aspettavano le luminarie natalizie predisposte dai negozianti della zona, sfavillanti ai lati dei portici del centro di quella città moderna e distratta. Un tragitto compiuto con un po’ di musica di sottofondo in macchina e poi finalmente a casa dai suoi animali che l’aspettavano e che gioivano del suo rientro riempiendo spazi e tempi della sua quotidianità con appagante presenza. Libera di sfilarsi dall’anulare quell’anello di brillanti indossato a mo’ di specchietto per le allodole, prima di conservarlo in un cassetto del trumeau di camera assieme a quegli occhiali trendy e civettuoli di molta apparenza e poca sostanza che tanto contribuivano al suo phisic du rôle di manager dei sentimenti altrui.

Fino al lunedì successivo, giorno di riapertura dell’agenzia, e in occasione della sua prossima consulenza in qualità di appaiatrice di anime più o meno gemelle.

Lucia Guida

 

in foto acquerello di Muramasa Kudo