Coups de chance

Anche per quest’anno il mio racconto Coups de chance farà parte in ottima compagnia della pubblicazione a cura della piattaforma Ready to Read per la sezione Hotel Stories. Con il placet del patron Mauro Gabba ve ne propongo la lettura integrale invitandovi a immergervi in tutti gli storytelling della pubblicazione per scoprire località e residenze di pregio di cui la nostra Italia è ricca.
A presto

COUPS DE CHANCE

Quel coup de chance capitò a Fiorenza all’improvviso e per vie del tutto inaspettate.

Non era mai stata fortunata al gioco e in vita sua aveva vinto un unico premio: una confezione di pistacchi tostati in occasione di una lotteria di Natale a cui aveva partecipato anche lei, organizzata dal Cral della ditta di suo marito. Un magro premio di consolazione tra settimane bianche, una mountain bike e un pacchetto benessere in una spa della zona. All’epoca Dario l’aveva bonariamente presa in giro e la serata si era conclusa tra risate e coccole in camera da letto. Possedevano entrambi il mondo nel palmo di un’unica mano e lo sapevano alla perfezione. Tutto il resto contava davvero poco.

Il mese passato aveva aderito in ufficio a quella riffa di beneficienza perché credeva nella causa patrocinata da Olga, sua collega e attiva collaboratrice di una Onlus che si occupava di persone anziane in difficoltà. Il biglietto di carta sottile rosa che riportava il suo cellulare e un numero in serie era, quindi, finito nel portafogli tra mille minuzie legate alla sua quotidianità spicciola. Quel venerdì mattina era letteralmente caduta dalle nuvole arrivando al lavoro e trovando i suoi colleghi schierati in sua attesa mentre Olga le porgeva una busta invitandola ad aprirla.
– Ciao, Fiore! Guarda un po’ cosa c’è, oggi, per te…

Lei aveva obbedito stupita e si era meravigliata non poco leggendo la consistenza della sua vincita: un weekend in una prestigiosa villa d’epoca, Villa La Meridiana, a Santa Maria di Leuca, in Salento.

Le era toccato offrire un caffè a tutti tra una congratulazione e l’altra dei suoi colleghi, divisi tra la partecipazione sentita al suo colpo di fortuna e una punta d’invidia benevola nei suoi confronti.
Quella piacevole novità l’aveva messa di buonumore, non vedeva l’ora di condividerla con suo marito.  Con un’idea sui generis che quell’insperata circostanza aveva contribuito a far nascere in lei: un disegno preciso che si era rafforzato a dismisura nell’attimo in cui aveva telefonato al titolare dell’agenzia di viaggi che aveva emesso il voucher.

Tornata a casa aveva preparato in poco tempo una cenetta semplice ma gustosa aspettando con una certa impazienza il rientro di Dario, dividendosi tra le incombenze di moglie e quelle di madre con la telefonata serale dedicata a sua figlia, studentessa in Erasmus a Marsiglia.

-Complimenti, mamma! Che cosa bella! Dai, dimmi la verità che non vedi l’ora di farti un bel viaggetto con papà- si era congratulata con lei la ragazza. E lei, suo malgrado, aveva dovuto ammettere a voce alta che sì, era proprio quello che aveva intenzione di fare.

Dario era arrivato con qualche minuto di ritardo rispetto al solito dandole un bacio leggero sulle labbra prima di abbandonare il suo zainetto di lavoro sulla poltroncina dell’ingresso.

-Che c’è per cena?-, le aveva chiesto. E, senza aspettare la sua risposta, si era fiondato come d’abitudine sotto la doccia ben deciso a scrollarsi di dosso la fatica di quella giornata lavorativa intensa.
Avevano iniziato a cenare in silenzio, accompagnati dal ronzio della Tv in sottofondo.
Portando in tavola una macedonia di fragole Fiore non ce l’aveva fatta più a tenere il segreto.
– Indovina un po’…

-Cosa, amore?- le aveva replicato distratto lui, alzando col telecomando il volume della televisione alla notizia di un episodio di cronaca che l’aveva particolarmente colpito.
Fiorenza non si era lasciata fuorviare dalla sua apparente indifferenza.

-Prepara il trolley, quest’anno il nostro anniversario lo trascorriamo in un posto speciale-, aveva aggiunto con tono deciso.
Dario aveva continuato a seguire il reportage giornalistico di quel programma d’assalto che tanto lo aveva preso fino alla fine; poi aveva spento la TV e il soggiorno era piombato in un silenzio che li aveva avvolti in una cappa di indefinitezza.
-Dicevi, Fiore?

Lei aveva respirato a fondo e gli aveva esposto il suo programma in maniera più esplicita.

-Dicevo che quest’anno possiamo evitarci la solita cenetta a due per il nostro anniversario. C’è una novità-. Ed era partita col suo racconto condito di entusiasmo e di sorpresa per quel weekend provvidenziale piovutole dal cielo, descrivendo con dovizia di particolari quel viaggetto all’insegna del benessere psicofisico fatto di paesaggi mozzafiato, natura incontaminata e dimore d’epoca dotate di ogni comfort.

Lui l’aveva ascoltata in silenzio, senza commentare. Poi le aveva replicato scegliendo con cura le parole da usare.

-L’idea è fantastica, di sicuro.

-Peccato davvero che per quel fine settimana di giugno che hai in mente io sia impegnato qui in zona in una convention con il nuovo responsabile dell’area marketing della ditta-, aveva concluso con appena un filo di esitazione.

Fiore lo aveva ascoltato delusa. La situazione che lui le aveva prospettato aveva avuto lo stesso effetto di una doccia gelata.   

-Una convention? Non me ne avevi parlato per niente…

-…contavo di farlo stasera, è una notizia che risale solo a qualche giorno fa-, aveva aggiunto lui lentamente, alzandosi e prendendo a sparecchiare.

Fiorenza ripensò a quell’isola felice che si era prefigurata in una manciata di ore. Lei e Dario non erano certamente una coppia di primo pelo, (di ciò lei era più che consapevole!) eppure insieme erano riusciti a doppiare dignitosamente parecchie boe nell’istante in cui alla passione e alla frenesia iniziale erano subentrati affetto, rispetto e stima reciproci. Fece per aprire bocca per chiedergli qualcosa ma lui continuò a parlare senza lasciarle via di scampo.

-Mi dispiace, Fiore. Stavolta è andata così. Festeggeremo quanto prima, promesso-.
Il senso di profondo sconforto non ebbe, tuttavia, il potere di distoglierla da quel piano che pian piano e suo malgrado aveva preso una consistenza ben definita. In ufficio si guardò bene dal rifiutare quel giorno extra di ferie messo a sua disposizione con generosità dalla sua compagna di stanza, Marina, per aiutarla a concretizzare quella che, sentimentalmente, le era apparsa come fuga romantica a due.
Fiore partì da sola, in treno, all’indomani dell’inizio della famosa convention di Dario.

Quel progetto nato per caso e cresciuto con caparbia si era fatto vittoriosamente strada. Non aveva affatto intenzione di rinunciarvi barattandolo con qualche ora trascorsa sulla spiaggia della città in cui abitava, né col costoso mazzo di rose che lui, ne era certa, le avrebbe fatto pervenire per sistemare le cose tra di loro.

Lecce l’accolse con la ricchezza austera delle sue chiese e dei suoi palazzi nobiliari in pietra calcarea. In attesa di prendere un pullman per raggiungere Santa Maria di Leuca si concesse il lusso di passeggiare all’ombra degli edifici antichi che ne abbellivano il centro storico e di pranzare velocemente scegliendo, tuttavia, con cura un locale nella suggestiva Corte dei Cicala, sorpresa sua malgrado dal suo spirito d’iniziativa.

Santa Maria di Leuca le fece dono al suo arrivo di un’atmosfera fané che non le dispiacque. Il borgo era incantevole come se lo ricordava quando da bambina trascorreva brevi periodi di villeggiatura ospite di amici di famiglia dei suoi; la costa rocciosa degradante verso il mare con morbidezza pareva rispondere perfettamente al suo stato d’animo attuale bisognoso di equilibrio e di conferme.
Una volta arrivata a destinazione apprezzò la riservatezza con cui l’addetto alla reception si fece bastare la spiegazione che probabilmente suo marito, con cui aveva inizialmente pianificato di pernottare in loco, non avrebbe fatto in tempo a raggiungerla.
Decisa a far fruttare al meglio il suo soggiorno si riposò in camera tra la frescura delle lenzuola di lino bordate di pizzi fatti a mano, dando uno sguardo distratto ai messaggi e alle chiamate che l’avevano raggiunta, a cui rispose con un laconico ‘Sto bene. A presto’ mentre i suoi occhi rincorrevano pensieri attraverso le sottili lame luminose che filtravano dalle persiane accostate con cura. 
Pochi minuti ed era già in cammino verso Punta Mèliso costeggiando senza fermarsi il porto turistico affollato di natanti di varia dimensione. La sua esigenza di essenzialità si incontrò perfettamente con la scabra bellezza della costa e lei avvertì l’urgenza di trovarsi di fronte al mare aperto spingendosi fino al santuario di Santa Maria de Finibus Terrae di Castrignano del Capo, in equilibrio perfetto tra oriente e occidente. Respirò aria di mare pura e rigenerante mentre guardava pensosa il faro, bianco e slanciato verso l’alto, alla sinistra della basilica. Non sapeva quanto di metaforico tutto ciò rappresentasse per lei ma godette di quell’istante fino a quando la luce del giorno glielo consentì.
Tornò in residenza in tempo per dedicarsi alla cena che aveva ordinato per sé con l’aiuto del concierge in un ristorantino a pochi passi dalla Villa.
Fiorenza si abbigliò con cura quella sera. Indossò un abitino di lino e seta smeraldo longuette semplicissimo impreziosito da gioielli etnici al collo e ai lobi lasciando sciolti sulle spalle i capelli castani che di solito portava raccolti in ufficio per questioni di praticità. Completavano la sua mise un paio di sandali bassi dalla fattura artigianale, eleganti e comodi. Aveva lasciato in albergo il cellulare e si era portata l’essenziale in una sacca di seta grezza rubata dall’armadio di sua figlia che l’aveva acquistata durante un viaggio in India come cooperante.

Al tavolo gustò una cena semplice e tipica scelta sul menu con minuzia, concentrandosi sulle prelibatezze locali a base di pescato. Il cibo era uno dei piaceri della vita, e allora perché non approfittarne degnamente? Di quella vacanza rubata a caro prezzo allo scorrere dei giorni lento e ripetitivo voleva godere fino all’ultima goccia. ‘Mustazzolo’ incluso, un inconsueto dolce a base di vin cotto in cui riconobbe l’aroma inconfondibile e particolare della cannella e la dolcezza discreta del miele, servito con una nuvola di crema alla vaniglia.
Il locale era popolato da un paio di comitive e da qualche coppia. Gli unici avventori in solitaria erano lei e un uomo di mezza età dall’aspetto giovanile, vestito in modo casual ma ricercato. Fiore distolse il suo sguardo da quello del suo compagno nell’attimo in cui si rese conto di aver suscitato il suo interesse.
Ma le circostanze decisero per lei nell’attimo in cui il cameriere le portò un bicchierino ricolmo di liquore ambrato.

-Un piccolo omaggio dal signore laggiù, una lacrima de ‘Le Ricordanze’, un vino passito locale. Ottimo accompagnamento per il suo ‘mustazzolo’. –
Fiorenza incontrò lo sguardo cordiale del suo compagno che alzò verso di lei un bicchierino ricolmo della stessa bevanda.
Sorrise per ringraziarlo e iniziò a sorseggiare il vino liquoroso, dolcissimo e dal tono robusto.
In circostanze diverse si sarebbe schermita e non avrebbe accettato per nessun motivo le profferte di un perfetto sconosciuto ma quella sera sentiva di poter osare qualcosa di diverso. Era uno dei privilegi della maturità, concluse, stabilendo di non indagare oltre sull’intraprende disinvoltura che l’aveva afferrata.
Pagò il conto e decise di regalarsi una breve passeggiata nell’aria tiepida e profumata della notte.

-Di passaggio a Santa Maria per il fine-settimana?

Scoprì che ad affiancarla con passo morbido e rapido era stato il bel tipo del ristorante. Lei lo guardò con una punta di ironia, per nulla spaventata. Era curiosa di sapere dove sarebbe andato a parare.

-Esattamente. Riparto a breve-, gli concesse stringata.
-Presumo viaggio di piacere.

-Proprio così – gli rispose ostentando la mano sinistra in cui riluceva il solitario che Dario le aveva regalato in occasione del loro primo anniversario, quello in cui lei con orgoglio massimo gli   aveva annunciato di essere incinta.

L’altro abbozzò un mezzo sorriso dando prova di aver mangiato la foglia ma non mollò la presa.
-Io sono qui appositamente. Quando vengo per lavoro a Lecce mi regalo sempre un soggiorno sulla costa ionica o adriatica. È il mio personale modo di volermi bene-, le disse con semplicità.
-Volersi bene nella vita è importante- gli concesse lei, suo malgrado colpita dal tono di quelle parole, continuando a passeggiare in quell’atmosfera serale così suggestiva, sospesa tra mare e terra.

Percorsero insieme la riviera costeggiata dalle sedici ville d’epoca che lo avevano reso così celebre schierate come debuttanti al loro primo ballo, parlando del più e del meno e scoprendo di possedere più di un’affinità. Fiorenza rise di gusto alle battute del suo nuovo amico. Finì che tirarono sino a tardi mentre i loro passi rimbombavano sul selciato oramai deserto.
-Io sono arrivata. Grazie per la serata- gli annunciò lei, fermandosi davanti al cancello in ferro battuto di Villa La Meridiana.
-Sei stupenda, lo sai?
Lui le sorrise e le si avvicinò.
Ama ci t’ama, e cci nu t’ama, lassalu”, “Ama chi ti vuol bene e lascia perdere chi non te ne vuole”. Chiudendo gli occhi e offrendosi a lui per essere baciata lei si chiese invano dove avesse mai sentito in passato quell’antico proverbio salentino.

Fiorenza si svegliò stiracchiandosi con voluttà.
Nonostante l’ottima cena e le emozioni della sera precedente aveva dormito a lungo.
Un’occhiata rapida all’orologio le confermò che se si affrettava avrebbe potuto fare colazione in hotel prima di iniziare il dettagliato programma stilato per quel particolare sabato di giugno. Aveva deciso di concedersi una mattinata pigra e di oziare nei paraggi, valutando la possibilità di affittare un’utilitaria per spingersi nel pomeriggio verso Gallipoli.
-Ciao, Fiore.
Avrebbe riconosciuto tra mille il timbro basso e suadente della voce di quell’uomo poggiato al muro di recinzione dell’antica Villa.

-Ciao, Dario. Hai…

-… disertato la convention e guidato come un matto dall’alba di stamattina? Sì, l’ho fatto. Dopo aver trascorso una delle notti più lunghe della mia vita annusando il tuo odore tra le lenzuola-.
Fiorenza lo guardò con un misto di fastidio e di tenerezza, ripensando ai bei momenti tra di loro e agli impasse che pure c’erano stati, alle tante fermate e alle ripartenze del loro sodalizio più che ventennale.
Lui le porse un papavero, strappato da una fessura di un muretto a poca distanza da lì.
-Buon anniversario-

Lei lo prese e se lo mise nell’asola del primo bottone del prendisole vintage. Poi gli accarezzò il mento con un accenno di barba e lo baciò sulle labbra, respirando il suo odore di uomo misto al dopobarba con cui lui si era asperso il viso. Un pensiero veloce andò a ciò che non si era compiuto solo poche ore prima nell’attimo in cui il suo sconosciuto ammiratore le aveva sfiorato il viso con un fiore di buganvillea chiedendole di passare la notte insieme e lei gli aveva risposto di no. Quanto tempo era trascorso? Una vita intera, si disse. 

-Buon anniversario a te, Dario. Bentornato.

Lucia Guida    

READY TO

Tempo di primavera e novità editoriali

“È un viaggio per viandanti pazienti, un libro.”

A. Baricco

 

Cari amici, direi che ci siamo. I tempi sono più che sufficientemente maturi per annunciarvi che a breve sarà pubblicato il mio sesto figlietto scrittorio per i tipi di Alcheringa, ce noeap laziale, un romanzo di narrativa ambientato in età contemporanea in luoghi a me cari.

Scegliere di affidarne la cura alle mani attente e competenti di Lina Anielli ha richiesto da parte mia un’opera di cernita certosina. Volevo una casa editrice che fosse rigorosamente no eap con cui lavorare in reale sinergia valorizzando la mia scrittura senza snaturarla. Penso di esserci riuscita.

Restate connessi perché di info a riguardo altrettanto belle e interessanti ce ne sono ancora molte.

Soprattutto siate felici per me come io lo sono. Felici per la possibilità di poterci incontrare a metà strada anche stavolta legati dallo stesso filo: quello che empaticamente unisce autore e lettore sull’onda di pensieri, emozioni e sensazioni condivisi da entrambi.  

 

Lucia

 

 

 

 
 

L’amore vero per la scrittura: incontro senza filtri con la scrittrice Lucia Guida

In attesa di novità editoriali da parte mia ecco una bella intervista di quattro anni fa su WP a cura di Ilaria Grasso a un anno esatto dalla pubblicazione del mio “Romanzo Popolare” per i tipi di Amarganta.
È bello pensare come riguardo alle cose importanti della vita e della scrittura io la pensi esattamente nello stesso modo
Buona lettura a tutti
A presto

Lucia

 

Liberi Libri e non solo

lucia-new-2Oggi sul mio blog è venuta a trovarmi una carissima amica ed una grande scrittrice, che ho accolto con grande trepidazione ed entusiasmo: si è raccontata, come sempre, con sincerità e senza filtri.

Come è avvenuto il tuo incontro con la scrittura?

In modo piuttosto comune a molti altri autori. Ho iniziato con un blog nel 2007 nella community di libero e poi, a partire dal 2008, ho tentato la strada dei concorsi letterari nazionali di scrittura. Il primo piazzamento l’ho ottenuto in un premio di narrativa organizzato dalla biblioteca di Capoterra (CA) con un racconto elaborato sul ricordo del primo giorno di scuola di un mio amico. Una storia a cui sono ancora oggi molto legata. È stato il mio esordio letterario ufficiale e mi ha spinta a continuare per questa strada. Nel 2011 ho pubblicato per la prima volta da solista per la casa editrice Nulla Die di…

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Fotografie

Cari amici, 

per voi oggi un mio racconto breve pubblicato il 10 ottobre 2020 nella rubrica letteraria “Il sabato del racconto” di Parma Repubblica.
Poche righe che parlano di memoria e di affetti e di storie familiari inalienabili nel tempo che hanno ancora molto da raccontare.
Un ringraziamento speciale a Tito Pioli, curatore della rubrica, e a Lucia de Ioanna che mi hanno scelta e ospitata sulla loro pagina
A voi buona lettura

 

FOTOGRAFIE

Erano quattro scatole di cartone di misura e dimensione diversa. In origine avevano ospitato biglietti da visita, cioccolatini, calze da donna velate, una vestaglia da camera maschile di cui si era persa traccia. Ora contenevano semplicemente fotografie scattate nell’arco di più di un secolo.

Luana le impilò l’una sull’altra, poi si sedette sul letto matrimoniale della camera dei suoi genitori e iniziò a perlustrarne il contenuto.

Non erano state conservate secondo un criterio oggettivo di classificazione perché nella stessa scatola era possibile trovare immagini di diversa cronologia: risalivano ai primi del 900 quelle dei suoi bisnonni piccole, scure e austere, accanto a quelle di sua madre ritratta da ragazza in montagna o al mare, delle scolaresche rette con doverosa autorevolezza dai suoi nonni, entrambi insegnanti, e di loro tre, Luana, Marta e Vincenzo, da neonati ad adolescenti attraverso compleanni, celebrazioni di varia natura e gite scolastiche.

Qualcuna di quelle foto aveva mantenuto intatto il suo splendore iniziale e se non fosse stato per la patina giallognola che ne adombrava il retro si sarebbe potuto pensare che fossero state fatte in tempi certamente non recenti ma nemmeno troppo remoti.

Erano gli angoli fratti, rugosi e solcati da sottili venature biancastre a denunciarne la provenienza antica e le frasi a commento vergate con una grafia svolazzante dalla bellezza obsoleta ma persistente: pensieri d’amore, commenti estemporanei sui personaggi che li avevano suscitati, semplici date trascritte in modo criptico destinate a nomi di sconosciuti che a lei non dicevano nulla.

Un flusso potente di sguardi adulti e bambini, di paesaggi vacanzieri o cittadini, di interni casalinghi o di studi fotografici rappresentati attraverso fondali sontuosi, fatti di giardini lussureggianti uguali per tutti in cui l’unico segno distintivo era quello di ospitare l’immagine di una zia che non c’era più con la sua feluca goliardica in testa e il volto sognante rivolto verso un invisibile interlocutore o l’atteggiamento attento di suo nonno bambino vestito alla marinara il visetto pensoso immortalato dal fotografo per regalare a figli, nipoti e pronipoti l’idea di un giorno speciale trascorso con l’abito buono costato denaro e sacrificio a una madre che l’aveva cucito da sé o commissionato a un’altra donna madre anch’essa.

C’erano persino foto divise a metà da una sforbiciata netta a separare affetti importanti che a un certo punto avevano cessato di esserlo testimoniati da avambracci intrecciati l’uno all’altro e moine di sconosciuti uniti da sguardi reciproci e risate fragorose di cui nessuno avrebbe saputo raccontare più niente.

Luana esaminò con pazienza tutti quei pezzi di cuore altrui conservati con cura certosina perché potessero sopravvivere indenni a traslochi, abbandoni precipitosi di case, lutti e separazioni, trasferimenti da un cassetto all’altro per arrivare sino a lei e poter essere accarezzati ancora con un tocco gentile, rispettoso.

La paziente raccoglitrice di tutti quei frammenti di vita non aveva reputato di ingabbiarli in album fotografici regolamentari stabilendo di mostrarli senza filtro a chi avesse deciso di interessarsi a quei pezzi inediti di storia familiare, immortalati con generosità in fotogrammi eloquenti ma talvolta ripetitivi.

Le piacque pensare che il fotografo avesse comunque deciso di regalare quegli scatti extra al suo committente a corredo di fotografie più rappresentative che, invece, erano finite in cornici d’argento o nel portafoglio di persone care come pegno d’amore o d’amicizia per poi perdersi per strada. In quei contenitori di cartone mal assortiti, scelti per la loro capienza più che per una questione di pregio, c’era un mondo di situazioni che mancava alle narrazioni ascoltate da chi l’aveva preceduta.

Luana le prese in blocco e le infilò in una sacca in cui aveva già messo da parte uno scialle di seta della bisnonna e una borsina ricamata da teatro di una prozia materna accogliendo virtualmente dentro di sé i volti di tutti i suoi antenati di cui aveva memoria e anche di quelli che non era riuscita a individuare pur conoscendone per filo e per segno le vicissitudini. Di quei bebè sorridenti che non erano arrivati a un anno di vita e di chi, invece, aveva concluso in tarda età la propria esistenza.

Soltanto in quell’istante avvertì la compiutezza di quel gesto necessario e gentile.

Con calma spianò le grinze sul copriletto di piquet bianco del letto dei suoi, poi si alzò in piedi e, sacca in spalla, raggiunse i traslocatori in soggiorno per annunciare che in quella casa il suo lavoro era terminato.

Lucia Guida 

 

Il racconto in edizione originale lo trovate qui

 

 

 

 

                                                        Ph.credit: Artribunedotcom

 

Curpa ro cauru

Ogni tanto torno alla mia antica passione di andar per premi letterari, cercando di aderire solo a quelli di qualità.
Il racconto che posto ora è un piccolo divertissement letterario incentrato sulla vicenda tragicomica di Linuzza  e sull’imprevedibile scambio e uso di pozioni di varia natura, arrivato in finale nell’estate 2020 nel Concorso Letterario Nazionale “Socc’mel che sfiga” bandito dalle Edizioni del Loggione di Modena.
“Curpa ro cauro” è parte dell’antologia di A.A.V.V. dedicata all’evento.
Buona lettura

 

Curpa ro cauru

D’afa e d’amore si poteva anche morire. Se lo disse Linuzza davanti alla finestra della camera da letto, le persiane accostate, mentre pensava con languore a Tonio che quel giorno non si era fatto vedere, le tende di trina leggera sollevate dal suo ansimare colmo di rimpianto.

E dire che a preparare quel pranzo succulento ci aveva messo tutta sé stessa dal momento che per lui l’adagio “l’amore passa per la gola” rispecchiava fedelmente la realtà. Certa che in un bacio e in un amplesso sensuale, profondo, Tonio avrebbe impiegato lo stesso ardore che impiegava nel gustare una fetta di arrosto o una generosa porzione di lasagna. L’ora di pranzo era ormai trascorsa e di lui non c’era traccia. Si aggiustò con calma la cinta della vestaglietta di raso staccandosi con riluttanza dal davanzale alla percezione di un ciabattare inconfondibile oltre la porta chiusa.

Zzia Malù, ancora sveglia siete? Su, andate a riposare un po’.

La vecchina la guardò sorniona, poi le sorrise con candore allusivo. Lina sbuffò rassegnata.

-Ancora? Ma se stamattina ve ne ho già data una …

L’altra si strinse nelle spalle dondolandosi vezzosa come una monella.

– E va bene. Ma che sia l’ultima, intesi? E poi a nanna, di filato – sospirò lei, porgendole rassegnata una geleè alla frutta. L’anziana la carpì con avidità mettendosela fulminea in bocca, passandosela da guancia a guancia per centellinarla pian piano. Poi accettò docilmente di essere messa a letto, le lenzuola di lino ben tirate e le imposte socchiuse per trattenere fuori quell’estate torrida. Chiudendosi la porta alle spalle Lina sospirò piano. Zia Malù era parte dell’eredità della buonanima di suo marito Rocco assieme a quella casa padronale, un antico negozio di tessuti e una montagna di debiti. E dire che tutti l’avevano guardata con invidia palpabile all’uscita del Duomo in abito bianco, giovanissima, al braccio di quell’attempato e piacente scapolone che in soli tre mesi aveva finalmente deciso di maritarsi. Un vero peccato che quel matrimonio fosse stato di breve durata e che lo sposo avesse d’improvviso deciso di passare a miglior vita alla fine di una serata dedicata al vino novello e ai festeggiamenti in onore di San Martino con amici di vecchia data. Una vera fortuna che Tonio, compagno d’infanzia di Rocco, ci avesse messo tutto sé stesso a consolarla tanto da scatenare le ire funeste dell’anziana madre presso cui viveva, assai prevenuta verso quella vedovella intraprendente che pareva non perder tempo. Sbocconcellando un pezzo di crostata fragrante lavorata con amore per colui che aveva disertato il loro rendez-vous e ancora calda di forno, Lina aggrottò le sopracciglia al pensiero che altre donne potessero ambire all’amato bene. Quella maestrina settentrionale ad esempio, bionda, snella e certamente più giovane di lei, che faceva voltare più di un uomo con i suoi colori nordici a quelle latitudini difficili da incontrare. Convinta che stesse mirando con un certo interesse al suo Tonio aveva deciso di correre ai ripari, recandosi svelta da Assunta, la magàra del paese, dispensatrice di filtri magici, erbe curative e sortilegi contro la malaventura.

-Mi devi preparare un filtro d’amore potente, potentissimo – aveva esordito, ben decisa a liberarsi di chiunque fosse di ostacolo al suo bel sogno con ogni mezzo, lecito e non. L’altra l’aveva guardata, poi aveva fissato ispirata la foto di Tonio, mormorando a occhi chiusi litanie propiziatorie dal tono lugubre di cui lei aveva voluto saper poco. Magia nera o bianca poco importava, quella faccenda andava risolta.

-Mi raccomando la costanza- le aveva detto Assunta perentoria, porgendole un intrico di fili di cotone annodati che andavano immersi in acqua benedetta e poi cuciti in un panno rosso da conservare nell’imbottitura del cuscino. E lei aveva seguito alla lettera la sua prescrizione, intingendo, quella stessa sera, la manina sottile nell’acquasantiera. Poi aveva versato un bel po’ di pozione nella brocca del vino in occasione del successivo pranzetto ben attenta che lui se ne servisse a volontà, facendo dapprima onore ai manicaretti e alle libagioni e poi faville in camera da letto; lasciandola sazia d’amore tra le lenzuola intrise di sudore e dell’odore dei loro corpi avvinti in un interminabile amplesso. Passata una settimana la storia si era ripetuta. Complice, quella volta, una cenetta al lume di candela consumata in sala da pranzo e culminata con un dessert speciale, una notte di passione senza precedenti, unica. Baciandolo all’alba con trasporto prima di salutarlo Lina aveva benedetto quell’elisir portentoso che così accortamente proteggeva e dava consistenza al suo legame con Tonio, restando per tutto il giorno in uno stato di beatitudine pura sino a quando Manuela, la ragazza che l’aiutava nelle faccende, non le aveva narrato con tono malizioso dell’incontro a mezzogiorno tra il suo spasimante e la maestrina al Caffè Centrale in piazza. Lina si era sentita morire vedendo crollare d’un tratto tutte le sue più rosee aspettative. E dire che la sera prima aveva versato una dose generosa di filtro nel caffè e nel bicchierino di ratafìa servitigli a fine pasto. Si era crogiolata nella malinconia di quel pensiero sino a quando non era dovuta correre in strada per riacciuffare la zzia, sfuggita al suo controllo e a quello di Manuela; l’avevano ritrovata imbellettata di tutto punto, cappellino con veletta in testa, in estatica contemplazione della vetrina del macellaio. Un po’ con le buone e un po’ con le cattive erano riuscite a ricondurre a casa la fuggitiva seppur con notevole ritrosia e brontolii, punendola con una cena a base di verdure e frutta cotta senza il conforto finale delle sue amate geleè; del resto il medico condotto aveva raccomandato di tenerla a regime per evitare spiacevoli complicanze prescrivendole un blando lassativo che la potesse all’uopo aiutare. Tenerla d’occhio le costava una buona dose di energie; bastava che lei voltasse lo sguardo ed ecco che l’anziana sembrava volatilizzarsi, abbondantemente cosparsa di cipria e profumo e un accenno di eleganza dato da un colletto di merletto ingiallito o vecchie collane dalle perle sgranate e opacizzate, in indolente passeggio per il corso principale del paese accompagnata dall’ironia dei compaesani che incrociava.

Uno scampanellio discreto riaccese la sua speranza. Con circospezione aprì nella calura estiva e soffocante il pesante portoncino di legno intagliato quel tanto che bastava per far entrare il suo uomo. Quel pomeriggio il pranzo fu messo da parte per passare senza troppi preamboli ad altro, l’atmosfera bollente esterna solo di poco superata dalla calorosità di quella della camera da letto padronale.

Con intima soddisfazione Lina poggiò il vassoio con le tazzine fumanti sul comodino, porgendo a Tonio il suo caffè e apprestandosi anch’ella a berlo in sua compagnia.

L’uomo la prese con prepotenza per un fianco tirandosela contro.

-Allora, Linuzza, che ne dici di conoscere mammà questa domenica pomeriggio?

Lei si strozzò quasi alla disinvoltura di quell’annuncio che oramai disperava di sentire in concreto oltre che nella seraficità dei suoi sogni più audaci.

-Vita mia, dici davvero?

Tonio aspirò una boccata della sua sigaretta e annuì solennemente.

-E quando mai, bocconcino, ti ho raccontato una faccenda per un’altra? Cosa fatta è.

La vedovella l’abbracciò con foga quasi a soffocarlo rischiando di bruciarsi seriamente con la brace del mozzicone acceso che gli penzolava ancora tra le labbra, coprendogli grata di baci radi il viso, il collo e finanche i baffi. Con quel caffè aveva voluto tentare il tutto e per tutto, versandovi dentro ciò che rimaneva dell’intruglio misterioso di Assunta. Ma il suo trionfo durò davvero poco; dopo qualche attimo Tonio era davanti a lei, piegato in due, a contorcersi per i forti dolori addominali che avvertiva, annunciandole a gran voce di aver necessità di andare in bagno, madido di sudore e pallidissimo in volto.

Incurante del parapiglia di sottofondo la nonnina, vestita di seta malva e ben profumata, sgattaiolò al pianterreno, precipitandosi rapida in strada per sedersi con sguardo adorante su un gradino di fronte all’entrata del negozio di Turi il macellaio in attesa che questi riaprisse i battenti per la vendita serale. Con voluttà si concesse l’ennesima geleè, conservando l’ultima che le restava per l’uomo che popolava da tempo le sue visioni oniriche femminili notturne e diurne.

Manuela sospirò piano pensando agli avvenimenti di quella giornata dall’epilogo imprevedibile e funesto: l’arrivo del dottore, accorso in fretta per visitare don Tonio colpito da una diarrea senza precedenti e la sua padrona in preda a una crisi di nervi che brandiva due boccette scure identiche completamente vuote, farneticando di purghe e di elisir. Zzia Malù avvinghiata a Turi u carnezziere su tutte le furie per essersela ritrovata ancora una volta in negozio a spasimare d’amore per lui. E poi, infine, Donna Carmela che prelevava suo figlio più morto che vivo con aria sdegnata e sprezzante, gridando a gran voce vendetta. Nuddu ci capiu chiù nenti, a schifiu finiu. Curpa ro cauru, sicuru.

La calura eccessiva, era risaputo, talvolta giocava bruttissimi scherzi.*

“Curpa ro cauru” in A.A.V.V., “Socc’mel che sfiga”, Modena, Edizioni del Loggione, 2020

Lucia Guida

 

 

Mariano Fortuny y Mandrazo, “Nudo di donna”, particolare, 1944

Ricette d’Autore: Torta morbida alle mele

Quando ho qualche nodo in più nel gomitolo della vita da dipanare mi basta mettere le mani in pasta e mi passa tutto. Creare qualcosa di buono dosando con cura gli ingredienti mi rimette sempre di buonumore.
Il mio dolce salvavita è la torta di mele morbida, realizzata con una ricetta di mia sorella Antonella ricevuta un bel po’ di tempo fa.
Amo questo dolce sopra ogni cosa: per la sua bontà semplice, quasi scontata e priva di sorprese. Ne amo il profumo discreto, la consistenza leggera, il gusto delicato.
Io credo che la mia torta di mele sia la mia personale summa esistenziale: un manicaretto bello da vedersi e delizioso da assaggiare. Nella sintesi perfetta dei suoi ingredienti che, pur restando fedeli alla propria tipicità, sanno fondersi in un’unica sinfonia dando ciascuno il meglio di sé.
Sciogliendosi in bocca per il mero piacere di chi li ha voluti insieme.


Torta di mele

Ingredienti:

  • 200 gr di farina
  • 100 gr di zucchero semolato
  • 70 gr di burro
  • la buccia grattugiata di un limone biologico
  • un pizzico di sale
  • una bustina di lievito vanigliato per dolci
  • una mela e mezza di grandezza media
  • il succo di mezzo limone con cui ‘condizionare’ le fettine di mela per evitare che anneriscano
  • zucchero a velo con cui spolverizzare la superficie prima di servire

Preparazione

In una ciotola porre la farina e lo zucchero, aggiungendo il burro liquefatto e freddo, la buccia di limone grattugiata, il sale e il lievito vanigliato, mescolando con uno sbattitore elettrico o un mestolo di legno sino a ottenere un composto omogeneo. Se necessario versare un mezzo bicchiere di latte freddo per ottenere un impasto di consistenza morbida ma non soda.
A parte, sbucciare le mele tagliandole a fettine o a pezzetti e spruzzarle con il succo di limone
Porre il preparato in una tortiera di 25 cm. precedentemente foderata con carta da forno e decorarne la superficie con i pezzi di mela premendoli leggermente nell’impasto,
Cuocere con cottura tradizionale a 150° per circa 50′.
Spolverizzare con dello zucchero a velo al termine della cottura quando il dolce si è raffreddato.

Il suggerimento extra: accompagnare una fettina di torta di mele con della crema pasticciera tiepida o del gelato alla vaniglia.

 

la mia torta di mele, particolare

 

 

La citazione:

«Delle buone torte di mele sono una parte considerevole della nostra felicità domestica».
J. Austen, Lettera n. 121 dell’ottobre 1815 a sua sorella 

 

 

Scritture Aliene – Di recensioni letterarie, premi e complimenti multimediali. E di carri dei vincitori su cui è sempre facile salire al volo

“Scritture aliene” rappresenta in direzione ostinata e contraria le mie riflessioni su vita reale e mondo della scrittura. Che, a ben vedere, sono molto più intimamente connessi di quanto non si pensi.


C’è ancora chi pensa che un autore disponga illimitatamente di copie da regalare con prodigalità a chicchessia. È successo anche a me e il tanto temuto “Tanto a te non costa nulla” me lo sono sentito rivolgere anch’io. Quando è capitato non sempre ho potuto glissare: in alcune circostanze, quando era impossibile spiegare la differenza che passa tra un autore eap e un autore no eap a chi avevo di fronte ho deciso di soddisfare, seppure con un retrogusto di malincuore, la richiesta di cui sopra regalando libri miei acquistati spesso con uno sconto irrisorio dalla casa editrice che aveva deciso di investire sulla mia creatività. È ancora mio vanto non avere mai a oggi pubblicato da solista con case editrici a pagamento: non sborsando, cioè, mai un centesimo nemmeno per l’editing dei miei manoscritti prima che questi venissero dati alle stampe.
A seguire ho cercato di costruirmi un curriculum artistico in cui la “Vanity Press” non avesse accesso, fatto di buone frequentazioni letterarie per non avere scheletri nell’armadio da nascondere nel momento in cui da ‘esordiente’ fossi passata al gradino immediatamente superiore di ‘autrice emergente’. Per la stessa ragione ho sempre partecipato a premi e/o concorsi in cui contasse realmente mettersi in discussione per ottenere una valutazione genuina in territorio possibilmente neutrale invece di avvalermi della benevolenza pilotata delle conoscenze letterarie acquisite nel corso degli anni.
Insomma, ho cercato di essere me stessa anche tramite la scrittura.
Di copie cedute gratis a recensori e blogger lettori, invece, in forma virtuale o cartacea, ce ne sono state tante
La mia riconoscenza, amplissima, va a questi ultimi che, per mestiere o per passione, nel corso di questa mia quasi decennale attività mi hanno fornito, con assoluta professionalità ed esercizio di buona educazione (cosa ultima non scontata), indicazioni per potermi migliorare come affabulatrice e non semplici input per dare risonanza alle cose che scrivevo. Che in maggioranza non conoscevo de visu e che, nonostante questo, hanno accettato di leggermi per mero piacere personale, chiamiamolo così. Senza nessun’altra contropartita che non risiedesse nella mia grande e profonda considerazione dal momento che di carri dei vincitori, da me parcheggiati nelle immediate vicinanze, su cui salire in fretta non ce n’erano.





Ricette d’Autore – Pane serbo soffice

La mia idea di creatività è quella di un’arte da esercitare davvero a 360° rispolverando antiche virtù e impegnando in contemporanea i cinque sensi in aggiunta a un esercizio di buona manualità.
Cucinare per me e per le persone a me care è un piacere e un privilegio che mi concedo spesso tempo permettendo; essere impegnata ‘con le mani in pasta’ mi aiuta a pensare, a misurarmi con me stessa e a rielaborare con un pizzico di originalità ricette della tradizione nazionale e internazionale. Insomma, mi fornisce una forma di meditazione estremamente pratica, economica e gratificante: anche il piatto meno riuscito è un’occasione per imparare qualcosa in un’ottica migliorativa.
Per queste ragioni a partire da oggi ho pensato di condividere con voi in maniera  sistematica alcune delle mie produzioni culinarie, accompagnandole con mie brevi riflessioni o citazioni famose pertinenti e significative. Il vecchio adagio che recita di come il cibo sia uno dei diletti della vita non può che trovarmi più che concorde. Specialmente se buon cibo, creatività e frammenti esistenziali sono parti essenziali in un unicum vitale che, se in sintonia perfetta, aiuta certamente a stare bene.
Buona lettura e buon lavoro

Pane serbo soffice

Ingredienti per uno stampo a cerniera di 18 cm di diametro :

  • 175 gr. di farina 00
  • 125 gr. di latte fresco intero
  • mezzo cucchiaino da caffè di zucchero
  • 5 gr. di sale
  • 5 gr. di lievito di birra fresco
  • 20 gr. di burro liquefatto freddo per la decorazione
  • semi di sesamo a piacere.

Preparazione

Sciogliere nel latte a temperatura ambiente il lievito di birra e lo zucchero e lasciare riposare per una mezzora il composto ottenuto.
Al termine di questa operazione porre in una ciotola la farina e il sale aggiungendovi il latte ‘arricchito’ di cui sopra e mescolare il tutto con energia per un quarto d’ora sino a ottenere un impasto compatto che verrà lasciato riposare ben coperto un’ora e mezza o comunque fino al raddoppio del volume.
Sistemare, quindi, su una spianatoia la pasta di pane e procedere a suddividerla in sei piccole porzioni che verranno spianate a mo’ di piccole focacce e spennellate solo in superficie col burro liquefatto. In uno stampo precedentemente oliato disporre le sei parti a cerchio in modo che l’una sia aggettante sull’altra, coprire con un panno e lasciar lievitare per un’altra mezzora.

cottura-pane-serbo

ph. credit: misyadotinfo

Decorare, infine, a piacere con i semi di sesamo e infornare a 180° circa, cottura tradizionale.

pane serbo

NB: la dose da me sperimentata è per due, tre persone. Il pane serbo è ottimo da servire in una prima colazione spalmato di burro e marmellata ma è comunque molto versatile in ogni circostanza a tavola.

La citazione:

«Io ci penso ancora ai pomeriggi in cui preparavo per tutti e tre una merenda di pane, burro e zucchero. Mi si riempivano gli occhi nel guardarli mangiare. Tutto era più semplice e dovevamo solo preoccuparci di amarli, accudirli nelle loro necessità quotidiane.»

Guida, L., 2016, Romanzo Popolare, Rieti, Amarganta.